Tutti gli omicidi generano una certa fascinazione nel grande pubblico, e ben lo sanno quegli autori che hanno trovato nel true crime la loro miniera d’oro; alcuni delitti, però, spiccano sugli altri per la loro totale improbabilità. Ebbene, quella che vi sto per raccontare rientra proprio nella categoria delle storie troppo surreali per essere vere che però lo sono di là di ogni logica e statistica: quella che state per leggere è la storia di Malika Maria de Fernandez – e vi raccomando di leggerla fino in fondo, perché c’è il colpo di scena.
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Manchester, 24 marzo 1959: è il tardo pomeriggio di un mercoledì come tanti, nei locali dello Zanzibar Coffee Bar. Dietro il bancone lavora Malika: trentadue anni, capelli scuri, viso gradevole e corpo piacente. S’atteggia ad artista di successo ed è seriamente convinta d’avere un talento raro nella ritrattistica; all’atto pratico, serve ai tavoli di un bar “per arrotondare un po’ lo stipendio finché non potrà permettersi di essere un’artista a tempo pieno” (seee). Nell’attesa di sfondare nel mondo dell’arte, abita in una cittadina di provincia, si sobbarca un defatigante pendolarismo quotidiano e conduce una vita al di sopra delle sue possibilità economiche, complice una passione per i viaggi all’estero che non sono buon mercato oggi, figuriamoci nel 1959.
Nel bar entra un cliente, Peter Rainbird: trentatré anni, ufficiale di scalo per la British Overseas Airways Corporation presso il vicino aeroporto di Ringway. Portamento distinto, sorriso smagliante, uniforme che dona: si siede a un tavolo e ordina un’omelette, cominciando a chiacchierare con la bella cameriera. Il locale è praticamente vuoto, la conversazione diventa fitta e di lì a poco si trasforma in flirt. Lui la invita a sedersi al suo tavolo, lei accetta di buon grado, e due ore più tardi lui le ha già chiesto di sposarlo.
Peter non è ubriaco, casomai qualcuno se lo stesse domandando; e, no, non sta scherzando. Quattro giorni più tardi, lui e Malika sono marito e moglie, nel comprensibile sconcerto di famiglia e amici.
E qui siamo arrivati al punto in cui la trama si ferma un attimo e lo sceneggiatore inserisce qualche elemento che ricordi al telespettatore che, ehi, siamo nella Manchester del 1959. Che un uomo come Rainbird – non brutto, non scemo, in condizioni economiche non da disprezzare, con un posto sicuro in un’importante compagnia aerea e concrete prospettive di carriera nel medio termine – decida di sposarsi in quattro e quattr’otto con una totale sconosciuta… beh: non necessariamente è romanticismo da cronaca rosa, in quel contesto storico. Tendenzialmente, è strategia e calcolo.
Ché, nel 1959, nel Regno Unito, la pratica dell’omosessualità non era ancora stata depenalizzata: e Peter Rainbird, giusto per capirci, era un omosessuale assiduamente praticante. Per un uomo che non ci teneva a finire in carcere (e anzi nutriva ragionevoli ambizioni di carriera in un’azienda di rispetto), una moglie di facciata era un utile accessorio da sfoggiare per tener lontani sospetti e dicerie. Quanto a Malika… beh: anche lei doveva essersi fatta due conti, davanti a quell’omelette allo Zanzibar Coffee Bar. Probabilmente, lui le aveva fatto presente d’avere uno stipendio sufficientemente alto per mantenerla mentre lei si dedicava alle sue passioni: pittura e viaggi. I secondi, in particolar modo, avrebbero gravato ben poco sul bilancio, visto che ogni dipendente della compagnia aerea aveva diritto a un tot. di biglietti omaggio: insomma, quello tra i due sposini era un patto di mutua assistenza che, sulla carta, aveva anche qualche chance di di funzionare.
Spoiler: non funzionerà.
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Poco dopo il matrimonio, Malika prende il largo inaugurando quella vita da globetrotter che s’era faticosamente guadagnata a prezzo del suo cognome. Peter si sistema a Heathfield Cottage, una casetta di campagna a circa venti chilometri da Manchester, al limitare di un bosco, con suggestiva vista su una torbiera (ahò: ognuno c’ha i suoi gusti). Di lì a poco, nel cottage si trasferisce anche Phillip Clark, un “amico di vecchia data”, tra molte virgolette, che il padrone di casa aveva voluto come “coinquilino” per “dividere le spese”. A porte chiuse, Peter non gli fa mistero di come il suo sia solo un matrimonio di facciata: la moglie l’ha sposato per avere accesso al suo conto in banca; è – gli dice – l’omologo di una prostituta che si vende per denaro. Con l’unica differenza che, in questo caso, il cliente la paga per tenersi il più lontana possibile dal suo letto.
E, per un po’, tutto va bene, mentre l’insolito trio si gode il suo idillio: lei, in giro per il mondo a spese del marito; la coppia, nel cottage a vivere la loro quotidianità dorata. Sennonché, tutto d’un tratto, Malika torna a casa. E ha l’aria di avere molte recriminazioni da fare.
È il 27 ottobre 1960. Peter è al lavoro, e così pure il suo partner. Un vicino di casa nota una donna inviperita che gira attorno al cottage di Rainbird e armeggia con la serratura con fare assai losco. Lui non l’ha mai vista prima e sospetta che sia una ladra, o comunque una stranona arrivata lì per dare rogne: come si fa tra buoni vicini, alza la cornetta per avvisare Rainbird, e quella telefonata è l’inizio della fine. Peter lascia il posto di lavoro, telefona al partner per avvisarlo che ci sono problemi a casa e suggerirgli di dormire altrove per quella sera; poi sgomma verso il cottage, incontra Malika, inizia a discutere. Alza la voce, alza le mani, si sente rispondere per le rime: Malika (a quanto pare, ché non conosceremo mai la sua versione dei fatti) avanza pretese, chiede più denaro, minaccia di denunciare il marito e il suo compagno. Ed è quello il momento in cui Peter perde la testa: la strangola, la fa a pezzi con un’ascia e poi cerca di bruciare il cadavere. Quando il falò che ha improvvisato si dimostra drammaticamente inadatto allo scopo, passa al piano B: sacchi della spazzatura, un lancio nella torbiera lì a due passi… e poi di nuovo a casa, come se niente fosse, a far sparire le tracce dell’omicidio.
In quello, riesce molto bene.
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Rifiuto d’offendere l’intelligenza dei miei lettori con la frasetta politically correct per cui è pieno di gay che sono persone squisite e che non farebbero male a una mosca (e grazie al cavolo, voglio dire, mi sembra ovvio). Ma Peter Rainbird, con ogni evidenza, non rientrava nella categoria. Oltre a essere un assassino, era pure un pedofilo, un pappone e un adescatore di minori: nel 1975, lo ritroviamo a Portsmouth alla guida di un hotel che, all’atto pratico, era solo una copertura per la nuova attività che quella bella personcina aveva messo in piedi, dopo aver lasciato Manchester e l’aviazione. Con l’aiuto di un complice, Paul Russell Corrigan, il galantuomo adescava ragazzi minorenni per poi gettarli nel racket della prostituzione. La polizia li scopre, il giudice li condanna a sette anni di carcere; i due scontano la loro pena, riguadagnando la libertà nel gennaio del 1981.
Tempo pochi mesi, e Paul Corrigan ritorna alle vecchie abitudini seviziando e uccidendo un ragazzino di tredici anni. Torna in carcere e viene condannato all’ergastolo, ma i suoi avvocati si dicono certi di poter ottenere uno sconto di pena se solo Corrigan fosse disposto a collaborare con le autorità fornendo loro qualche informazione ghiotta. Il buon Corrigan la trova una buona idea, anche perché qualcosa da raccontare, in effetti, ce l’ha: chiama i detective e se ne esce con un “vi ricordate di Peter Rainbird? Quello che era stato condannato con me nel ’75 per quella storia della prostituzione minorile a Portsmouth?”.
Sì, i detective se lo ricordano; e trasecolano quando Corrigan rivela loro una confidenza che – a suo dire – il suo vecchio complice gli aveva fatto tempo addietro: quella cioè d’aver strangolato sua moglie, pochi mesi dopo il matrimonio.
Ohibò, salta fuori che la moglie di Peter Rainbird è sparita per davvero: nel 1961, il marito aveva anche presentato una denuncia di scomparsa. La polizia bussa alla porta del vedovo, che ovviamente nega tutto. Viene perquisita la casa; si setaccia la zona attorno al cottage dove Rainbird viveva all’epoca; la polizia risale al vicino di casa, al partner del tempo, alle amiche di Malika, e registra le loro deposizioni. Ma, alla prova dei fatti, non si scopre nulla di concreto, e del resto non si può certo accusare qualcuno di omicidio basandosi sulla confessione di un ergastolano che sarebbe pronto a tutto pur di ottenere uno sconto di pena. La polizia si vede costretta a chiudere l’inchiesta e a scusarsi con Rainbird per il disturbo.
Fine della storia? Ma anche no.
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Maggio 1983: torbiera di Lindow Moss, nel Cheshire. Due operai lavorano attorno a un nastro trasportatore che porta sul luogo di stoccaggio la torba estratta dalla palude, quand’ecco che nella fanghiglia notano un oggetto tondeggiante. A prima vista, pensano che sia un pallone da calcio finito chissà come nella palude; in ogni caso, è ovviamente uno scarto che va messo da parte, quindi lo prendono in mano… e quando lo guardano meglio, per poco non lo fanno cadere in terra per l’orrore: quella cosa tonda è in realtà una testa umana, con tanto di capelli ancora attaccati al cranio.
Orripilati, gli operai telefonano alla polizia locale, che sussulta: la torbiera di Lindow Moss è a meno di 300 metri dalla vecchia casa di Rainbird; chiaramente, quello che è stato portato alla luce è il cadavere della moglie uccisa! Finalmente, ecco le prove!
Nell’arco di poche ore, Peter Rainbird si trova Scotland Yard alla porta. Ma stavolta, messo di fronte all’evidenza, vede incrinarsi la sua sicumera: a che pro’ mentire, quando ormai les jeux sont faits? E dunque ammette tutto: racconta della lite feroce di quel giorno, delle pretese di quella moglie esosa e incontentabile che lo ricattava; di come l’abbia ammazzata sul patio di casa sua, di come l’abbia fatta a pezzi e poi gettata nella torbiera.
Tutto bene quel che finisce bene, ammesso e non concesso che si possa trovare qualcosa di positivo in questa triste storia. Ma la storia divertente inizia adesso: perché intanto, a Lindow Moss, i medici legali che sono accorsi per esaminare il cadavere cominciano a notare che quel cranio ha un aspetto… strano. Decidono di mandarlo a Oxford per ulteriori analisi, e il risultato è stupefacente: la datazione al radiocarbonio rivela che, al di là di ogni ragionevole dubbio, quelle ossa sono vecchie di circa millesettecento anni. Il cadavere di Lindow Moss è quello di una donna vissuta ai tempi dell’Impero romano, arrivato fino a noi in condizioni di conservazione singolarmente buone grazie al particolare ecosistema della torbiera, che preserva i corpi dai normali processi di decomposizione trasformandoli in quelli che l’archeologia chiama “mummie di palude”.
Peraltro sarebbe anche interessante capire, a questo punto, che diavolo ci facesse, nei tempi antichi, la gente del posto, attorno a ‘sta torbiera, visto che di lì a pochi mesi la palude di Lindow Moss avrebbe sputato fuori anche un altro cadavere risalente al I secolo d.C. (il famoso Lindow Man: qui vi raccontavo con maggior dettaglio la sua storia).
Insomma: decisamente, la donna di Lindow non è la moglie di Peter Rainbird. Che, in ogni caso, ha confessato l’omicidio, e dunque viene trascinato al banco degli imputati. La difesa prova a sgonfiare la confessione, a ridimensionarla, a presentarla come lo scatto emotivo di un innocente messo sotto pressione dalla polizia; e, ovviamente, non manca di far notare che il cadavere di Malika non è mai stato trovato, dunque non esistono prove tali da inchiodare l’accusato.
E no, non esistono. Però esiste la sua confessione, e tanto basta alla giuria. Peter Rainbird è giudicato colpevole di omicidio e viene condannato all’ergastolo: morirà in carcere. Stesso destino di Paul Corrigan, per la cronaca: la sua soffiata sull’ex-complice non servirà ad alleggerire la sua pena.
Il corpo di Malika Maria de Fernandez? Non è mai stato ritrovato.
Il cranio della donna che inconsapevolmente le ha dato giustizia è nei sotterranei del British Museum, catalogato come reperto di età romana sotto il nome di Lindow Woman. Neanche il resto del suo cadavere è mai stato trovato, nonostante gli sforzi degli archeologi che, speranzosi, lo cercano ancor oggi.
Per approfondire: Dick Kirby, Missing Presumed Murdered. The McKay Case and Other Convictions Without a Corpse (Pen & Swords Books, 2022)

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ac-comandante
Sì, non solo in Inghilterra (anche in Nordeuropa ci sono stati simili ritrovamenti) sono stati rinvenuti cadaveri, talora anche perfettamente integri, dentro le torbiere. Per alcuni di questi ritrovamenti si è pensato a vittime di sacrifici e almeno uno, non ricordo se in Danimarca o in altra zona della costa nordeuropea, a vittime di uno scontro armato di millenni prima.
Certo, l’ambiente (acido e anaerobico) aiuta a conservare.
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