Questa è una di quelle pagine di Storia in cui davvero non sai dire quale sia la cosa più inquietante: che qualcuno abbia avuto l’idea primigenia, o che qualcun altro dopo di lui si sia preso la briga di attuarla.
Per cercare di un dare un senso questa Storia che un senso non ce l’ha, sarà forse bene sottolineare un concetto-chiave: anticamente, il sangue era considerato alla stregua di una medicina.
Ritenuto in grado di dare all’organismo vigore ed energia, poteva essere somministrato (per via orale) a tutti i pazienti che sembrassero abbisognare di uno sprint in più. Insomma: veniva utilizzato come una specie di ricostituente, se mi passate il paragone.
Già gli antichi avevano l’abitudine di raccogliere il sangue che sgorgava dalle ferite dei gladiatori per somministrarlo ai malati. Sanzionata con severità dalla cristianesimo, che la riteneva una credenza superstiziosa, l’abitudine di tirarsi su con cocktail di sangue umano cadde in relativo disuso nel Medioevo per essere rispolverata in epoca umanistica. Citerò un esempio tra i molti: Marsilio Ficino riteneva che gli anziani avrebbero trovato grande giovamento dall’assunzione di sangue di giovanotti vigorosi, e suggeriva addirittura di miscelare il prezioso liquido con zucchero e acqua calda, qualora il malato fosse stato disgustato all’idea di berlo al naturale. Allo stesso fine, erano persino state create delle inquietanti ricette, contenute in numerosi ricettari per farmacisti, che permettevano di trasformare il sangue in una salsina aromatica, probabilmente non poi così dissimile dal sanguinaccio che ancor oggi è considerata una prelibatezza in molte cucine regionali.
‘nsomma: è in questo contesto che si situa la strana storia che sto per raccontare. In un contesto in cui era convinzione comune che far assumere sangue a un malato facesse bene a prescindere (vale a dire: anche senza che ci fosse di mezzo un’emorragia), e in un contesto in cui si riteneva che il liquido vitale avesse proprietà diverse a seconda del soggetto da cui veniva estratto. Il sangue più ricercato era appunto quello di giovani ragazzi muscolosi e sani, con un fisico pregno di quella vigoria che si sperava di poter trasmettere al paziente indebolito.
Ecco: è proprio in questo contesto che a qualcuno viene in mente di provare a vedere l’effetto che fa se facciamo assumere sangue animale a un malato di razza umana. Metti mai che la linfa della bestia possa trasmettere caratteristiche ferine al paziente in cura (poveraccio)?
La balzana idea venne per la prima volta all’anatomista Robert Boyle, che nel 1665 suggerì qualche sperimentazione al fine di comprendere “se il sangue di un mastino, trasfuso in un segugio o in uno spaniel, pregiudichi l’olfatto di quest’ultimi”. A buon diritto Boyle parlava di “trasfusione”, ché proprio in quel momento i medici europei stavano cominciando a sperimentare su cavie animali la tecnica innovativa, che quasi mai era stata tentata fino a quel momento.
L’idea di Boyle intrigò i medici della Royal Society, che però decisero di andare per le spicce e di saltare il passo della sperimentazione animale. Ergo: nel 1667 lanciarono un bando per la ricerca di una cavia umana disposta a sottoporsi al trattamento sperimentale, dietro pagamento di un adeguato rimborso spese. Si presentò loro un certo Arthur Coga, un trentaduenne laureato in Teologia all’Università di Cambridge che la cartella definisce “uomo molto bizzarro e stravagante”, affetto da una “innocua forma di pazzia”.
Scopo dell’esperimento era riuscire a comprendere se un po’ di questa stravaganza sarebbe stata attenuata da una trasfusione di sangue d’agnello: si pensava che la linfa vitale del mansueto animaletto avrebbe potuto avere “effetti positivi su un uomo frenetico come lui”, per dirla con le parole dei medici che condussero l’esperimento.
A tal fine, Richard Lower, affiancato dal dottor Edward King, decise di trasfondere nelle vene di Coga una quantità di sangue d’agnello pari a 9 once (poco più di 250 millilitri).
L’esperimento si tenne il 23 novembre 1667 e fu ripetuto il 12 dicembre dello stesso anno – e davvero vien da chiedersi quale sia stato il miracolo che impedì al povero Coga di morire sul colpo. Una banale spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che i due sperimentatori non trasfusero un granché, forse a causa delle difficoltà tecniche riscontrate fin da subito (qui, per i veri appassionati, è possibile leggere il resoconto dell’esperimento, messo per iscritto dal dottor King).
La terapia non uccise Coga, ma sciaguratamente non riscosse nemmeno gli effetti sperati. Come scrive Nick Groom, autore di un affascinante libro sui Vampiri e su tutte le strane credenze avvicendatesi nei secoli attorno al sangue,
il temperamento di Coga non venne molto ammorbidito dal trattamento. Tuttavia, a quanto pare, un cambiamento avvenne. Scrisse una lettera di supplica alla Royal Society, lamentando di essere stato trasformato in «un’altra specie» e costretto a dare a pegno i propri vestiti. O, come dichiarò in modo pomposo (e in terza persona): egli «acquista a caro prezzo il sangue delle vostre pecore, [pagando] con la perdita della propria lana, a bordo di questo suo ovino vascello derelitto che, come quello di Argo, si rivolge a voi per il vello d’oro». Si firmò «Agnus Coga» – Coga l’Agnello.
Non è noto se la Royal Society si sia lasciata impietosire da questa singolare richiesta di denaro o abbia dato credito alla bizzarra teoria secondo cui Coga proclamava d’essersi trasformato, a seguito della trasfusione, in un ibrido agnello-umano, inevitabilmente inadatto al lavoro.
Certo è che, per tornare a citare Nick Groom,
Coga non si rese conto di quanto era stato fortunato. Qualche mese prima, in Francia, Jean-Baptiste Denys aveva effettuato trasfusioni incrociate tra specie in due pazienti umani. Entrambi i soggetti morirono e Denys fu accusato di omicidio, anche se in seguito assolto. Nel gennaio 1668 un altro paziente (che aveva richiesto anche in questo caso un calmante per lo spirito) morì per una trasfusione simile e, nel 1678, il papa proibì questi trattamenti da animale a umano.
Gli Inglesi, notoriamente non troppo inclini a sottostare ai diktat pontifici, tentarono di portare avanti questa linea di sperimentazione usando come cavie i detenuti del manicomio criminale di Bedlam. Ma in questo caso fu il chirurgo interno alla struttura a rifiutarsi per una questione di coscienza, visti i dati che stavano emergendo sulla pericolosità di tale pratica.
E così, grazie al cielo, essa fu abbandonata. Nessun altro dopo Coga ebbe mai più la ventura (aehm) di ibridarsi in un uomo-agnello a seguito d’una trasfusione.
Alessandro Montani
Interessantissimo. Notevole anche il barocchismo della prosa di Coga!
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Lucia
Sì, se scriveva in un modo un po’ più contorto secondo me rischiava che quelli della Royal Society non capissero proprio il succo del delir… ehm, della richiesta 🤣
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Umberta Mesina
E poi parlano male dei vampiri, tse.
Ad ogni modo, fino a una settantina d’anni fa si continuava a ritenere, almeno nelle mie campagne, che bere il sangue di animali facesse bene alle persone anemiche. Mia madre ci ha raccontato più volte di una ragazza che conosceva da piccola (lei è del 1936) e che era costretta – ordine del medico – a bere bicchieri di sangue bovino che mio nonno, unico motorizzato della zona, le andava a prendere al mattatoio… Non so se funzionasse davvero.
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Ago86
Tenderei ad escluderlo
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