Siete time travellers in partenza per una vacanza estiva nel Medioevo, e non escludete l’eventualità di provolare un po’ con la popolazione autoctona? Se la damina che avete puntato viene da una zona e da un secolo in cui la presenza araba è sufficientemente massiccia da diventare rilevante, ecco a voi una pick-up line con effetto assicurato: ditele “nelle tue vene scorre il sorbetto” e poi guardatela sciogliersi di fronte a voi come un bicchiere di granita al sole.
Questa carineria (che a quanto pare potrebbe funzionare anche con le donne egiziane del terzo millennio: nel senso che ancor oggi, dalle parti del Cairo, dovrebbe esistere questo modo di dire) sembra singolarmente buffa alle orecchie di noi moderni perché… beh: il sorbetto è gelato. E, oggigiorno, approcciare una donna esordendo con un commento sulle linee di «hai il cuore di ghiaccio» non è esattamente la miglior cosa da fare per intavolare una conversazione galante. Eppure, nel Medioevo arabo, questo complimento riscuoteva tutt’altro effetto, venendo interpretato alla stregua di un «ogni parte di te è così dolce e refrigerante da essere desiderabile tanto quando una bibita fresca in un giorno d’afa»: che, in effetti (debbo convenire) non è poi così malaccio, come paragone.
L’aneddoto è interessante anche perché ci permette di fare qualche considerazione su cosa, nel Medioevo, dovesse essere il sorbetto nella cultura che lo inventò: ovverosia quella araba (che, sarà forse il caso di ricordarlo, per diversi secoli fu parte integrante di quella ispanica e quella siciliana).
In primo luogo, questo fatterello ci racconta che il sorbetto doveva essere un dessert particolarmente amato, tale da poter essere usato come metro di paragone per misurare l’avvenenza femminile: in effetti, sappiamo per certo che era festa grande, quando una famiglia riusciva a portare in tavolo quella prelibatezza.
In secondo luogo, se qualcuno di voi fosse ancora turbato per l’uso di una metafora legata al gelo nel contesto di un corteggiamento caldo e passionale: ebbene, sappiate che il sorbetto delle origini era squisito senza dubbio, e certamente refrigerante, ottimo per dissetarsi durante i mesi estivi… ma non necessariamente era fatto di ghiaccio. Anzi: il ghiaccio figurava tra gli ingredienti assai di rado. Dovremmo immaginarcelo più che altro come una bibita rinfrescante appena uscita dal frigo.
Non per altro. Le più antiche attestazioni del vocabolo arabo şerbet, risalenti al tardo Medioevo, sembrano essere usate in banale contrapposizione con il termine sharāb, utilizzato per indicare le bevande alcoliche. Agli occhi degli uomini medievali, lo şerbet era dunque una bibita analcolica, resa gradevole dall’aroma di frutta e fiori e dolcificata con abbondanti quantità di zucchero o di miele (ed era proprio questa, la parte più gradita dell’intero cocktail. Si pensava addirittura che fosse di buon auspicio, bere una bevanda così dolce e zuccherina). Non necessariamente questi şerbet erano freddi (potevano anche essere serviti a temperatura ambiente, anche se in estate naturalmente si cercava di rinfrescarli il più possibile), e certamente non era né facile né scontato portarli in tavola a temperature sottozero: il ghiaccio, all’epoca, era merce rara, appannaggio dei ricchi o di chi comunque era sufficientemente benestante da potersi permettere un una nevaia, e cioè un locale sotterraneo in cui immagazzinare inverno la neve pressata, creando un deposito da cui attingere durante il periodo caldo.
Ma, nel Medioevo, ben poche famiglie potevano permettersi questi lussi; e (informazione che forse vi sorprenderà) molte di quelle poche erano famiglie religiose. Nei monasteri più ricchi e popolosi, le ghiacciaie erano una risorsa relativamente comune (del resto, se vivi in uno stabile che spartisci con qualche centinaio di coinquilini, certi strumenti diventano facilmente gestibili e, soprattutto, sfruttabili al meglio): e non è un caso che provenga proprio da un’abbazia spagnola la ricetta del sorbetto che Mani di pasta frolla vi propone oggi, in una nuova puntata della nostra esplorazione tra Storia della Chiesa e Storia della cucina. Arrivato in Spagna durante gli anni della colonizzazione araba e rapidamente divenuto caro a tutta la popolazione, il sorbetto restò saldamente un caposaldo della cucina locale anche quando i suoi inventori furono respinti durante la Reconquista!
Dobbiamo però aspettare il 1581 perché un autore occidentale (e anzi, italiano specificatamente!) metta per iscritto quello che è del resto ovvio: e cioè, che anche i cristiani mangiavano sorbetto spesso e volentieri, avendone scoperta la ricetta grazie ai cuochi turchi, maestri nella preparazione di questo amatissimo dessert. Ed è curioso notare che tutte le lingue romanze, appropriandosi del termine arabo şerbet, lo latinizzarono in un modo di per sé innaturale: in base al modo in cui i Turchi pronunciano il vocabolo, ci saremmo probabilmente dovuti immaginare una naturale traslitterazione in scerbetto. Il sorbetto prese invece il nome con cui lo conosciamo grazie a una falsa etimologia che lo collegava al verbo latino sorbire: un altro indizio di come quel dessert fosse evidentemente molto meno solido rispetto ai nostri giorni. Dovremmo probabilmente immaginarcelo come una specie di granita (se andava bene, e avevi a disposizione del ghiaccio con cui mescolarla): fu necessario attendere la fine del XVI secolo (e numerose sperimentazioni andate a vuoto da parte di cuochi e di scienziati) per ottenere la tecnologia necessaria a dare al sorbetto quella consistenza semidensa che oggi ce lo fa considerare un dolce al cucchiaio.
Ma, per buona parte del Medioevo e della storia moderna, il sorbetto fu proprio questo: una sorta di granita. Lo si preparava con acqua fredda (o con ghiaccio finemente tritato, per chi ne aveva la disponibilità) unito a vino, liquori, spremute di frutta, o infusi di erbe e fiori a seconda del gusto e del contesto. Immancabile naturalmente lo zucchero (o miele), da versare in gran quantità; e c’era anche qualche visionario che, all’ultimo momento, aggiungeva al composto degli albumi d’uovo montati a neve per dare al tutto una consistenza più solida e cremosa. E poi via, di corsa, a servire le coppette in tavola!
Ma quando i primi pasticceri tentavano questa strada innovativa, il Rinascimento stava già cominciando a scivolare verso l’età dei lumi: e se quel dessert fatto di ghiaccio e albumi d’uovo non poteva ancora essere chiamato “gelato”, certamente ne era il nonno; o quantomeno il trisavolo. Ma questa è un’altra Storia.
Per approfondire: The Oxford Companion to Sugar and Sweets, a cura di Darra Goldstein (Oxford University Press, 2015)
Lurkerella
Un bel post rinfrescante! In Emilia però solo i ristoranti chic servono sorbetto “solido”. In genere è una bevanda cremosa al caffè o limone, spesso leggermente alcolica, alla faccia dell’etimologia
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Lucia Graziano
🙂
Ecco: quella, invece, leggevo essere una preparazione che inizia a diffondersi grossomodo in età vittoriana. La presenza di alcool nel sorbetto (che all’epoca era decisamente alta: si trattava proprio di una bevanda alcolica nel pieno senso del termine, con liquore) impediva al preparato di ghiacciare del tutto, dandogli quella consistenza morbida che rende effettivamente possibile il berla.
Si trattava però di sorbetti liquidi molto diversi rispetto a quelli del Medioevo, ecco. A parte la presenza di alcool nella ricetta, anche la consistenza era diversa, molto più corposa rispetto a quella del Medioevo. All’epoca, il sorbetto era proprio una bibita, con consistenze che spaziavano dalla granita all’estathè 😛
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