Non era certo la prima volta che qualcuno si spingeva nell’Oltretomba.
La tradizione classica è piena di personaggi che passeggiano con disinvoltura nel regno di Ade (basti pensare agli episodi narrati nell’Odissea e nell’Eneide). E gli esponenti della tradizione cristiana, giustamente, non vollero esser da meno: solamente per citare gli esempi più famosi, anche Agostino e Gregorio Magno ebbero visioni dell’Aldilà. A San Paolo ne fu attribuita una, apocrifa, che ebbe enorme diffusione nel Medioevo, diventando il modello di quasi tutte le altre descrizioni dell’Oltretomba che furono scritte successivamente.
E allora, che hanno di così particolare le avventure del prode cavaliere Owein, che attorno all’anno 1146 discese volontariamente agli Inferi per combattere le forze del male?
Beh, la grande particolarità sta in questo: Owein, a dar retta ai trattati che ne parlano, discese nell’Oltretomba con il suo stesso corpo. Non si limitò cioè ad avere una visione dell’Aldilà durante un sogno o un periodo di estasi: nell’Aldilà ci entrò fisicamente, con tanto di armatura, e fisicamente si trovò a combattere contro le oscure forze del male.
Sarebbe una buona sceneggiatura per un film campione d’incassi; figuriamoci se la storia non entusiasmò i medievali.
Il Tractatus de Purgatorio Sancti Patricii fu composto attorno al 1180 da un monaco cistercense di nome Enrico di Saltrey. L’addentellato da cui parte il racconto è una tradizione che, con ogni probabilità, esisteva già da qualche tempo: quella secondo cui la porta dell’Oltretomba si trovava nell’isoletta di Lough Derg, al confine tra l’Ulster e il Donegal. Secondo la leggenda, era stato san Patrizio a scoprire il cunicolo che conduceva al Purgatorio: in un moto di particolare misericordia, Iddio aveva voluto dischiudere le porte dell’Aldilà a vantaggio del suo apostolo, in modo tale che egli potesse mostrare alle genti pagane le pene che attendono chi rifiuta di convertirsi.
Una leggenda, evidentemente. Fra l’altro, una leggenda molto tarda: la porta d’accesso al Purgatorio non compare nelle agiografie più antiche di san Patrizio. Enrico di Saltrey è il primo a citare per iscritto questa leggenda… che, comunque, doveva essere già ben diffusa in quel periodo, calcolando che nel 1186 l’isola di Lough Derg, con annessa autostrada per gli Inferi, viene citata nella Topografia Hiberica di Giraldo Cambrense.
C’è bisogno di dirlo? Il testo di Enrico di Saltrey affascinò moltissimo; ebbe una fortuna dirompente. Sono giunti a noi oltre cento manoscritti che ne testimoniano la diffusione. Maria di Francia lo tradusse in volgare e lo mise in versi trattandolo alla stregua di una chanson de geste; Jacopo da Varagine riprende la storia nella sua Legenda aurea, e il viaggio del cavaliere Owein nel Purgatorio fa capolino un po’ in ogni dove nella predicazione.
Non c’è che dire: la storia aveva le carte in regola per piacere un po’ a tutti. Enrico di Saltrey era stato bravissimo ad adattare al gusto contemporaneo un tema tipico della letteratura irlandese, cioè quello degli echtrai e degli imrama: due generi letterari in cui l’eroe viveva meravigliose avventure affrontando un viaggio fuori dal normale.
Ma, in questo caso, l’eroe di Enrico era un prode guerriero senza macchia né paura: espressione perfetta di quella società cortese che era la consumatrice primaria della letteratura cavalleresca. E come se non bastasse, l’eroe-cavaliere viveva avventure ad alto contenuto spirituale – abbastanza per mandare in sollucchero i predicatori di tutta Europa.
Insomma: il Tractatus divenne, per così dire, un best seller.
E che: non gliela vogliamo dare un’occhiata, a questo best seller medievale?
***
La nostra storia comincia nel momento in cui il cavaliere Owein, un giovanotto che doveva aver avuto una vita assai disinvolta, sente il bisogno di confessare i suoi peccati… e vede il sacerdote mettersi le mani tra i capelli. Le sue colpe sono molto gravi, si sente spiegare Owein: ci vorrà del bello e del buono per espiare tutti quei peccati.
Il ragazzo capisce di essere nei guai e riflette sul fatto che su certe cose non si scherza.
Il cavaliere si pentì e chiese al vescovo di scegliere per lui una adeguata penitenza. Ma quando il vescovo volle imporgli una penitenza ordinaria, commisurata ai suoi peccati, Owein disse: «Dal momento che, come tu stesso mi hai detto, ho offeso il mio Creatore in modo così grave, sceglierò la più terribile di tutte le penitenze: per meritare la remissione dei peccati voglio scendere, con tua licenza, nel Purgatorio di san Patrizio».
Il vescovo cercò di dissuaderlo da tanta temerità, ma il prode cavaliere non volle ascoltarlo.
Ma che cos’era questo Purgatorio di san Patrizio? E perché il vescovo si opponeva a questo desiderio, tutto sommato pio? L’autore del trattato ci spiega che, molti secoli prima,
il Signore aveva condotto Patrizio in un luogo deserto e lì gli aveva mostrato una fossa buia, di forma circolare, dicendogli che se qualcuno, sinceramente pentito e armato di vera fede, fosse penetrato in quella cella sotterranea e vi fosse rimasto per un giorno e una notte: allora, egli sarebbe stato purgato di tutti i peccati commessi fino a quel momento nella sua intera vita.
A quel punto, san Patrizio fece costruire un monastero e affidò ai monaci la custodia della porta degli Inferi, che nel frattempo era stata fisicamente sprangata attraverso
una porta chiusa con chiavistelli, così che nessuno, temerariamente, osasse entrarvi senza permesso. E affidò la chiave in custodia al priore della chiesa.
Ma attenzione, precisa l’autore del Tractatus: da quel giorno,
molti uomini sono entrati nel Purgatorio: alcuni ne sono ritornati, altri vi sono morti.
Di conseguenza,
nessuno può entrare nel Purgatorio se non ne ha licenza dal vescovo della diocesi e se non ha scelto di propria volontà di entrare nel Purgatorio per purificarsi dai peccati. Quando si presenta al vescovo e gli manifesta la propria intenzione, per prima cosa il vescovo lo esorta a desistere, dicendogli che molti di quelli che sono entrati in quel luogo non ne hanno fatto ritorno.
Se persiste nel suo proposito, dopo aver ricevuto una lettera del vescovo, si reca in quella località in cui si trova il Purgatorio. Il priore del posto, dopo aver letto la lettera del vescovo, per prima cosa dissuade quell’uomo dall’entrare nel Purgatorio, facendogli presente che in esso vi sono molti pericoli, e gli consiglia di scegliere un’altra penitenza […] e lo avverte delle presenze demoniache e della perdizione incontrata da molti.
Ma se il penitente è fermo nelle sue posizioni, allora la porta degli Inferi gli viene spalancata. Lui entra, e la porta viene rattamente richiusa alle sue spalle. Dovrà trascorrere l’intero volgersi di un giorno prima che il portone venga dischiuso.
Se l’uomo è ritornato, viene accolto con gioia e accompagnato in chiesa, dove resta per altri quindici giorni, vegliando e pregando. Se invece il giorno dopo, alla stessa ora, non ha fatto ritorno, si può essere certi della sua morte. Allora il priore chiude a chiave la porta e tutti vanno via.
Ebbene: la stessa identica cosa accadde al prode Owein quando egli approdò all’isola di Lough Derg, dichiarando di voler scendere agli Inferi. Il priore del luogo cercò di dissuaderlo in ogni modo, ma il cavaliere non volle sentir ragioni.
Allora, il priore gli fece queste raccomandazioni: «Ecco, ora, in nome del Signore, entrerai e ti troverai in una lunga cavità sotterranea. Dovrai percorrerla tutta, finché ne uscirai e ti troverai in un campo, dove vedrai un edificio di finissima fattura. Vi entrerai e subito verranno a te gli angeli di Dio, che ti spiegheranno che cosa precisamente dovrai fare e cosa ti succederà. Usciranno, lasciandoti solo, e subito entreranno i diavoli tentatori.
Una prospettiva capace di far gelare il sangue nelle vene a un pavido e di accendere d’ardore un cavaliere degno di tal nome. E infatti,
il cavaliere, che un tempo aveva partecipato alle battaglie degli uomini armato di ferro, audacemente si slanciò nella lotta contro i demoni protetto da un’armatura di ferro ben più duro, fatta di fede, speranza e giustizia.
Benedizione di rito, preghiere nervose, addii commossi, e la porta degli Inferi si richiude alle spalle di Owein, che così inizia la sua cerca.
Più avanzava e più le tenebre aumentavano, finché il cavaliere non vide più nulla.
Poi, dal fondo dell’antro, una fievole luce cominciò ad illuminargli il cammino.
Giunse finalmente al campo e all’edificio, [che] non aveva pareti, ma era fatto tutto di colonne e archi come i chiostri dei monaci. Dopo aver girato a lungo intorno all’edificio, ammirandone la meravigliosa struttura, vi entrò e vide che all’interno era ancora più bello. […] Per qualche tempo rimase solo, poi entrarono nella sala quindici uomini (sembravano monaci appena rasati ed erano avvolti in bianche vesti), che lo salutarono nel nome del Signore e sedettero con lui.
E mentre gli altri tacevano, uno, che sembrava fosse il loro priore, gli parlò e disse: «Sia benedetto Dio onnipotente, che ha rafforzato in te il tuo buon proposito. Possa Egli in te portare a compimento ciò che ha cominciato. E poiché tu sei venuto in Purgatorio per essere purificato dai tuoi peccati, hai di fronte a te due scelte. O ti comporterai coraggiosamente, oppure, se sarai vile, perirai anima e corpo. Noi usciremo, e subito questa casa si riempirà di una moltitudine di spiriti immondi che ti infliggeranno orribili tormenti e minacceranno di infliggertene di ancor più terribili. Ti prometteranno di riportarti illeso alla porta da cui sei entrato se accetterai di ritornare indietro con loro, ma lo diranno solo per ingannarti. E se tu, allora, sopraffatto dal dolore dei tormenti, o terrorizzato dalle minacce o ingannato dalle loro false promesse, ti arrenderai agli spiriti immondi: anche in questo caso morirai, anima e corpo. Se invece, incrollabile nella fede, avrai posto in Dio tutta la tua speranza e non avrai ceduto né ai tormenti né alle minacce né alle promesse […] non solo sarai purificato da tutti i tuoi peccati, ma vedrai anche a quali tormenti siano destinati i peccatori e vedrai la gran pace di cui godono i giusti».
Ohibò: ma a questo punto, in ogni romanzo cavalleresco che si rispetti, l’eroe della situazione riceve in dotazione almeno un’arma incantata o qualcosa del genere! Owein, evidentemente, più che sulla magia deve puntare tutto sul misticismo. Gli raccomanda infatti quel priore ultramondano:
«Ricordati sempre di Dio e, quando ti tormenteranno, invoca il Signore Gesù Cristo. Invocando il Suo nome, sarai immediatamente liberato da ogni tormento. Ma non possiamo rimanere più a lungo qui con te. Ti raccomandiamo a Dio onnipotente». E così, impartita al cavaliere la loro benedizione, lo lasciarono solo.
E così, Owein rimane solo, e
armato delle armi di Cristo, aspetta il primo demone che lo provochi allo scontro.
Una corazza di giustizia lo riveste; come un elmo lo cinge la speranza della vittoria e dell’eterna salvezza; la fede è lo scudo che lo protegge. E il suo spirito ha una spada, che è il nome di Dio: devotamente il cavaliere invoca il Signore Gesù Cristo e si affida alla Sua regale protezione, per non essere sopraffatto dagli immondi nemici.
Quand’ecco,
improvvisamente Owein sentì un tumulto intorno all’edificio, come se tutta la terra tremasse. In verità, gli sembrava che se avessero strepitato e urlato insieme a gran voce tutti gli uomini e tutti gli animali della terra, del mare e dell’aria, non avrebbero potuto fare un frastuono maggiore. Quell’orrendo tumulto di certo lo avrebbe fatto impazzire, se egli non fosse stato protetto dalla divina virtù e debitamente istruito dagli uomini che aveva incontrato prima.
E infatti, quando si presentarono di fronte a lui le orde infernali, Owein non esitò che un solo istante alle loro lusinghe. I demoni gli dissero che era ancora in tempo per tornare indietro e che nessun male gli sarebbe stato fatto: ma memore dei consigli ricevuti dai monaci ultraterreni, il cavaliere invocò il nome del Signore e sentì rinascere il coraggio nel suo cuore.
I demoni, allora, vedendo che il cavaliere li disprezzava, ruggirono orribilmente contro di lui e accesero un altissimo rogo nella casa. Gettarono nel fuoco il cavaliere, con le mani e i piedi legati, e con uncini e arpioni di ferro, urlando, lo trascinavano qua e là nelle fiamme.
Appena gettato nel fuoco, Owein provò un feroce tormento. Ma l’uomo di Dio, istruito dai santi uomini e protetto dal suo Re, non dimenticò le armi della milizia spirituale. Quando i nemici lo gettarono nel fuoco, invocò il nome di Gesù Cristo e subito fu liberato da quel rogo
che improvvisamente sparì, come per magia,
così che non se ne sarebbe trovata una scintilla.
Quando il cavaliere vide ciò, divenne ancora più audace, e con fermezza decise che, da quel momento in poi, non avrebbe più avuto paura di quei nemici: aveva visto che poteva facilmente sconfiggerli con l’invocazione del santo nome.
… mettiamola così: se Owein era reso più audace dal suo successo, non è che i demoni si lasciassero intimidire dalla sconfitta. Non appena l’incendio smise di bruciare, i demoni trascinarono il giovane fuori dall’edificio e lo trasportarono in volo
in una regione desolata. Era una terra nera e tenebrosa, dove il cavaliere non riuscì a vedere nulla, se non i demoni che lo trascinavano. Soffiava un vento sordo, ardente, così violento che sembrava gli trapassasse il corpo.
Alla fine, trascinato dai demoni, il cavaliere giunse in un vastissimo campo pieno di miserie e di dolore; ed era talmente grande, quel campo, che Owein non ne vedeva la fine. Era pieno di gente dei due sessi e di diverse età: tutti erano stesi con il ventre a terra, nudi, con le mani e i piedi fissati al suolo con chiodi di ferro arroventati. A volte, per il dolore, mordevano la terra, e a volte, piangendo e lamentandosi miseramente, urlavano «Basta! Basta!» o «Pietà! Pietà!».
Ma in quel luogo non c’era chi conoscesse la pietà o la clemenza. C’erano solamente diavoli che correvano fra loro e sopra di loro e che non smettevano per un solo istante di bastonarli ferocemente.
I demoni dissero al cavaliere Owein: «I tormenti che vedi li proverai anche tu e li sentirai tu stesso, se non ci obbedirai: rinuncia al tuo proposito e torna indietro. Se tu lo vuoi, ti accompagneremo pacificamente alla porta per la quale sei entrato e ti permetteremo di uscire illeso». Owein non accettò e i demoni lo gettarono a terra e cercarono di inchiodarlo come tutti gli altri. Ma non ci riuscirono, perché il cavaliere invocò il nome di Gesù.
Allora, allontanandosi da quel campo, lo trascinarono in un altro, dove più grande ancora era la sofferenza. Anche questo campo era pieno di gente dei due sessi e di diverse età, e tutti erano inchiodati al suolo. […] Sopra alcuni di loro stavano draghi fiammeggianti, che con denti infuocati li laceravano come se avessero voluto mangiarli. Altri avevano intorno al collo o alle braccia o a tutto il corpo serpenti fiammeggianti che affondavano la testa nei petti di quegli infelici e ne trafiggevano il cuore con un aculeo infuocato. Rospi di incredibile grandezza e quasi fatti di fuoco sedevano sui petti di alcuni infelici e, conficcandovi i loro orribili artigli, cercavano di strappare i loro cuori. […]
«Patirai i tormenti che vedi», gli dissero i demoni, «se non torni indietro come ti ordiniamo». Il cavaliere li ignorò, e essi di nuovo cercarono di inchiodarlo, ma non poterono:
di nuovo, Owein aveva invocato il nome di Cristo.
E, di nuovo, il Re dei Re aveva protetto da ogni male il suo campione.
Insomma: abbiamo capito la tiritera. Collezionando sconfitte su sconfitte, i demoni tentarono di sottoporre Owein a svariati tipi di torture – le stesse che riempivano di tormenti le anime del Purgatorio. Sgomento, il cavaliere ebbe a camminare tra corpi flagellati da chiodi incandescenti, tra malcapitati su cui si riversavano colate di metalli liquidi, tra anime terrorizzate che venivano trascinate via dalle acque impetuose di fiumi gelati e fetidi. Il Purgatorio di san Patrizio doveva esser stato progettato da un architetto con un certo gusto per i parchi divertimenti: una vasca termale piena di metalli ribollenti faceva urlare dal dolore le anime che vi venivano gettate dentro; altre ancora venivano arpionate con uncini acuminati e legate a una sorta di ruota panoramica che le faceva roteare vorticosamente e senza sosta.
Nessuna di queste minacce terribili fu una minaccia per Owein, che grazie all’invocazione del nome di Cristo riuscì ad attraversare indenne l’intero Purgatorio. Ed ecco,
i demoni lo afferrarono e lo trascinarono verso sud. Ed egli vide davanti a sé una fiamma spaventosa, vomitata da un pozzo che puzzava di zolfo. Ogni fiammata spingeva in aria, come fossero scintille, uomini e donne di ogni età, nudi, che ricadevano di nuovo nel pozzo e nel fuoco ogni volta che la fiamma si indeboliva.
Avvicinandosi a quel luogo, i demoni dissero al cavaliere: «Questo pozzo che vomita fiamme è la porta dell’Inferno, noialtri abitiamo qui. E poiché, fino ad oggi, nella tua vita sei sempre stato per noi un valido servitore, questa sarà anche la tua dimora: tutti coloro che ci hanno servito resteranno per sempre qui con noi. Una volta entrato qui dentro, morirai in eterno, anima e corpo. Ma, se ci obbedirai, potrai tornare a casa illeso».
Non c’è neanche bisogno di dirlo: Owein rifiutò con sdegno. E allora, con la forza della rabbia e della disperazione,
i demoni si gettarono nel pozzo, trascinandovi il cavaliere. E quanto più profondamente scendeva, tanto più il pozzo gli pareva profondo, e più grande gli pareva il dolore che provava. Era un dolore veramente intollerabile, al punto tale che Owein quasi dimenticò il nome del suo Salvatore.
Ma, con l’aiuto di Dio, tornò in sé come poté e invocò in un sussurro il nome del Signore Gesù Cristo. E immediatamente il getto della fiamma lo sputò in aria. Owein cadde accanto al pozzo, dove per un po’ rimase solo, tramortito.
Ci avviciniamo all’happy ending?
Ma manco per niente, anzi ci stiamo preparando al colpo di scena: a quel punto,
dal pozzo uscirono altri diavoli, che lui non aveva mai visto prima. «Che ci fai qui?», gli chiesero.
E udita la spiegazione di Owein, i demoni sogghignarono.
«I nostri compari ti hanno detto che questo era l’Inferno? Beh, hanno mentito. Noi mentiamo sempre, per ingannare con la menzogna coloro che non possiamo ingannare con la verità. Questo non è affatto l’Inferno. Ma ora ti ci porteremo noi, all’Inferno».
Ed ecco, afferrandolo i demoni lo trascinarono in volo e
lo portarono su un fiume largissimo e fetido, tutto coperto da un fuoco sulfureo e pieno di diavoli che vi nuotavano dentro.
Un singolo ponte attraversava quel fiume. Era così scivoloso che, anche se fosse stato larghissimo, nessuno avrebbe potuto posarci il piede con sicurezza. Ma come se questo non bastasse, era un ponte così stretto e dall’aria così fragile che sembrava non ci fosse alcun modo di camminarci sopra; infine, si protendeva talmente in alto che faceva tremare le vene anche soltanto osservare la sua altezza.
Manco a dirlo: per l’ennesima volta i demoni proposero a Owein di desistere dalla sua missione per farsi riaccompagnare incolume fino alla porta da cui era entrato. Era la sua ultima chance per salvarsi, gli dissero, ché ben altri tormenti lo avrebbero atteso se avesse attraversato quel ponte.
Owein esitò per un istante (l’ultima prova cui era stata sottoposto era stata così tremenda da avergli quasi fatto dimenticare il nome di Dio!), ma capì che non era quello il momento per desistere. Invocò il nome di Gesù Cristo e mosse il primo passo. E ad ogni suo passo, il ponticello si faceva sempre più stabile e largo, al punto tale che – quando Owein fu nel punto più alto della struttura – due carri accostati e carichi di merci avrebbero potuto attraversarlo con tutta sicurezza.
I demoni, questa volta, sembravano non essere in grado di seguirlo. A più riprese tentarono di farlo cadere nel fiume sottostante, tirandogli addosso sassi e oggetti acuminati… ma niente. E mentre Owein attraversa vittorioso il ponte, l’autore del Tractatus sfrutta il tempo del viaggio per rivolgere al lettore il doveroso pistolotto spirituale:
Mettiamo ora a confronto, carissimi, le passioni di questa vita con le sofferenze e la miseria dei luoghi di cui abbiamo parlato. Se mentalmente le poniamo sui due piatti di una bilancia, la miseria di quei luoghi risulterà infinitamente più pesante, come tutta la sabbia del mare è più pesante di una leggerissima piuma. […] O vano peccatore, non bastano queste cose a farti urlare come un animale, a farti sgorgare dagli occhi, come lacrime, il sangue? O incredibile durezza: anche bastoni tanto pesanti sono troppo leggeri per piegarla! Aumentiamo dunque, o miseri, aumentiamo il peso ai travagli dell’aldilà: aggiungiamo terrore a terrore, ululato a ululato.
Curioso notare come il trattatista stia riservando al lettore la stessa promessa menzognera che i demoni avevano rivolto poco prima a Owein.
Altro che “terrore a terrore”! Altro che “ululato a ululato”! Che il ponte traballante non conducesse affatto all’Inferno fu chiaro al cavaliere fin dal momento in cui
andando avanti, libero ormai dalla persecuzione dei diavoli, intravvide in lontananza una muraglia che si ergeva alta da terra verso il cielo. Era meravigliosa e la sua struttura era di incomparabile bellezza. C’era in quelle mura una porta chiusa che, ornata di vari metalli e di pietre preziose, irradiava un meraviglioso splendore.
Il cavaliere era lontano ancora quasi mezzo miglio quando la porta si aprì e ne venne un profumo così soave che non se ne può immaginare l’eguale neanche se tutto il mondo si trasformasse in profumo. Owein fu talmente ritemprato da quella dolcezza che dimenticò immediatamente i tormenti che aveva patito. Guardando attraverso la porta, vide una terra così luminosa che superava lo splendore del sole; desiderò entrarvi. Beato l’uomo dinanzi al quale si apre quella porta! […]
Era ancora a una certa distanza, quando uscì incontro a lui una processione con croci e vessilli e ceri e rami di palma che sembravano d’oro: […] vide uomini di ogni ordine, clerici e laici, di diverse età e dei due sessi.
Fu commovente l’incontro con quelle anime beate, che sembrarono gioire del successo di Owein più ancora di quanto il cavaliere stesso non se ne rallegrasse. Gli uomini gli fecero strada nella loro dimora, e
mentre quelli lo accompagnavano attraverso la bella regione, passeggiando qua e là, il cavaliere vide molte più cose belle e piacevoli di quante lui stesso, o il più esperto degli scrittori, potesse descrivere.
C’era una luce talmente chiara! Come la luce di una lucerna è accecata dallo splendore del sole, così la luce che splendeva su quella terra meravigliosa avrebbe potuto accecare lo splendore del sole di mezzogiorno.
Per la vastità di quella terra, il cavaliere poté vederne soltanto la parte più vicina alla porta da cui era entrato: prati ameni e verdeggianti, con diversi fiori e piante e frutti, per il solo profumo dei quali, come disse, avrebbe potuto vivere in eterno se gli fosse stato permesso di rimanere lì.
E una moltitudine di uomini e donne popolava quel luogo di meraviglie,
e v’erano cori che, in un concerto di soave armonia, innalzavano lodi a Dio. E come una stella si distingue dall’altra per la luminosità, così v’era una certa armonica differenza nello splendore dei loro volti e delle loro vesti. Alcuni infatti sembravano indossare un abito d’oro, altri d’argento, e altri verde, o rosso, o azzurro, o blu, o bianco, e la foggia dell’abito era la stessa che usavano nel mondo.
Owein non avrebbe potuto immaginare un luogo più meraviglioso.
…e in ciò peccava di scarsa immaginazione, gli fecero sapere ben presto i suoi compagni. Quello che Owein stava ammirando non era il Paradiso, ma bensì il Giardino Terrestre, il luogo di sosta nel quale Dio aveva voluto che le anime si ritemprassero dopo i tormenti subiti nel Purgatorio.
Il transito in quei luoghi di penitenza le aveva indubbiamente purificate, ma ancora le anime non erano pienamente degne di accedere alla letizia più eterna e più piena. E intanto, ingannavano l’attesa standosene lì, “in grande pace ma nell’attesa di una pace più grande”, come spiegarono ad Owein le anime beate, poco prima di aggiungere che era giunta l’ora di avere un assaggio di ciò che le attendeva in Paradiso.
E sto parlando di un letterale assaggio. A Owein fu spiegato che, una volta al giorno, nel Giardino dell’Eden si spalanca la porta del Paradiso dalla quale Iddio fa discendere sulle anime il cibo spirituale che le alimenta. Ed ecco: nel momento in cui s’aprì la porta del Paradiso, quel cibo calò come lingua di fuoco su tutti i presenti:
discese anche sul cavaliere e penetrò in lui. Owein ne provò una tale dolcezza nel cuore e nel corpo che, per l’intensità del piacere, per un po’ stentò a capire se fosse ancora vivo oppure morto.
Ebbene: coloro che vengono accolti in cielo sono nutriti di quel cibo in eterno, e in eterno avvertono quella meravigliosa sensazione che alle anime purganti è dato di sperimentare solamente una volta al giorno. Fu questo l’ultimo insegnamento che le anime poterono dare a Owein, poco prima di scacciarlo brutalmente: il tempo a sua disposizione era quasi passato, già stavano per concludersi le ventiquattr’ore che il priore del monastero gli aveva concesso per compiere il suo viaggio nell’Oltretomba. Il cavaliere doveva affrettarsi, se voleva farsi trovare al suo posto al momento della riapertura della porta.
E lì, va detto, Owein esitò. Là dove le tentazioni dei demoni non avevano potuto nulla, fu la beatitudine dell’Eden a farlo vacillare: il cavaliere implorò di poter restare lì in eterno – anche a costo di morire, anche a costo di dover ripercorrere da capo l’intero cammino. Tutto, pur di poter concludere i suoi giorni in quella beatifica pace!
Fortunatamente, le anime non si lasciarono impietosire affatto e, senza troppi complimenti, scacciarono Owein dal Paradiso Terrestre. Ed ecco ritornare sulla terra il prode cavaliere, vittorioso eppure al tempo stesso scosso da lacrime di disperazione; e mentre Owein cammina verso il suo destino mortale, noi mostriamo d’essere persone educate accettando di sorbirci il secondo pistolotto morale del trattatista:
Che cosa ami, in quanto corpo? Che cosa desideri, in quanto anima? Qualsiasi cosa amiate, qualsiasi cosa desideriate: lì la troverete.
Se piace la bellezza, risplenderete come il sole. Se bramate una vita lunga e sana, lì troverete l’eterna salute e la sana eternità. Se sognate la sazietà, sarete sazi quando apparirà la gloria di Dio. Se volete l’ebbrezza, sarete inebriati dall’abbondanza della casa celeste. Se vi diletta la melodia, là i cori degli angeli cantano senza posa le lodi del Signore. Se bramate una qualunque voluttà, a patto che essa non sia immonda ma casta, Dio vi abbevererà con un fiume di delizie. Se volete la sapienza, la stessa sapienza di Dio si manifesterà di fronte a voi.
Infatti,
come Egli può tutto ciò che vuole per se stesso, così i giusti potranno tutto ciò che vogliono per mezzo di Lui
e il trattatista si spinge a ipotizzare che
forse è questa quella gioia di cui il Padre ci parla per bocca del Figlio dicendo: “chiedete e vi sarà dato, perché la vostra gioia sia piena”
Ma torniamo a Owein. Ritornato tra i vivi e accolto con tutti gli onori, come si confà a un campione che ha appena compiuto una così grande impresa, il cavaliere sentì innanzi tutto il bisogno di lanciarsi in un altro viaggio pericoloso. E, pellegrino, cavalcò fino a Gerusalemme.
Tornato dalla Terra Santa, comunicò al suo re di voler cambiare vita, dedicandosi interamente al servizio del re celeste nelle modalità che il suo signore feudale avrebbe ritenuto le più opportune. Proprio in quel momento, un abate aveva chiesto al re un appezzamento di terra su cui costruire un nuovo monastero: il re non si limitò a donargli il terreno, ma lo infeudò anche del suo più coraggioso cavaliere. Owein non volle farsi né monaco né converso, ma finì i suoi giorni al fianco dei cistercensi, che con devozione servì, onorò e protesse. E precisa a questo punto il cistercense autore del Tractatus:
L’abate di quel monastero, Gilberto, raccontava spesso davanti a molti tutte quelle cose, così come le aveva ascoltate dal cavaliere: io stesso le ascoltai.
Un giorno si fece avanti uno che affermò di dubitare che quelle cose fossero realmente accadute. Gilberto gli disse: “ci sono alcuni che affermano che coloro che entrano nell’edificio cadono immediatamente in estasi e vedono tutte quelle cose in sogno. Ma il cavaliere Owein nega assolutamente che così sia capitato a lui, anzi afferma con la massima certezza di aver visto con i propri occhi e di aver toccato con il proprio corpo tutte quelle cose di cui racconta”.
…e voi che dite?
Gli crediamo?
***
Quel che è certo è che furono in moltissimi a credergli. E in molti decisero di intraprendere il medesimo cammino per vivere la stessa salvifica avventura sperimentata da Owein. Vale a dire: l’isola di Lough Derg diventò davvero meta di pellegrinaggio per un manipolo di volenterosi penitenti determinati a tentare il tutto e per tutto pur di guadagnarsi la salvezza.
Proprio come era accaduto a Owein, tutti i pellegrini che approdavano a Lough Derg venivano ripetutamente invitati a desistere prima di addentrarsi oltre “la porta del Purgatorio”. Cosa accadesse loro nel momento in cui il portone si richiudeva alle loro spalle, resta naturalmente un mistero: certo è che i penitenti trascorrevano ventiquattr’ore rinchiusi in quella cella, uscendone (a detta loro) cambiati.
Questa pia pratica ebbe un momento di svolta nel 1350, quando a tentare l’avventura fu un certo George Grissaphan, gentiluomo ungherese. Uscito vincitore dal suo viaggio ultramondano, George mise per iscritto la sua eroica esperienza in un emozionante resoconto titolato Visiones Georgii, che il vescovo locale si premurò di far arrivare direttamente al papa. La diffusione di questo secondo trattatello diede un ulteriore impulso al pellegrinaggio, che sul finire del Medioevo godette di enorme popolarità. Una popolarità che Giovanni Paolo Maggioni, che ha lungamente studiato questo tema, collega al graduale declino del mondo cavalleresco così come era stato idealizzato da generazioni di nobiluomini. In un momento in cui i valori della società stavano cambiando a un ritmo vorticoso, il pellegrinaggio ultramondano “rimase l’ultima impresa cavalleresca possibile in un’Europa dove la conoscenza geografica aveva inesorabilmente eroso le zone misteriose”.
Emblematico in tal senso è il caso di Ramon de Perellos, un nobiluomo aragonese che sul finire del ‘300 si reca a Lough Derg con uno scopo ben preciso: non tanto guadagnarsi la salvezza dell’anima, quanto più scendere nell’Aldilà per ritrovare l’anima del suo amico Giovanni, che era morto un anno prima. Per la cronaca la trova: in Purgatorio, ma ormai molto vicina alla salvezza eterna – dopodiché, il prode Ramon dichiara conclusa la sua cerca e torna in Aragona a vantarsene con gli amici.
Paradossalmente, fu proprio il successo del pellegrinaggio a provocarne la rapida rovina.
…mettiamola così: con l’aumentare dei pellegrini, aumentarono inevitabilmente anche le voci scettiche di chi, dopo aver varcato quella porta, dichiarava di non aver visto un bel niente e di aver passato ventiquattr’ore a girarsi i pollici al chiuso di una cella.
Testimonianze di questo tipo stavano cominciando a susseguirsi con frequenza imbarazzante; in fin dei conti, anche i tempi stavano cambiando, promuovendo una diversa sensibilità religiosa. Il 17 marzo 1497, in occasione della festa di san Patrizio, la porta del Purgatorio fu murata alla presenza delle massime autorità ecclesiastiche del luogo. Le cronache dell’epoca precisano che la decisione fu presa “su disposizione pontificia”… anche se, curiosamente, di questa disposizione non si trova traccia da nessuna parte. Verrebbe da pensare che le autorità locali abbiano tirato in mezzo la Santa Sede per giustificare una decisione che, con ogni probabilità, avevano preso di loro stessa iniziativa, per evitare che si trasformasse in carnevalata quella che, fino a poco tempo prima, era considerata un’esperienza penitenziale tra le più dure al mondo.
Radicalmente riformata, e resa più adatta alla sensibilità della società moderna, l’esperienza penitenziale continuò tuttavia a esistere. E, tecnicamente, esiste ancor oggi. Nei mesi estivi, una isoletta vicino a Lough Derg accoglie ogni anno migliaia di pellegrini che scelgono di sottoporsi a un rito penitenziale tra i più duri al mondo: tre giorni di digiuno, almeno trentasei ore di veglia all’addiaccio e lunghe camminate di circa dieci chilometri da compiere a piedi nudi su un cammino prestabilito.
Che non è esattamente come attraversare il Purgatorio… ma, evidentemente, fu ritenuto un qualcosa di molto simile al vivere un pizzico di Purgatorio già in questa terra.
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