La strana storia dello stonelifting di Indiana Stones (AKA: come ti risollevo una tradizione perduta – e più di un sopracciglio)

Questa volta niente santi, niente streghe e niente fiabe d’altri tempi: la storia che sto per raccontarvi è un po’ diversa da quelle che siete abituati a leggere da queste parti. È attualissima, è sulle pagine dei quotidiani (esteri) e sta creando un bel po’ di polemiche: insomma, l’antitesi perfetta di quel tipo di mondo quieto e polveroso che amo e che amo raccontare. Eppure trovo che questa sia una storia su cui vale la pena di soffermarsi, perché nasconde una domanda che riguarda tutti quelli che, come me (e voi), amano rovistare tra il folklore e le tradizioni tradizioni: cosa succede quando un rito antico torna a vivere – e lo fa nel presente, davanti a uno smartphone? E chi decide se questo revival nato dai social è un gesto “autentico”, o è solo una moda scema se non dannosa?

E allora, se il tema vi incuriosisce, venite con me alla scoperta della strana storia del tizio irlandese che passa il tempo a sollevar pietroni e che su questo hobby ha costruito un business, dando vita a una community di bodybuilders appassionati di folklore. Sì, davvero.

Il suo nome è Indiana Stones e, sì, questa è una storia vera.

***

Primavera del 2020: il mondo va in lockdown. C’è chi si dà alla panificazione folle, chi trasforma la lamentela in un hobby a tempo pieno… e poi c’è chi, senza neanche rendersene conto, getta in quel tempo sospeso le basi di un qualcosa che sarà destinato a cambiargli la vita.
Quest’ultima categoria umana ricomprende anche David Keohan, un quarantenne residente a Waterford, nell’Irlanda sud-orientale – il quale, trovandosi bloccato a casa per il lockdown, decide che, tutto sommato, non c’è necessariamente bisogno di una palestra per mantenere il proprio corpo in allenamento. Ci si può arrangiare.

Detta da lui, è un’affermazione di un certo valore: David, ormai non più giovanissimo, da giovane s’era guadagnato una certa nomea nei campionati locali di kettlebell (una sorta di sollevamento pesi); l’avanzar degli anni lo ha allontanato dalla pratica agonistica, ma non certo da un esercizio regolare in palestra. E se la pandemia gli impedisce di allenarsi in un contesto professionale, non gli potrà di certo impedire di passare del tempo nel giardino di casa sua – e caso vuole che nel suo giardino ci siano dei sassi. Dei grossi pietroni decorativi che, a suo tempo, erano stati piazzati lì a scopo ornamentale, ma che in quella primavera 2020 rifulgono d’un tratto per un’altra caratteristica: sono belli pesanti. Il che li rende preziosi.

Per tenersi in allenamento, David comincia a sollevare quelli; e, quando le restrizioni si allentano, inizia a fare passeggiate sulla spiaggia divertendosi a sollevare anche i sassoni che trova lì. A chi l’avesse visto da fuori, sarebbe probabilmente sembrato un pazzo: con la sua deformazione professionale da ex-atleta, David si trova però a pensare che quel nuovo passatempo gli pare decisamente interessante. Anzi: riesce a essere una sfida persino per uno sportivo che ha dedicato al sollevamento pesi buona parte della sua vita, visto che i sassi non hanno maniglie e presentano una forma irregolare, a tratti anche spigolosa. Insomma, occorrono delle skills specifiche per capire come afferrarli e come sollevarli in sicurezza senza rischiare di farseli cadere su un piede. Non è un gioco da ragazzi: e questo, a David, piace da morire.

Una sera, gli punge vaghezza di aprire Google per vedere se ci sia qualcun altro, in giro per il vasto mondo, a condividere il suo stesso hobby. Digita “stone lifting” e rimane ipnotizzato: uomini scozzesi in kilt che abbracciano pietre giganti in favore di camera, islandesi vestiti da vichinghi che sollevano massi enormi levigati dal mare. In altre parti del mondo, peraltro non lontane, lo stone lifting è a quanto pare uno sport vero e proprio (o, se non proprio uno sport, quantomeno un’attività socialmente riconosciuta da un discreto numero di persone). Il pensiero lo fa trasecolare: possibile che nella storia secolare dell’Irlanda sia stato lui il primo a farsi venire l’idea?

A questo punto, la sua curiosità diventa storica. Smanetta e smanetta, David finisce sul portale della National Folklore Collection, uno sterminato repertorio sulle tradizioni d’Irlanda curato dagli storici dell’Università di Dublino. E lì, il sollevatore di sassi si imbatte in centinaia di testimonianze che dimostrano che, no, il suo non è (stato) un hobby isolato: negli anni ’30, un’indagine nazionale condotta col supporto del ministero dell’istruzione aveva sguinzagliato per tutta l’Irlanda degli scolaretti che erano stati incaricati di fare un censimento sulle “pietre di forza” (si chiamavano così) presenti, all’epoca, nella nazione. Ridi e scherza, con la semplicità che ci si può aspettare da una ricerca scolastica a misura di bambino, quei ragazzini avevano dato forma a un repertorio niente male: racconti di nonni che ricordavano le gare tra chierichetti per vedere chi riusciva a sollevare più in alto il pietrone sul sagrato della chiesa; memorie di funerali in cui gli uomini della famiglia onoravano il defunto scagliando verso il cielo blocchi di granito, leggende locali di donne forzute che erano riuscite a sollevare i macigni più in alto del marito… e così via dicendo. All’epoca, i bimbetti avevano appuntato diligentemente il nome dei villaggi a cui si riferivano le testimonianze raccolte: e, ai giorni nostri, quell’elenco di toponimi si trasforma per David in una (letterale) mappa del tesoro.

Il nostro amico apre un profilo Instagram, ribattezzandosi con l’appellativo di Indiana Stones, e inizia a viaggiare per l’Irlanda per vedere se vi sia ancora traccia di quei massi della tradizione. In molti casi, sì: i sassoni sono ancora nell’esatto punto in cui erano stati censiti novant’anni prima. E da lì crea un format: si filma mentre li cerca e mentre li pulisce liberandoli da muschio e terriccio; li misura per consegnare ai posteri un censimento aggiornato al 2020… e, soprattutto, li solleva in favore di camera, pubblicando tutto sui social. Nei primi tre anni di attività, riesce a riportare alla luce non meno di una trentina di massi di cui s’era persa traccia (magari perché ormai erano stati inghiottiti dalla vegetazione). Ne racconta la storia, cita aneddoti e leggende cui è riuscito a risalire; intervista i vecchietti del posto, a cui non sembra vero di poter raccontare a qualcuno i propri ricordi d’infanzia. I suoi video, curatissimi, fanno il boom ricevendo apprezzamenti anche dagli storici di professione, che guardano ammirati al lavoro di questo folklorista fai-da-te con tanto tempo libero (e un canale social divenuto ormai monetizzabile) che svolge (tutto sommato bene) un lavoro che nessuno prima di lui aveva avuto modo o stimolo di portare avanti.
Ma c’è di più: nell’arco di poco tempo, Indiana Stones comincia a essere inondato di segnalazioni tipo “ehi, non so se lo sai ma anche al paese mio c’è un sassone di cui mi’ nonno buonanima mi parlava sempre” – insomma, l’ex atleta arriva a scoprire una parte di Storia che era sconosciuta persino agli storici di professione.

E, soprattutto, la divulga al grande pubblico. E lo fa bene.

Non vanifichiamo allora il suo lavoro, e dedichiamo due parole all’antica arte dello stone lifting, AKA “perché qualcuno dovrebbe provar piacere nell’alzare massi che pesano come un frigorifero di medie dimensioni?”.

Beh, esattamente per quello: nella tradizione e nella letteratura irlandese, le pietre sono state, per secoli, la misura di quanto un uomo valesse davvero. Nel mito, eroi come Oisín e Fionn Mac Cumhaill sollevavano macigni ogni tre per due, a sottolineare la loro forza; ma anche nel mondo reale i villaggi avevano quasi sempre il loro bel sassone che se ne stava in un posto d’onore, spesso in un luogo ritrovo o di passaggio. E sollevare ‘sti macigni era al tempo stesso un passatempo e un banco di prova: per esempio, culturalmente, in molti luoghi i ragazzini diventavano adulti solo quando riuscivano a “far passare il vento sotto la pietra”, cioè a sollevarla almeno di qualche centimetro. Gli adulti, ben più forzuti, amavano cimentarsi in questo sport nei giorni di festa, durante le fiere, ai matrimoni e persino ai funerali. Era una tradizione importante, ampiamente documentata da più fonti: e poi, tutto d’un tratto, andò a morire.

Quando? Perché?

Se lo chiedi a un Irlandese d’oggi, lui ti risponderà che lo stone lifting è morto, anzi è stato ucciso, nel 1840, spazzato via dalla Grande Carestia: la fame era tale che nessuno aveva più la forza di sollevare pietre, e la tradizione si perse proprio in quel momento. Un’immagine senz’altro teatrale… e proprio per questo falsa, come spesso capita in questi casi.  Dati alla mano, non esistono documenti che portino a credere che la pratica sia cessata improvvisamente a metà Ottocento (anzi, le ricerche scolastiche dei bambini degli anni ‘30 ci parlano di nonni che ricordavano ancora benissimo le loro sfide giovanili coi massi del villaggio – la Grande Carestia era finita già da decadi).

Il declino, probabilmente, ha cause più sottili: nel XIX secolo la migrazione di massa verso le città (…o verso gli USA) costrinse inevitabilmente ad abbandonare quei passatempi che, per loro stessa natura, erano legati a luoghi specifici dei villaggi aviti. Come se non bastasse, la nascita degli sport moderni aveva dato alla competitività nuove forme per esprimersi, in modi che probabilmente sembravano anche molto evoluti rispetto al vecchio masso ricoperto di licheni nella piazza del mercato.
E – dettaglio non irrilevante – in Irlanda lo stone lifting non divenne mai uno sport nazionale. In Scozia sì (fu inglobato negli Highland Games a metà Ottocento, e tanto bastò a dargli una certa allure); in Islanda restò una pratica molto viva tra i marinai, tratto che lo aiutò a sopravvivere attraverso i secoli. In Irlanda, invece, il passatempo restò un gesto spontaneo, mai istituzionalizzato né così specifico da diventare tratto identitario di una determinata categoria: e quando la società cambiò, il rito non trovò più uno spazio in cui sopravvivere. Poco teatrale, ma molto semplice.

Ma se non fu una carestia a far morire questa usanza, è comunque piuttosto spettacolare l’evidenza per cui fu una pestilenza a riportarla in auge, come abbiamo detto. Entro il 2023 Indiana Stones era già diventato un caso mediatico, con articoli giornalistici e servizi televisivi che gli venivano dedicati in Irlanda e all’estero. Questo strambo content creator aveva intercettato una tipologia di utenza del tutto particolare, che potremmo sintetizzare nell’improbabile definizione di “bodybuilder amanti del folklore” (o di “contadini che non avevano idea che dietro a casa loro ci fosse un pezzo di storia patria e si gasano moltissimo a venirlo a sapere”). Loro, i followers di Indiana Stones, preferiscono definirsi “storici con le mani callose”, e in effetti dietro al curioso hobby di sollevare massi si cela molto spesso un piccolo atto di riappropriazione identitaria: il loro passatempo equivale a dire “questa è la tradizione dei miei avi, e io la tengo viva”. E non poco, specie in un paese come l’Irlanda.

Questo revival, però, non è arrivato senza qualche polemica. Da un lato, la riscoperta dello stone lifting ha graziato i più sperduti paeselli irlandesi con un’ondata di turismo che sarebbe stata impensabile fino a cinque anni prima (per esempio, Indiana Stones ha followers che vivono all’estero e che attraversano l’oceano al solo scopo di mettersi alla prova con i massi più impegnativi. Sì, davvero). Dall’altro, questa moda ha sollevato preoccupazioni legate alla conservazione dei macigni: non tutte le pietre di cui parla Indiana Stones sono dei normali sassi abbandonati in mezzo alla strada; alcune appartengono a siti archeologici; altre sono poste vicino a tombe monumentali o fonti sacre che sarebbe bello non danneggiare anche solo per sbaglio. Qualche giorno fa, in occasione di un documentario dell’RTÉ che presumibilmente darà ulteriore sprone ai profili social di Indiana Stones, il National Museum of Ireland e il National Monuments Service hanno pubblicato un comunicato stampa che potremmo sintetizzare in una sorta di “regà, non facciamo idiozie: il sollevamento di pietre in siti storici può provocare danni gravi e irreparabili. Forse sarebbe meglio se vi deste una regolata, con ’sta nuova moda?”.

È bastato questo per scatenare la polemica. Molti si sono detti disgustati dal comportamento miope delle autorità, che invece di apprezzare queste attività di divulgazione storica si permettono di prendere le distanze disincentivandole. Alcuni archeologi hanno pacatamente fatto presente che ci sono effettivamente stati dei casi documentati in cui questi sportivi col pallino del folklore hanno finito col danneggiare dei monumenti di valore storico o comunque rischiato concretamente di farlo (per esempio, nel caso di un sito monastico medievale); la comunità degli stonelifters è insorta, lamentando che senz’altro quegli incidenti sono stati causati da degenerati al di fuori della loro community, visto che la prima regola dei seguaci di Indiana Stones è proprio quella di rispettare le pietre, lasciarle dove le si è trovate e non usare attrezzi che potrebbero rischiare di danneggiarle. Nessuno, tra di loro, vuole passare alla storia come il fesso che ha rotto una pietra millenaria; ma, evidentemente, al di fuori (?) di questa community ci sono appassionati che non si pongono il problema affatto.

Potrebbe sembrare una polemica da niente, ma in realtà è un dibattito che tocca aspetti molto più ampi del singolo caso di specie. Per esempio: se il fine è quello di preservare dal degrado un reperto storico, è giusto spingersi fino al punto di privarlo della sua funzione? Oppure il miglior modo per valorizzare questi sassi sarebbe lasciarli fare ciò per cui sono nati – e cioè essere sollevati di generazione in generazione – mettendo in conto un fisiologico danneggiamento col passar degli anni? È una discussione antica, che periodicamente si riaffaccia nel dibattito culturale: monasteri che vengono disabitati per evitare di danneggiarne gli affreschi, strumenti musicali che non vengono più suonati per non scalfire il legno, usanze che diventano musei di se stesse perché si grida allo scandalo ogni volta che qualcuno prova ad attualizzarle e, attualizzandole, sacrifica un po’ della loro storicità.

Anche nel caso di Indiana Stones si è fatto questo ragionamento: lo stone lifting proposto dal nostro amico è una costruzione moderna, nata come hobby pandemico ai tempi dei social network. Insomma, non c’è una tradizione ininterrotta che colleghi le prodezze leggendarie di Fionn Mac Cumhaill ai post su Instagram di Indiana Stones; quanto ai culturisti che vengono in Irlanda apposta per sollevare massi, qualcuno li potrebbe persino accusare di star compiendo un gesto di appropriazione culturale (già mi vedo qualcuno che urla “tornatevene a casa a sollevare i sassi vostri senza danneggiare i miei!”). In effetti, al di là di qualsiasi considerazione sulla bontà o meno di questa pratica, è pur vero che lo stonelifting modello 2.0 è una tradizione ricreata ex novo a partire da fotografie d’archivio e racconti di anziani, ma non priva di contaminazioni moderne – e, probabilmente, il mondo della cultura non sa bene come inquadrarlo, questo strano revival nato da una riscrittura partita dal basso: è una manna dal cielo? È una rogna in più da gestire?

Alla fine, tutto si riduce a una scelta di prospettiva: con quale sguardo vogliamo guardare al folklore?
Se lo guardiamo come a un reperto archeologico del passato, da conservare lucido e immobile come un pezzo da museo, certamente lo trasmetteremo intatto ai posteri attraverso i secoli: lo preserveremo dall’invecchiamento, il che è certamente un bene, ma gli impediremo anche di vivere. E questo è un bene?
Se invece lo consideriamo come a una cosa viva, che respira e inciampa, gli permetteremo di continuare a esistere anche fuori dai libri di Storia: col rischio che si rompa o che cambi così tanto da diventare a malapena riconoscibile… ma con la certezza di starlo vedendo vivere ancora.

Qual è la risposta giusta? Ah, io non lo so, e sarei anche curiosa di sentire la vostra: son sempre temi su cui nasce un bel dibattito, tra gente di buon senso. Certo è che, comunque la si voglia guardare, le pietre irlandesi di Indiana Stones sembrano dimostrare proprio questo: che non c’è nulla di più vitale (o di più autolesionista) di una tradizione antica che, nonostante tutto, si rifiuta ostinatamente di rimanere morta. E anzi, di botto torna popolare e ricomincia a imporsi.


Per approfondire:

David Nolan, Conor Heffernan, Tests of Manhood: Uncovering the History and Popularity of Stone Lifting in Ireland (Ulster University, 2025)

Una risposta a "La strana storia dello stonelifting di Indiana Stones (AKA: come ti risollevo una tradizione perduta – e più di un sopracciglio)"

  1. Avatar di Francesca

    Francesca

    “bodybuilder amanti del folklore” / “storici con le mani callose” -> alcuni direbbero che ha individuato molto bene la sua niche. E in effetti… Ci è riuscito molto bene!!

    Grazie per questa storia che non conoscevo.

    (Devo anche dire che negli ultimi anni la creatività del popolo irlandese, di tante singole persone con le loro idee originali che si sono fatte conoscere in rete portando novità o sviluppi particolari in settori xyz, mi ha colpita più di una volta).

    Guardando invece a noi, alle nostre attività sportive collegate al folklore… Beh, dai, anche come italiani abbiamo qualche fenomeno interessante. Proprio di recente stavo leggendo le discipline sportive riconosciute dal CONI (nota: “riconosciute” non significa necessariamente discipline olimpiche) e quando ho letto “lancio del formaggio” …mi sono chiesta se era un errore di battitura. Dopodiché ho googlato. Dopodiché ho continuato a leggere la lista per scoprire che forse il formaggio sportivo non era neanche la cosa più strana. C’è anche un gioco che si chiama “Palla Eh!” … e i lettori della regione italiana che lo pratica sanno di sicuro cosa è la Palla Eh! (comunque la particolarità in questo caso è più che altro la denominazione ufficialmente riconosciuta)

    ☺️👏

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