Un’avventura nel ricordo di Maria Antonietta: una storia (vera) di fantasmi, nell’agosto 1901

Testimonianza di Miss Morison circa la sua prima visita al Petit Trianon
Agosto, 1901

Dopo alcuni giorni a gironzolare da turiste per Parigi – una città che ci era del tutto sconosciuta – in un pomeriggio dell’agosto 1901 Miss Lamont e io decidemmo di visitare Versailles. Avevamo una contezza solo molto vaga di che cosa contenesse esattamente e di quali suoi punti meritassero di essere visitati; nessuna di noi aveva particolari aspettative, e anzi ci eravamo preparate all’eventualità di una visita tutto sommato noiosa.
Ci arrivammo in treno, e passeggiammo con piacere nelle stanze e nelle gallerie del Palazzo, pur dolendoci sulla nostra ignoranza sul tema, che probabilmente ci impediva di cogliere appieno la bellezza di quelle atmosfere: la mia conoscenza della storia francese era limitata a quel poco che ricordavo dalle aule accademiche, unita alle nozioni che avevo accumulato leggendo romanzi storici e il primo volume di French Revolution di Justin M’Carthy. […]

Finita la nostra visita ci sedemmo nella Sala dei Cristalli, dove un venticello fresco soffiava attraverso le finestre aperte; e realizzando che era ancora abbastanza presto, io proposi di andare a visitare anche Petit Trianon: non sapevo moltissimo a proposito dell’edificio, ma ricordavo di aver letto da ragazza che doveva essere qualcosa di simile a una fattoria in cui Maria Antonietta si divertiva a passare il tempo.

Avevamo con noi una guida turistica della Baedeker; consultando la mappa, vedemmo che esistevano due Trianons, e ci mettemmo in cammino per trovare quello che ci interessava. Poiché non avevamo chiesto indicazioni al personale, finimmo col fare un giro inutilmente lungo, scendendo le scale, andando avanti fino alle fontane e poi lungo il viale centrale, fino all’inizio del Grand Canal. Il clima era stato molto caldo per tutta la settimana, ma quel giorno il cielo s’era rannuvolato e il sole batteva un po’ meno forte; soffiava un bel venticello, il giardino era meraviglioso e la mia amica ed io ci sentivamo in piena forma: fu una passeggiata piacevolissima.

Raggiunto l’inizio del Gran Canal, ci spostammo a destra in direzione di un boschetto: […] se fossimo andate avanti sempre dritto, avremmo probabilmente raggiunto il Petit Trianon di lì a pochi minuti, ma non conoscendo la strada svoltammo, e ci incamminammo lungo un sentiero che si apriva davanti a noi. Quando vidi una donna che stava scuotendo un vestito bianco dalla finestra di una graziosa casetta a un lato della strada, fui sorpresa che Miss Lamont non avesse ritenuto di fermarsi per chiederle indicazioni, ma non feci commenti e mi limitai a seguirla, immaginando che lei conoscesse la strada.

***

E fu probabilmente una buona idea non indagare, ché in tal modo Miss Morison si risparmiò almeno qualche minuto di angoscia: perché se avesse chiesto alla sua amica come mai non avesse ritenuto di chiedere indicazioni a quella massaia, si sarebbe probabilmente sentita dare l’agghiacciante risposta “quale massaia? Qui non c’è nessuno. Ma poi ti pare che qualcuno possa vivere in quel rudere in rovina?”.
Sì, perché quella che state leggendo nella mia traduzione è una storia fantasmi: una vera storia di fantasmi, così come miss Morison e miss Lamont la diedero alle stampe nel 1911.

E allora, proseguiamo.

***

Chiacchierando del più e del meno (perlopiù a proposito dei nostri comuni amici in Inghilterra), proseguimmo lungo il sentierino e poi svoltammo a destra. […] A quel punto la strada si diramava in tre; e siccome c’erano due uomini un po’ più avanti a noi, sulla stradina, accelerammo il passo per raggiungerli – e questa volta sì, chiedemmo indicazioni. Tutto subito immaginammo che fossero giardinieri, perché si trovavano non lontano da una carriola e una vanga, ma col senno di poi va detto che avevano in realtà l’aspetto di funzionari di alto livello, vestiti con cappottini d’un elegante grigio-verde e con un cappello a tricorno.

Ci dissero di andare avanti per quella stessa strada. Li ringraziammo e proseguimmo, rimettendoci a chiacchierare del più e del meno, ma dal momento stesso in cui feci il primo passo lungo quella stradina avvertii inspiegabilmente abbattersi su di me una incredibile tristezza: una malinconia improvvisa e immotivata, che aumentava sempre di più di minuto in minuto, nonostante ogni mio tentativo di togliermela di dosso. Era del tutto inspiegabile: non ero fisicamente stanca, anzi avevo anche cominciato ad appassionarmi alla visita; la mia unica preoccupazione era che la mia compagna di viaggio dovesse rendersi conto di quel senso di oppressione che mi aveva presa. E che diventò insopportabile nel momento in cui la stradina finì biforcandosi in altri due sentieri, uno che proseguiva a destra e uno a sinistra.

Di fronte a noi c’era un boschetto, all’interno del quale si intravvedeva un piccolo gazebo circolare, circondato dagli alberi; vicino al gazebo, era seduto un uomo. Eravamo in un giardino incolto, con l’erba irregolare coperta di foglie cadute, come se fossimo davvero in un bosco; e gli alberi erano così fitti che non riuscivamo a vedere cosa ci fosse più avanti. D’un tratto, tutto il paesaggio cominciò a sembrarmi profondamente innaturale, e innaturale in modo spiacevole. Più avanzavo e più gli alberi mi sembravano piatti, bidimensionali, senza vita, come se stessi camminando tra i motivi decorativi di una carta da parati. Non c’erano ombre, non c’erano giochi di luce, non una singola foglia sembrava smossa dal vento. Era tutto intensamente immobile.

Alla nostra sinistra, l’uomo seduto vicino al gazebo (indossava un mantello pesante e un cappello a testa larga) ruotò il capo e ci guardò. Fu il momento in cui il mio malessere raggiunse il culmine e io fu invasa improvvisamente da una sensazione di vero e proprio allarme: quell’uomo aveva un viso repellente, con un’espressione odiosa, e la sua pelle era scura e butterata. “Da che parte andiamo?”, mormorai a Miss Lamont, ma dentro di me pensavo “niente al mondo mi convincerà a prendere la sinistra”. Fu con un enorme sollievo che in quel momento sentii qualcuno correre verso di noi, ansimando come chi ha il fiato corto per la fatica: immaginando che fossero i giardinieri di prima, magari venuti in nostro soccorso, mi girai di scatto… per rendermi conto che non c’era assolutamente nessun altro vicino a noi. Eppure al tempo stesso mi resi conto che era entrato nel mio campo visivo, dal nulla, un altro uomo, che se stava immobile vicinissimo a noi. Mi dissi che doveva essere uscito da una fenditura nella roccia (o qualsiasi cosa ci fosse dietro agli alberi che impediva al nostro sguardo di vedere cosa c’era oltre quel punto).

Quest’ultimo era chiaramente un gentiluomo: alto, con grandi occhi scuri, capelli piacevolmente ricci sotto un cappello a tesa larga. Era molto affascinate, e la sua pettinatura d’altri tempi dava l’impressione, per assurdo, che fosse un uomo d’altri tempi appena uscito da un ritratto. Aveva il viso arrossato come chi ha appena fatto un grande sforzo fisico: inizialmente pensai addirittura che si fosse scottato stando al sole, ma guardando meglio mi resi conto che era solo molto accaldato. Cosa comprensibile, se vogliamo, visto che aveva uno spesso tabarro nero con un lembo tirato sulla spalla, a fargli da sciarpa. In quella giornata senza vento, la stoffa del mantello ancora ondeggiava proprio come se lui avesse appena finito di correre. Fu con molta verve che ci allertò “mesdames, mesdames, il ne faut pas passer par là”. Indicò col braccio l’altra direzione e disse con grande concitazione “par ici… cherchez la maison”.

Ero così spiazzata da tutta quel suo affanno che mi girai di nuovo a guardarlo e lui abbozzò un inchino, accompagnandolo con un sorrisetto enigmatico. Disse anche molte altre cose che però non riuscii a capire bene; a ogni modo era chiaro che voleva a tutti i costi che andassimo a destra e non a sinistra. E siccome questo coincideva anche con i miei desideri, mi incamminai subito in quella direzione, verso un piccolo ponticello; dopodiché mi girai di nuovo per unirmi ai ringraziamenti di Miss Lamont che gli stava parlando proprio in quel momento – e scoprii, con mia sorpresa, che parlava al nulla, perché l’uomo era già sparito. Però si sentiva ancora il rumore dei suoi passi di corsa; sicuramente s’era appena allontanato.

Silenziosamente attraversammo il ponticello, che sovrastava un piccolo corso d’acqua: tanto vicina a noi che avremmo potuto toccarla con le mani, c’era una piccola cascatella che si gettava giù da una parete di roccia inondata di felci. Poi proseguimmo lungo il sentiero in un piccolo viale alberato che attraversava un prato di erba incolta, reso ombroso dagli alberi che lo costeggiavano. Nell’insieme, quello scampolo di terra aveva l’aspetto luttuoso di un abbandono selvaggio, e in qualche misura suggestivo: gli alberi nascosero alla nostra vista l’edificio fino a quando non gli arrivammo proprio davanti. A quanto pare, il Petit Trianon era una piccola casa di campagna, a pianta quadrata, con pareti spesse e solide – piuttosto diverso da come me lo sarei aspettata, francamente. Le finestre che davano a nord, sul giardino all’inglese (dove ci trovavamo noi) erano chiuse. C’era un ampio cortile lastricato, nella zona nord-ovest della casa; e nel cortile, a sua volta invaso d’erba alta, vedemmo una signora che se ne stava tenuta, davanti a un foglio di carta posato su un cavalletto. Immaginai fosse una turista che stava facendo schizzi della zona, forse dipingendo gli alberi visto che non c’era assolutamente niente lì attorno a parte quello. Ci vide, e quando le passammo vicino si girò per guardarci dritto negli occhi. Non era giovane, e sebbene il suo viso fosse di bell’aspetto non la trovai particolarmente attraente: aveva un cappello bianco a tesa larga, a farle ombra, dal quale facevano capolino un bel po’ di capelli chiari che le cadevano in boccoli sulla fronte […] e indossava un vestito stranissimo, incredibilmente fuori moda. Ricambiai il suo sguardo, ma per qualche strana ragione subito dopo sentii l’impulso di allontanarmi, come se la sua presenza in quel posto mi desse un inspiegabile e intollerabile fastidio.

Entrammo anche noi nel cortile, sperando che ci si affacciasse la porta d’ingresso; ma stavo cominciando a sentirmi come se stessimo camminando all’interno di un sogno. La totale immobilità, il senso di oppressione… erano così innaturali. […]
E poi, d’un tratto, una porta si spalancò e un giovanotto si affacciò nel cortile facendo sbattere l’uscio dietro di sé. Aveva la postura elegante di un maggiordomo ma indossava abiti comuni, non la livrea: ci chiamò, dicendo che l’ingresso era dall’altro lato, attraverso il cour d’honnoeur, e si offrì di indicarci la strada. E mentre ci faceva strada lungo il giardino, fino all’ingresso principale, ci guardava di sottecchi: sembrava stranamente affascinato dalla nostra presenza, come se fosse stupito di vederci lì. […] Arrivati all’ingresso ci diede ordine di fermarci e di aspettare, perché sarebbe arrivato di lì a poco un corteo nuziale: in effetti arrivò, con gli sposi e gli invitati che camminavano a braccetto in una lunga fila indiana. Avevano prenotato una visita guidata, e noi li seguimmo, al fondo della fila, visitando con loro le varie stanze, sebbene fossimo troppo lontani dalla guida per sentire bene quello che diceva. Fu in ogni caso molto interessante, e ci sentimmo d’un tratto rianimate, piene di energie, sollevate da quel senso di oppressione. Alla fine della visita, uscite dal cour d’honneur, salimmo su una delle carrozze che erano state predisposte per riportare indietro i visitatori e tornammo all’Hotel des Réservoirs a Versailles, dove prendemmo un tè. Ma nessuna di noi due sembrava particolarmente incline a perdersi in chiacchiere, a quel punto, e non parlammo più di quello che era successo quel pomeriggio.

Dopo il tè tornammo verso la stazione. Il sole si era fatto uno squarcio attraverso le nuvole inondando il giardino di Versailles della luce calda del tramonto, e più e più e volte il pensiero mi colpì, mentre il treno ci riportava a Parigi: era stato questo lo spettacolo che Maria Antonietta aveva visto, in quel suo ultimo viaggio fatale dal Trianon verso Parigi?

***

Per una settimana abbondante, non parlammo più di quel pomeriggio. Né io ci ripensai fino al momento in cui presi carta e penna per scrivere una lettera a casa e dare conto della nostra visita a Versailles della settimana prima. Mentre tornavo col pensiero a quel pomeriggio, la stessa sensazione onirica di oppressione innaturale mi piombò addosso con una tale forza che fui costretta a smettere a scrivere e a girarmi verso Miss Lamont per chiederle: “pensi che il Petit Trianon sia infestato dai fantasmi?”.
Mi rispose a colpo sicuro e senza nemmeno pensarci sopra: “sì”.
Le chiesi in quale punto esattamente avesse avuto quella impressione; “nel giardino, doveva abbiamo incontrato quei due gentiluomini; ma non solo lì”, e andò avanti a descrivere il senso di ansia e di malinconia che avevano colpito anche lei come me, e di come anche lei si fosse sforzata di non farmeli percepire […] e di quanta inquietudine le avesse messo l’uomo seduto vicino al chiosco. […]

Tre mesi più tardi, Miss Lamont era ospite a casa mia, e una domenica (era il 10 Novembre 1901) tornammo sull’argomento. Le dissi: “ad averlo saputo, avremmo potuto confrontarci con la signora che dipingeva”.
Mi guardò perplessa, dicendo di non aver visto nessuna signora che dipingeva.
Gliela ricordai – era la signora che dipingeva sul terrazzo – ma Miss Lamont insistette che il terrazzo era completamente vuoto. Protestai che era del tutto impossibile che non avesse visto quella donna (le eravamo passate così vicine!), ma era chiaro che Miss Lamont non l’avesse vista affatto (e nonostante anche lei in quel momento si stesse guardando attorno alla ricerca di qualcuno che potesse indicarci l’ingresso).  
Realizzando che un nuovo elemento di mistero si era aggiunto ad arricchire la nostra avventura, e iniziando a chiederci a questo punto quanto di ciò che avevamo visto fosse esistito realmente, ci risolvemmo a scrivere due diversi resoconti della nostra gita al Trianon e informarci un po’ di più sulla sua storia. Miss Lamont tornò nella sua scuola la sera stessa, e due giorni più tardi ricevetti da lei una lettera molto interessante che dava conto delle sue prime scoperte.

E. M.

Testimonianza di Miss Lamont circa la sua prima visita al Petit Trianon
(Agosto, 1901)

[…] Non sapevo cosa aspettarmi dalla giornata che progettavamo di trascorrere a Versailles, vista la mia globale ignoranza su quel luogo: per prepararci alla visita ci affidammo a quelle poche pagine dedicate alla Reggia dalla nostra guida turistica Baedeker, confidando nel fatto che avremmo sicuramente trovato cose da vedere una volta arrivate lì. Dopo aver passato un po’ di tempo nel Palazzo, scendemmo nel giardino per andare alla ricerca del Petit Trianon: camminando per qualche tempo in un viale alberato, vedemmo da lontano il Grand Trianon (ma decidemmo di non fermarci e proseguimmo verso la nostra meta). […] Costeggiammo alcune case di campagna, deserte, abbandonate, con alcuni attrezzi da lavoro che giacevano abbandonati nei loro cortili; provai a sbirciare se ci fosse all’interno qualcuno a cui chiedere indicazioni, ma non c’era nessuno. Tutt’attorno a noi c’era un desolante stato di abbandono, ma mi ci volle ancora un po’ prima di realizzare che senza ombra di dubbio ci eravamo perse e che senza ombra di dubbio c’era un’atmosfera molto strana nell’aria.

D’un tratto vedemmo due uomini in uniforme (di colore verdino) che tenevano qualcosa in mano (forse una staffa? Un bastone da passeggio?), non lontani da una carriola con altri attrezzi di lavoro. Su mia richiesta, ci dissero che per raggiungere il Petit Trianon dovevamo andare avanti sempre dritto; ricordo che chiesi conferma e feci ripetere loro le istruzioni perché mi avevano risposto in maniera meccanica, come se fossero sovrappensiero, ma tutto quello che ottenni fu di sentirmi ripetere le istruzioni esattamente nella stessa identica intonazione. Mentre ero lì a parlare con loro, vidi alla mia destra un cottage dall’aria piuttosto robusta, con gradini di pietra davanti alla soglia; sull’uscio se ne stavano una donna e una bambina, che mi colpirono per i loro abiti bizzarri: entrambe indossavano dei foulard infilati nel corsetto, e la ragazzina aveva un abito che le arrivava alle caviglie, nonostante non potesse avere più di tredici o quattordici anni, sormontato da uno strano mantelluccio bianco. La donna le stava passando una brocca.

Seguendo le indicazioni dei due uomini ci addentrammo lungo il sentiero, che per inciso sembrava portarci in una direzione tutta diversa rispetto a quella in cui pensavamo fosse il Petit Trianon: e c’era come una strana sensazione di solitudine e di tristezza, nell’aria. Cominciai a sentirmi come se stessi camminando dentro un sogno, con una sensazione di testa leggera che era così marcata da diventare disorientante. A un certo punto arrivammo a un crocicchio, e sotto un gazebo vedemmo un uomo con uno spesso mantello, di lana pesante, sulle spalle e un cappello a tesa larga; e fu a quel punto che il senso di disagio culminò nella certezza che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato, e inquietante, lì di fronte a noi. L’uomo si girò lentamente a guardarci: aveva un viso butterato dalla sifilide, di carnagione scura, con un’espressione malvagia che però al tempo stesso sembrava, per assurdo, del tutto indifferente a noi. […] Improvvisamente sentimmo un uomo che ci correva dietro, gridando “mesdames, mesdames!”, e quando mi girai verso di lui ci disse affannato – in un accento che mi sembrò strano – che “il ne faut (pronunciato fout) pas passer par là”, e indicò l’altra direzione, “par ici… cherchez la maison”. Eravamo piuttosto stupite dalla sua entrata in scena, ma gli eravamo grate per le indicazioni e lo ringraziammo, e l’uomo corse via con uno strano sorrisetto sulle labbra[…].

E infine arrivammo davanti al Petit Trianon. Il posto era completamente deserto, ma mentre entravo nel cortile ricordo di aver spostato lo strascico della mia gonna come se dovessi fare spazio a qualcuno vicino a noi, e di essermi poi chiesta perché avessi sentito questo impulso. Mentre eravamo nel cortile un ragazzo uscì dalla porta, e ricordo ancora molto bene il suono che fece la porta sbattendogli dietro: ci fece strada verso l’entrata principale e vedendoci esitare si offrì di accompagnarci, con il sorrisetto di chi sta cercando di dissimulare una marachella. Attraversammo i giardini, costeggiati dagli alberi: quel senso di cupezza era pesantissimo, quasi insostenibile, e continuò ad aumentare finché non entrammo nel Petit Trianon e ci unimmo alla visita guidata che due sposi avevano prenotato per i loro invitati. Finita la visita, tornammo indietro alla Rue des Réservoirs.

[…] [Dopo l’incontro con Miss Morison in cui emerse la volontà di mettere per iscritto quanto accaduto, NdR], tornai a Londra nel collegio in cui lavoro: era il 10 novembre 1901. Curiosamente, proprio l’indomani avrei dovuto dare una serie di lezioni sulla rivoluzione francese per le studentesse che si preparavano per l‘Higher Certificate, e solo in quel momento, ripassando i miei appunti, mi resi conto che il 10 agosto era una data di grande importanza per la Storia francese – e che noi avevamo visitato il Trianon proprio nell’anniversario di quel giorno. Quella sera, mentre mi apprestavo a mettere per iscritto la mia testimonianza, bussò alla mia porta una collega francese originaria di Parigi, e le chiesi se (così, per caso) le fosse mai capitato di sentire qualche storia di fantasmi legata al Petit Trianon. (Sottolineo che non le avevo assolutamente parlato di questa mia esperienza, né ne avevo fatto parola con qualcun altro che non fosse Miss Morison).

La collega mi disse a colpo sicuro di aver sentito dire che in un certo giorno di agosto Maria Antonietta viene avvistata con regolarità nel giardino di fronte al Petit Trianon, con un cappello a tesa larga e un vestito rosa. E che l’intera zona (soprattutto il giardino e le fattorie) sono infestate dai fantasmi delle persone che componevano il suo seguito, costrette eternamente a ripetere giorno e notte le occupazioni con cui un tempo avevano servito la regina. A quel punto le raccontai la mia storia, e quando le ripetei le parole che aveva pronunciato l’uomo affannato che ci aveva dato le indicazioni vicino al gazebo, cercando di riprodurre al meglio il suo accento, lei mi disse immediatamente che quella era la pronuncia austriaca del Francese. Dopodiché scrissi tutto questo per farlo sapere a Miss Morrison.

F.L.

***

Nel ricevere la lettera di Miss Lamont, presi il mio diario di viaggio per vedere in che data esattamente avessimo visitato Versailles, e poi andai in biblioteca per scoprire a quale evento alludesse parlando di anniversario. Il 10 agosto 1792, le Tuileries furono saccheggiate. La famiglia reale scappò nelle prime ore del mattino cercando rifugio presso l’Assemblea nazionale, che li trattenne nei suoi locali per diverse ore al termine delle quali i sovrani appresero di essere stati de facto detronizzati e ricevettero notizia del massacro a cui erano andate incontro le guardie svizzere e i loro servitori più fedeli, alle Tuileries. Dalla sala dell’Assemblea, il re e la regina furono trasportati, ormai prigionieri, alla Torre del Tempio.

Ci domandammo a quel punto se, nell’anniversario di quel giorno, non fossimo in qualche modo entrate all’interno dei pensieri malinconici fatti dalla Regina in quella circostanza, e se questa eventualità non potesse spiegare quel senso angoscioso di immobilità e di oppressione che ci aveva sopraffatte, riempiendoci di malinconia. Ipotizzammo che in quel 10 agosto lontano, in quelle ore di prigionia che Maria Antonietta aveva trascorso al Corcierge e nei locali dell’Assemblea, fosse tornata col pensiero ad altri agosti più felici che aveva passato al Trianon; e che lo avesse fatto con una intensità e una disperazione tali che alcune tracce del suo ricordo si erano impresse permanentemente nei luoghi verso cui il suo pensiero era tornato in quelle ore di angoscia.

***

Delusi dalla scarsa quantità di brividi che vi ha fornito questa sciapa ghost story? Beh: ma le “vere” storie di avvisamenti di fantasmi (vale a dire: le testimonianze dirette di individui che realmente sostenevano di aver vissuto queste esperienze; contrapposte alla finzione letteraria dei romanzi horror e della letteratura gotica) hanno quasi sempre un taglio di questo tipo, se sono testimonianze d’epoca. Raramente fanno sussultare sul divano per lo spavento, ma si focalizzano sulla disperazione, sulla tristezza arresa, sulla luttuosa stasi di una situazione che mette addosso malinconia, più che angoscia.

In ogni caso, la nostra storia non finisce qui. Nei mesi e negli anni a venire, le due protagoniste di questa avventura fantasmatica portarono avanti le loro ricerche, approfondirono a fondo la vita di Maria Antonietta e della corte di Francia, tornarono a Versailles e interrogarono il personale di servizio che lavorava nel polo museale (nonché alcuni storici esperti del periodo). Sebbene le donne dicessero di essere partite da posizioni scettiche, convinte che ci dovesse essere una spiegazione razionale per quanto avevano vissuto, più le loro indagini si approfondivano e più le due amiche si convincevano d’aver realmente assistito a un fenomeno inspiegabile.

Consultare illustrazioni d’epoca permise loro di scoprire che le divise indossate dai due “giardinieri” erano esattamente identiche a quelle usate dai funzionari di palazzo all’epoca di Maria Antonietta; e che anche gli inconsueti abiti femminili erano coerenti con la moda di quei tempi. Pensarono a quel punto di essersi imbattute in una rievocazione storica o in una festa in maschera organizzata da qualche gruppo di privati, e ne chiesero conto alla direzione di Versailles: si sentirono rispondere che sì, certo, capitava con frequenza che dei privati noleggiassero delle aree del palazzo per i loro eventi, talvolta divertendosi a mascherarsi con costumi d’epoca; ma quando gli impiegati controllarono dei loro archivi, si resero conto che non risultava alcuna prenotazione per il 10 agosto 1901. Apparentemente, nessun evento particolare s’era tenuto a Versailles in quel periodo, sennò ce ne sarebbe stata traccia.

Ma non solo. Parlare col personale di servizio di Versailles permise alle due amiche di scoprire che le costruzioni attorno al Petit Trianon erano disabitate da tempo, e anzi avrebbero avuto bisogno d’una certa manutenzione (un po’ come le aveva viste, in un primo momento, Miss Lamont); dunque era del tutto impossibile che vi ci si affacciassero delle finestre degli individui intenti a mansioni quotidiane come sbattere i panni o armeggiare con brocche d’acqua. Addirittura gli oggetti da giardinaggio che le donne dicevano d’aver avvistato vicino ai due “giardinieri” (?) erano diversi rispetto a quelli realmente in uso dal personale di servizio, che peraltro ci teneva a sottolineare d’essere gente che lavorava sodo e non batteva la fiacca: nei giardini di Versailles, l’erba era spuntata con regolarità e non esistevano zone del parco lasciate incolte.

E le anomalie non finivano qui. Tornando sul posto, le due amiche cercarono più volte di ripercorrere la strada esatta che avevano fatto per raggiungere il Petit Trianon, ma non riuscirono mai più a trovarla. Anzi, si sentirono dire che non esisteva nessuna cascata in quella zona del giardino (loro però erano convinte di averla costeggiata camminando su un ponticello!), né tantomeno un gazebo come quello vicino al quale avevano visto il minaccioso uomo butterato. A tal proposito, le due donne rimasero senza fiato quando se lo videro davanti una seconda volta, in un ritratto: l’uomo dei loro incubi aveva una straordinaria somiglianza con Joseph Hyacinthe François de Paule de Rigaud, conte de Vaudreuil, un nobile creolo (dalla pelle plausibilmente anche un po’ più scura di quanto non appaia nei suoi ritratti ufficiali), che era spesso e volentieri ospite a Versailles.

Ormai le due donne ne erano convinte: avevano assistito a un evento fantasmatico – o, per meglio dire, erano state in qualche modo risucchiate dentro il ricordo vivido e dolceamaro di una giornata felice al Petit Trianon, scaturito dalla mente di Maria Antonietta con tale e tanta disperata intensità da essersi impresso per sempre nei luoghi in cui la sua mente era tornata. Una specie di shock metafisico di tale angosciata potenza da ripresentarsi ogni anno, come capita talvolta alle persone che si trovano involontariamente a rivivere un trauma nell’anniversario dell’evento che l’ha generato.

E così, le due donne scelsero di dare conto di quel pomeriggio in un libretto che fu pubblicato nel 1911 sotto titolo di An Adventure e di cui ho trascritto i punti focali (dopo le testimonianze delle due donne, una lunga appendice illustra le loro indagini e i risultati emersi lungo dieci anni di ricerca). L’opuscolo attirò immediatamente l’attenzione delle masse: un po’ per l’enormità della storia che raccontava (due donne erano entrate nella mente di Maria Antonietta!), e un po’ per l’alto profilo delle sue due rispettabilissime autrici. Nonostante le due amiche avessero scritto sotto pseudonimo, divenne presto noto che tra i beninformati che le due involontarie medium erano Charlotte Mobery, preside del collegio di St Hughes all’università di Oxford, e la sua collega Eleanor Jourdain, docente dello stesso ateneo. Insomma, non le prime idiote che passano; né esattamente quel tipo di persona che ha interesse a rovinarsi la carriera con strane storie di fantasmi: eppure…

In quell’epoca inquieta che era l’inizio del Novecento, là dove persino le menti più acute e autorevoli si avvicinavano allo spiritismo e giocherellavano con le tavolette ouija nella convinzione di potersi mettere in contatto con gli spettri dei loro cari, molti credettero alla loro storia. Molti altri la trovarono troppo debole per risultar credibile; e tra i detrattori vi furono anche nomi eclatanti come quello della Society for Psychical Research, un ente che non era di per sé scettico a priori sulla possibilità di avvistamenti fantasmatici (anzi, esisteva proprio per indagarne la plausibilità), ma che semplicemente trovò troppo poco credibile il resoconto delle due amiche. In fin dei conti, non era successo nulla di davvero inspiegabile, in quel loro strano pomeriggio a zonzo per Versailles.

Molti fecero notare che la sensazione di disagio opprimente poteva semplicemente essere data dal protrarsi di una sfortunata passeggiata sotto il sole in un caldo pomeriggio d’agosto, nell’inquietante consapevolezza di essersi perse in un giardino enorme e senza nessuno a cui poter chiedere indicazioni. E anche tutto il resto della loro avventura si componeva d’eventi di per sé perfettamente normali: ché non c’è niente di davvero inspiegabile nell’incontrare nel parco di Versailles una pittrice che fa dipinti, due giardinieri che danno indicazioni stradali, un tipo brutto che si riposa all’ombra di un gazebo e un turista straniero accaldato che ci tiene a indirizzare per la strada giusta due compagne di sventura che danno l’idea di essersi perse. Solo a distanza di giorni (se non mesi, addirittura) questi eventi avevano assunto contorni angosciosi e densi di mistero: ma non sembrava impossibile essere di fronte a uno di quegli scherzi che di tanto in tanto fa la ente, quando si trova a rielaborare, col senno di poi, eventi oggettivamente ansiogeni (perdersi in un grosso giardino a ridosso dell’orario di chiusura) e avvenuti in un contesto scenico oggettivamente suggestivo ed emozionale (il Petit Trianon di Maria Antonietta: ne vogliamo parlare?).

Nessuno, a onor del vero, pensò che le donne fossero in cattiva fede, cioè che stessero millantando storie mai avvenute e ben sapendo di mentire. Si ipotizzò piuttosto un caso di folie à deux, una (rara) condizione psichiatrica in cui un sintomo di psicosi (spesso una convinzione delirante, frequentemente di tipo paranoico) viene trasmessa ‘per contagio’ dal paziente 0 a uno o più individui che sono legati a lui da stretti rapporti di affetto, e quindi tendono a dar credito alle sue parole. E certo, vi fu anche la spiegazione terra-a-terra di chi, semplicemente, credeva che le due donne si fossero trovate nel mezzo di un festino privato in maschera che per qualche motivo non aveva lasciato traccia negli archivi del palazzo; magari anche un festino dal sapore decadente e un po’ spinto (come in effetti se ne tenevano parecchi, a Versailles), a giustificare i sorrisi sornioni dei convitati, che si trovavano di fronte quelle due signorine ammodo e ridevano tra sé e sé indicando loro la strada giusta per unirsi ai festeggiamenti.

Charlotte Mobery e Eleanor Jourdain non cambiarono mai la loro versione dei fatti, continuando a sostenere la veridicità di quanto avevano raccontato e insistendo nel definire razionalmente inspiegabili tutti i piccoli dettagli, tutte le anomalie, tutte le sensazioni condivise che loro ben ricordavano di aver provato in quel pomeriggio disturbante. I loro eredi, però, furono concordi nel dire che le due amiche avevano probabilmente preso un grosso abbaglio, in quel loro pomeriggio a Versailles, o erano cadute vittima di chissà quale strano scherzo della mente: sicché, detenendo i diritti d’autore per il loro libro, diedero ordine che esso non fosse più stampato, nella speranza di far cadere nell’oblio questa storia.

Ci riuscirono solo in parte: ché se il grande pubblico effettivamente non la ricorda più, gli addetti ai lavori la ripercorrono spesso, trovandola gustosissima. Soprattutto per la motivazione anomala ipotizzata dalle due donne come causa di quel fenomeno: l’idea che un’apparizione fantasmatica possa essere generata da un ricordo traumatico che si imprime con particolare violenza nel nostro piano dell’essere non è del tutto inedita, e anzi era relativamente “comune” nelle prime decadi del Novecento (ebbe un piccolo boom di popolarità negli anni della Grande Guerra), ma di rado capita di leggerne un resoconto così dettagliato. Evidentemente, reso ancor più affascinante dal pensiero di star facendo un viaggio all’interno della mente traumatizzata di Maria Antonietta: e dici poco. Quando ti ricapita?

10 risposte a "Un’avventura nel ricordo di Maria Antonietta: una storia (vera) di fantasmi, nell’agosto 1901"

    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Vien da chiederselo 😐😐😐

      (Miss Morison disse poi di aver avuto l’impressione che il tizio minaccioso con la pelle butterata e il gentiluomo che sembrava uscito da un quadro stessero per sfidarsi a un duello d’onore – e che lui volesse farle allontanare probabilmente anche per quel motivo – ma non c’erano particolari ragioni per pensarlo, era stata solo una sua impressione).

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      1. Avatar di ac-comandante

        ac-comandante

        Stile Sliding doors… Se qualche sceneggiatore e/o regista ci leggesse.

        Lucia, perchè come header hai messo la versione tamarra del Bertrand de Born dantesco? Appena l’ho vista, nei servizi sull’apertura delle Olimpiadi, non ho potuto non fare quel parallelismo. Anche se l’epiteto di tamarra ce l’ha messo “la mia ragazza”.

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        1. Avatar di Lucia Graziano

          Lucia Graziano

          Un filmetto in realtà era stato girato su questa storia, nel 1981 dalla BBC. Però non ha avuto particolare successo e credo non ci abbiano nemmeno dedicato molto budget, ho visto qualche spezzone su YouTube e la regina non mi sembrava, diciamo, molto curata, almeno per gli standard di oggi 😅

          La versione tamarra, LOL 😂 In effetti ce l’ho messa volutamente, e non solo a scopo clickbait per cavalcare l’onda. Quando ho visto lo spezzone della cerimonia di apertura dedicato a Maria Antonietta, mi ha colpito davvero molto per la crudezza dell’immagine e per l’ostentazione della violenza, diciamo così; e mi hanno colpita molto anche le reazioni della presentatrice (era una presentatrice della CNN, avevo recuperato lo spezzone su YouTube) che esclamava “wow”, “bellissimo”, godendosi molto quell’atmosfera di sangue. E, appunto: mi ha colpito; a me personalmente, quello spezzone aveva generato più che altro sensazioni di inquietudine, visto che – nei fatti – ricordava anche molto vividamente una strage efferata (cioè, parliamo di tanta gente morta male e talvolta per motivazioni davvero risibili, eh).

          Avevo già in cantiere questo post sulla disavventura delle due turiste a Versailles, che in teoria pensavo di pubblicare il 10 agosto, e ho trovato molto stridente il modo in cui questa storia e la cerimonia olimpica si approcciavano agli stessi fatti: c’erano così tanta delicatezza e compassione, nelle parole delle due turiste inglesi. E mi è davvero sembrato di vedere le due facce della stessa medaglia, due modi radicalmente diversi di guardare allo stesso fatto. Donde (almeno per quest’anno) l’immagine di copertina; poi magari più avanti la sostituisco, non si coglierebbe nemmeno più il riferimento 😉

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  1. Avatar di Sconosciuto

    Anonimo

    beh a me un po’ di paura l’ ha fatta…sono una donna di altri tempi evidentemente 😅.

    l’ultima ipotesi è che le due donne abbiano semplicemente scritto un racconto di fantasmi a quattro mani, corredato da alcuni dati storici per renderlo più verosimile e pauroso…una novella insomma.

    elena

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      😂😂

      Perché io, quando muoio di caldo, sto male e basta, e l’altra gente che si becca le insolazioni si fa questi viaggi mentali che manco in un trip di roba buona? E’ una grande ingiustizia oh 😂

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  2. Avatar di Sconosciuto

    Anonimo

    Ciao Lucia, a mio parere le motivazioni addotte dalle due donne, cioé che potesse trattarsi di un viaggio nella mente angosciata di Maria Antonietta, sembrano la trama di “The grudge” o “The ring”, in cui emozioni negative fortissime restano stampate nei luoghi e interagiscono con i vivi.

    Personalmente credo veritiera la storia, ma dissento dall’interpretazione che ne è stata data, appunto del “viaggio” nella mente di Maria Antonietta. Tendo a pensare così perché Maria Antonietta era profondamente e veracemente cristiana: nel tragitto verso il patibolo di dice che guardasse con aria come impaziente le finestre delle case, e che si fosse tranquillizzata solo quando da una di esse un sacerdote, convenuto per l’occasione, le impartisse l’assoluzione da lontano.

    Dissento dunque dall’interpretazione delle donne principalmente perché sono certo che Maria Antonietta sia morta da autentica cristiana, senza lasciare sentimenti d’angoscia dietro di sé che potessero prendere la forma di un “sogno d’estate”.

    Non hai pensato, invece, che potrebbero essere stati, quei fantasmi che sono stati avvistati, anime di purganti che stavano purificandosi, come spesso si dice del Purgatorio, nei luoghi in cui avevano vissuto? Oppure, e questa riflessione me l’induce la sensazione di immobilità, solitudine, angoscia, che fossero direttamente anime provenienti dall’inferno stesso? Me lo fa pensare soprattutto il viso malvagio dell’uomo butterato, che più che a un mortale farebbe pensare ad un’anima dannata o a un diavolo….

    In ultimo – scusa il tedio, ma volevo condividere – penso che il corteo nuziale fossero anime beate, come m’indurrebbero a pensare il fatto, appunto, che fosse un corteo nuziale ma ancor più la sensazione di benessere provata dalle due donne quando si sono unite alla visita.

    Comunque tutto il mio rispetto e il mio amore alla famiglia reale, soprattutto a Maria Antonietta, che per me adesso è in Paradiso.

    Ciao e buon agosto, grazie di aver condiviso questa bellissima storia!

    Alessandro

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  3. Avatar di ac-comandante

    ac-comandante

    Come mai queste storie di fantasmi sono apparentemente un’esclusiva del mondo anglosassone?

    Da appassionato di ferrovie mi ero imbattuto nella storia di alcuni fantasmi… nella metropolitana di Londra! Non ricordo se fossero vittime di infortuni durante la costruzione o di incidenti successivi. Mai sentito, invece, di fantasmi nella galleria del Lötschberg, dove il tracciato compie un’ansa per evitare la sepoltura naturale di 25 operai (fu recuperata una sola salma), nè nelle contigue stazioni di Kandersteg e Goppenstein.

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Questa è in effetti una bellissima domanda. Di cui non conosco la risposta 😂 nel senso: nel Medioevo, le storie di fantasmi (intese nell’accezione cattolica di anime purganti che tornano tra i vivi per chiedere aiuto: quindi non il classico fantasma malevolo da “casa infestata” da horror story moderna) erano diffusissime in tutta Europa. E non è che le storie di fantasmi (anche nell’accezione di fantasma malevolo da horror story) siano del tutto assenti dal folklore di altre nazioni europee (o nordamericane, sol per quello), a me stessa ne venivano raccontate parecchie, da mia nonna piemontese, quando ero bambina. Però effettivamente le storie di fantasmi scritte da autori famosi e diventati classici letterari sembrano un appannaggio britannico (o quasi: in ogni caso, quelle scritte altrove non hanno mai raggiunto altrettanta fama). Probabilmente era una questione di gusti letterari, secondo me: nel Regno Unito d’età vittoriana, le ghost stories andavano fortissimo e quindi era un genere letterario molto gettonato in cui, prima o dopo, se eri un autore ti cimentavi. All’estero non erano altrettanto popolari, quindi non hanno prodotto letteratura e la percezione esterna è che il folklore del luogo non conoscesse proprio i fantasmi. Mentre invece no, bene o male di fantasmi ce ne sono sempre stati abbastanza, in giro per il mondo 😛

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