Silenzio. Attesa.
Che altro si può dire, del Sabato Santo?
Non molto, e in effetti è difficile anche solo trovare le parole per scrivere qualcosa a commento di questo giorno, che nell’immaginario d’oggi è quello in cui nulla accade, nell’attesa che tutto accada. Il sepolcro è chiuso, e così anche le porte delle case in cui i discepoli si sono riparati: tutto tace, tutto è fermo; e anche le nostre chiese sono spoglie e immobili, nell’attesa che la notte cali.
Beh: nel Medioevo, le cose non andavano esattamente così.
Forse facendo mostra di maggior acume, gli uomini medievali avevano trovato molti modi interessanti per riempire questo giorno d’attesa, colmandolo di senso.
In primo luogo, i nostri antenati avevano un’idea molto precisa di come Gesù avesse occupato il suo tempo libero mentre il suo corpo giaceva nel sepolcro: lungi dallo starsene con le mani in mano nell’attesa della resurrezione, il Redentore era disceso agli Inferi per strappare alle fiamme dell’Inferno tutte le anime che non meritavano di trovarsi in quel luogo di dolore. Quelle anime, cioè, appartenute agli individui che avevano l’unica “colpa” d’essere vissuti prima di Cristo e, per ovvie ragioni, non avevano dunque avuto modo di professare fede cristiana. Ma poiché Dio è giusto e misericordioso, anche per questi “spiriti magni” (per appropriarsi della definizione che un giorno avrebbe utilizzato Dante), vi fu la possibilità di salvezza: e fu proprio nel giorno di sabato che Gesù si calò tra i morti, per sottrarli alle grinfie di Satana. Dando il via a una vera e propria battaglia tra il bene e il male, avventurosissima e piena di pathos, stando a quanto si ascoltava in certe leggende ispirate ai vangeli apocrifi, che venivano raccontate in lungo e in largo in quel giorno.
Beninteso: la discesa di Cristo agli Inferi è un tema che è presente ancor oggi in molte confessioni cristiane. L’arte ortodossa ha prodotto (e produce) una miriade di icone dedicate a quel momento della storia della salvezza; quanto ai cattolici, essi ripetono che Gesù «discese agli inferi e il terzo giorno risuscitò da morte» ogni singola volta che recitano il Credo.
Però, mettiamola così: nel Medioevo, il topos di questa (avventurosissima!) escursione oltremondana era un elemento centrale nell’immaginario collettivo legato al giorno del sabato di Pasqua. E, in quanto tale, ispirava leggende con narrazioni al cardiopalma, produzioni artistiche che sembrano uscite da un fumetto Marvel e, in alcuni casi, vere e proprie rappresentazioni teatrali che, nel pomeriggio del sabato, riempivano i sagrati delle chiese con orde di diavoli in fuga e di angeli vittoriosi. Altro che giorno di silenzio e contemplazione!
Frattanto, all’interno della chiesa, accadevano altre cose che probabilmente non immagineremmo. Nei primi secoli di Storia cristiana, la notte di Pasqua era tradizionalmente quella in cui venivano battezzati i catecumeni (che non necessariamente erano neonati. Anzi. L’abitudine di battezzare i bambini a pochi giorni dalla nascita è relativamente tarda; ancora nel X secolo, esistevano aree d’Europa in cui la Chiesa faticava a imporla).
Ebbene: nella mattina del sabato santo, i catecumeni si radunavano in chiesa per una cerimonia pubblica fortemente partecipata, che sicuramente esisteva già nel V secolo. Sto parlando della cosiddetta redditio symboli, una sorta di “esame finale” che aveva formalmente lo scopo di controllare che i catecumeni avessero fatti i compiti e fossero pronti al grande passo: gli aspiranti, che all’inizio della Quaresima avevano pubblicamente ricevuto una copia del Credo (traditio symboli) dovevano dimostrare di averlo effettivamente studiato e compreso, recitandolo a voce alta di fronte alla comunità riunita.
Naturalmente, non esistevano bocciati, ché ci si preparava per benino a un momento così importante: la cerimonia si concludeva con grandi sorrisi e poi i catecumeni tornavano a casa, per prepararsi alla loro grande notte. Il loro battesimo avrebbe avuto luogo nel corso di una lunghissima veglia di preghiera che iniziava nelle tenebre del sabato e si concludeva, di fatto, la domenica mattina: alle prime luci dell’alba.
***
Ma, come ben sappiamo, col passar dei secoli cadde in disuso la consuetudine di accogliere i catecumeni nel corso della veglia pasquale e anzi si impose l’uso di battezzare i neonati a pochi giorni dalla nascita, quale che fosse il periodo dell’anno. Inevitabilmente, questo impose un netto cambio di rotta alle celebrazioni del sabato santo: il cambiamento più vistoso riguardò l’appuntamento mattutino della redditio symboli, che ovviamente sparì del tutto (o per meglio dire, si riciclò nell’agiografia, ove si cominciò a mormorare di individui così incredibilmente santi da aver recitato il credo apostolico al momento del loro battesimo, anche se erano ancora dei neonati in fasce).
Ma, com’è ovvio, anche la veglia pasquale dovette cambiare forme, essendo ormai sparita la celebrazione dei battesimi che per secoli era stato il momento clou della serata. A sostituirla arrivò il lungo rituale di benedizione dell’acqua, durante il quale il sacerdote si recava al fonte battesimale recitando una serie di preghiere variamente legate all’acqua e ai passi biblici che la vedevano assumere un ruolo da protagonista (il diluvio universale, Mosè che fa scaturire acqua dalle rocce del deserto, Gesù alle nozze di Cana…). Al termine delle preghiere, era il sacerdote a “dividere le acque” come Mosè fece col Mar Rosso, increspando la superficie del liquido con la sua mano mentre tracciava lentamente un segno di croce. Avrebbe poi provveduto a gettare piccoli spruzzi d’acqua nei quattro angoli della chiesa, simbolicamente ottemperando così al comandamento che Gesù risorto aveva dato ai suoi apostoli: «andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole»; «ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Pian piano, altri elementi si sarebbero aggiunti alla veglia di Pasqua. Il canto dell’Exultet e la benedizione del cero pasquale vengono citati già a partire dal V secolo, anche se il rito si modificò più volte col passar del tempo, ampliandosi e acquisendo sempre maggiore importanza (e simbologia). Il rito del fuoco sembra risalire all’VII secolo, anche se all’epoca aveva una forma che oggigiorno probabilmente non riconosceremmo se avessimo la possibilità di assisterci dal vivo viaggiando su una macchina del tempo. Entro il XV secolo, era già codificato il lungo elenco di letture bibliche tratte dall’Antico Testamento che avrebbero accompagnato la preghiera dei fedeli in quella notte santa (anche se la pratica non doveva essere uniforme in tutta la cristianità: per esempio, alcuni messali provenienti dall’Italia meridionale sembrano non portare traccia di quel momento).
Incredibile pensare che un rito così profondo abbia rischiato (e assai significativamente!) di cadere nel dimenticatoio: eppure, la Chiesa dell’età moderna mostrò un’inusuale freddezza nei confronti di quella lunga notte di preghiera. Che diventò gradualmente meno lunga (riducendosi a una celebrazione di poche ore) e, soprattutto, meno notturna: all’epoca del Concilio di Trento, era già consuetudine diffusa iniziare la veglia di nel primo pomeriggio; e, nel 1556, papa Pio V sentì il bisogno di anticipare ulteriormente l’orario di inizio, fissandolo a non più tardi del mezzogiorno (!). Inevitabilmente, questo finì per procurare nei fedeli una certa disaffezione nei confronti di questo rituale: diciamolo pure, chi è che ha voglia di festeggiare la domenica di Pasqua a mezzogiorno del sabato santo? E così, gradualmente, l’attenzione collettiva si spostò verso le celebrazioni della domenica mattina, che divennero per la maggior parte dei fedeli il focus delle festività pasquali.
La cattolicità dovette aspettare il 1951 per poter riprendere a celebrare la veglia di Pasqua nel cuore della notte, come da antica tradizione. E meno male, mi vien da aggiungere: ché, a mio giudizio, non esiste modo migliore per vivere e rivivere la notte di Pasqua.
Per approfondire: Paul Bradshaw e Hoffman Lawrence, Passover and Easter. Two liturgical traditions (University of Notre Dame Press, 2000)
Whitewolf
Proprio stamani parlavo con la nonna paterna e le chiedevo se c’erano rituali per il sabato santo. Sabato prossimo saprò come fare bella figura, grazie Lucia 🙂
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Elisabetta
E te pareva se i soliti pazzi medievali si lasciavano sfuggire l’occasione di far caciara anche il sabato prima di Pasqua!
Quanto alla veglia pomeridiana. Non so voi, ma io pensavo che si fosse tornati alla nottata pre- Covid. Ebbene in una chiesa della mia città la veglia è ancora alle 18.30
Alla fine le veglie quest’anno sono iniziatw tutte alle 21.30. Non me ho trovato nessuna che iniziasse dopo… esperienze? Mi ricordavo anni fa anche veglie alle 22.
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Lucia Graziano
Uhm… andando a memoria, io non credo di aver mai partecipato (anche pre-Covid, intendo) a delle veglie di Pasqua con inizio dopo le 21.
E anzi: in epoche molto ante-Covid, ricordo una chiesa (con un rettore scrupolosissimo, attentissimo anche agli aspetti formali più minuti e molto amante del tradizionalismo liturgico – lo specifico per indicare che non era un facilone che faceva cose raffazzonate) dove la veglia di Pasqua iniziava alle ore 20, se non addirittura alle 19:45, con motivazione “buona parte della mia platea è composta da anziani che a un certo punto crollano dal sonno e comunque hanno paura a tornare a casa troppo tardi, quindi perché non venire loro incontro?”. Ragionevole osservazione, devo dire.
In fin dei conti, se il papa ha iniziato la sua veglia alle 19:30…
Posso dire una cosa forse un po’ impopolare? A me, le messe notturne che si tengono nel cuore della notte hanno sempre lasciato piuttosto indifferente, perché oggettivamente creano problemi logistici che potrebbero tagliar fuori una fetta di fedeli (rincasare all’una di notte del 25 dicembre non è esattamente desiderabile, se magari devi farti la strada da sola in una strada isolata) e, soprattutto, perché mi sembra che i fedeli di oggi si concentrino fin troppo sul dato della “mezzanotte”, che è puramente convenzionale e non ha alcuna rilevanza a fini liturgici.
Nel senso: è la giornata civile che, per convenzione, inizia a mezzanotte, ma la liturgia dovrebbe considerare più importante il momento dei vespri. Per cui, sì, ovviamente capisco che alla gente piaccia l’idea di andare alla “Messa di mezzanotte” che inizia proprio a mezzanotte, ma mi sembra che questo dettaglio abbia una rilevanza civile, più che spirituale, se mi spiego. La Messa “nella notte di Natale” per me potrebbe tranquillamente iniziare in un qualsiasi orario serale: dopo cena, toh, ma non necessariamente alle 00:00.
E stesso dicasi per la veglia di Pasqua, secondo la mia sensibilità. Aspetterei che effettivamente faccia già buio (il che, ad aprile, potrebbe effettivamente voler dire spostare abbastanza avanti l’orario di inizio) ma solo perché mi sembrerebbe un po’ ridicolo fare il rito della luce quando fuori è ancora chiaro.
Ma ecco, non mi turba né mi infastidisce l’idea di una veglia che inizia presto, e quindi finisce molto prima della mezzanotte. Alla fine, non è quello l’orario che conta, dal punto di vista liturgico…
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Elisabetta
Giusta osservazione! Non avevo mai pensato che non vale il giorno del calendario bensì il calar del sole. Me ne sono ricordata perchè andando alla veglia ho incrociato tre uomini ebrei ortodossi che evidentemente tornavano dalla sinagoga
Di fatto in centro nella mia città quest’anno tutte le veglie sono iniziate alle 21.15 o 21.30. Quella delle 18. 30 mi hanno poi detto che è stata fatta per agevolare anziani e non sovrapporsi con l’altra chiesa della parrocchia.
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Austin Dove
spero che abbia passato una felice pasqua^^
l’aria stakanovista medievale si ripercuote pure su Gesù a quanto sembra!
PS: “che non meritavano di trovarsi in quel luogo di colore”, qui qualcosa non duaqra
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Lucia Graziano
LOL! Grazie, e dire che avevo riletto l’articolo più di una volta, ma evidentemente qualcosa mi sfugge sempre 😛 Ho corretto!
E Pasqua trascorsa in tranquillità, grazie, spero altrettanto 🙂
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