“L’impiegato si metteva la sua sciarpa di lana bianca e cercava di scaldarsi alla fiamma della candela; tentativo nel quale, non essendo egli un uomo dalla forte immaginazione, falliva”
I termosifoni non erano spenti, no; la temperatura media della classe si aggirava tuttavia attorno ai dodici gradi, nei giorni in cui il clima era più mite.
E come era possibile?, ci chiedevamo tutti, battendo i denti e tremolando.
La spiegazione tardava ad arrivare: i termosifoni erano accesi ed erano al massimo, ci assicuravano, ma gli effetti non si sentivano assolutamente.Il docente di Italiano è stato il primo a cadere, sotto una spiacevole bronchite e tre settimane ininterrotte di antibiotici.
Ha seguito la sua stessa sorte l’insegnante di Matematica e Fisica, che è riuscita a collezionare tre influenze nell’arco di due mesi. Non sono stati di meno, del resto, i miei compagni: i più determinati arrivavano in classe con tosse, brividi, ed occhi lucidi per la febbre, concedendosi regolari capatine in una sempre più affollata Infermeria; i più arrendevoli restavano a riposare nel loro caldo lettuccio, dimezzando la classe e rendendo quasi impossibile l’avanzare del programma.
Abbiamo tentato di prendere appunti con i guanti nelle mani; abbiamo cercato di essere carini ed eleganti anche con sciarpe e cappotti addosso; abbiamo provato, in un impeto di disperazione, ad abbracciare i gelidi termosifoni – ma senza apprezzabili risultati, ad esclusione di una gioia momentanea e fine a se stessa.
Abbiamo proposto l’acquisto – a nostre spese! – di una stufetta elettrica, ma l’idea è stata fermamente rifiutata, e bloccata sul nascere.
Abbiamo proposto il trasferimento in una aula vuota, ma ci è stato intimato di non dire stupidaggini.
Abbiamo ricevuto ripetute visite di cordiali e rubicondi omini delle caldaie, che dopo un grande lavorio nei sotterranei riemergevano alla superficie e puntualmente dichiaravano “Eh sì… fa freddo, fa freddo… coraggio“.
Alla fine, abbiamo compreso.
La nostra scuola evidentemente faceva tutto questo per noi: per consentirci, con un periodo di freddo, stenti, patimento e pene, un percorso ascetico volto a prepararci alla venuta di Cristo.
Dichiarandosi sinceramente e profondamente obbligati per tali attenzioni, alunni, genitori e docenti auspicano tuttavia che al ritorno in classe, terminato il periodo di Avvento e di preparazione spirituale al Natale di Nostro Signore, la situazione climatica possa essere vagamente più vivibile.
In compenso, non avendo a nostra disposizione neppure uno straccio di candela, come, quantomeno, accadeva invece per il povero l’impiegato del signor Scrooge, tentavamo di scaldarci al tepore delle luci elettriche che decoravano il nostro alberello di Natale.
Purtroppo, neppure noi siamo dotati di una fervida immaginazione.
“Oh, look, what’s this? They’re hanging mistletoe, they kiss… why that looks so unique, inspired?”
Fra pacchi, regali, auguri, abbracci, fiocchetti, doni, dolci e panettoni, sembrava davvero di essere fra amiconi – anche se qui le tensioni non mancano, le antipatie abbondano, e, in un qualsiasi altro giorno dell’anno, ci si potrebbe definire con un generoso eufemismo una classe “non particolarmente unita”.E non è stato solo per l’aria di “a Natale siamo tutti più buoni”.
E non è stato solo per la prospettiva di quindici giorni di vacanza, capace di acquietare anche gli animi più litigiosi.
E non è stato solo per la gioia per i regali, la sorpresa per gli auguri forse non aspettati, lo spirito di festa che si sentiva nell’aria.
A fine giornata, qualcuno ha avuto il coraggio di dirlo: “Ma ci pensate, ragazzi? E’ il nostro ultimo Natale assieme”.
E non è stato un caso, se per un attimo i sorrisi sono scomparsi dai nostri volti.
Anche questo, in fondo, è un topos: si inizia ad amare una cosa quando si capisce che si sta per perderla.
“Hell erglühn die Kerzen,öffnet mir die Herzen, will drin wohnen fröhlich,frommes Kind, wie selig.Kling, Glöckchen, klingelingeling, kling, Glöckchen, kling!“
Ha insistito, ha insistito, ha insistito; ed io, per quanto scettica, ho infine acconsentito.Quando scendi dal tram, l’ambiente che ti circonda tutto ti sembra, tranne che un paesino di Natale. Resti del mercato che si è tenuto lì la mattina, bidoni della spazzatura, giovincelli bucherellati dai piericing, con i vestiti strappati, che si urlano improperi da una parte all’altra della strada.
Ma se prosegui per un tratto, il caos e la confusione pian piano si allontanano. Fino a quando, improvvisamente, svolti un angolo e vieni investito da una ondata di luci e di decorazioni. Un trio di Babbi Natale, con fisarmonica, zampogna e strenne, sta suonando e cantando le più classiche melodie delle feste, mentre qualche negoziante, seminascosto dietro il suo banchetto ingombro di candele e pupazzetti, ha addirittura deciso di mascherarsi da folletto di Babbo Natale.
Più di così, cosa vuoi dalla vita?
I presepi si accompagnano alle marionette napoletane; i dolci tipici piemontesi si mescolano alle specialità salate: bagnetto verde, salumi, bagna cauda.
I bambini fissano estasiati le collezioni di gnometti, fatine ed elfi, mentre gli adulti ammirano ora la bravura di quell’artigiano, ora la qualità delle illuminazioni natalizie che abbondano su alberi, portici, case, campanili, chiese, bancarelle.
Una serie di frecce, passo dopo passo ti conducono a quello che è un piccolo cortile rettangolare, chiuso fra antiche case a ballatoi, silenziosissimo ed appena illuminato. Un Adeste fideles si diffonde appena nell’aria fredda, a partire da un grande, curatissimo presepe meccanico posto in un angolino, quasi in disparte.
Fuori dal palazzo di Erode, due schiave sbattono i lussuosi tappeti, mentre le guardie impediscono ai cittadini di entrare. Una donna riccamente vestita si affaccia da una torre, mentre si scorge un messaggero inginocchiarsi davanti al re, nella sala del palazzo.
Più in là, i contadini portano a pascolare le pecorelle. Il fornaio cucina sul fuoco il pane azzimo, mentre il falegname lavora con pazienza ad una piccola panca. Una madre culla il bimbo seminudo, mentre una anziana signora fa il bucato nel vicino fiume. In lontananza si scorgono i tre Magi chiedere la strada al pastore Gelindo, mentre, ormai vicino alla grotta, un asino carico di sacchi si impunta, e si rifiuta di proseguire, nonostante gli sforzi del padrone.
Attorno alla grotta illuminata sono già presenti decine di pastori, inginocchiati in preghiera; Giuseppe guarda Maria, che con dolcezza solleva i panni che coprono appena il Bambinello nella mangiatoia.
“Nonna… è bellissimo, qui…” sussurrava una bambina di sette – otto anni, fissando Maria con gli occhioni spalancati, mentre teneva per mano una anziana signora dai capelli bianchi.
E la meraviglia di quella bambina, quasi sembrava trasferirsi agli occhi dei tanti, silenziosi, visitatori del presepe.
“Suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla”
E pensare che fino agli anni Sessanta, il coro della scuola esisteva: e cantava anche per il Vescovo…!
Qui invece pensiamo solo allo studio, al volontariato, alle attività extrascolastiche. Giornalini, biblioteche, tornei, uscite didattiche: pensiamo a tutto, ma non al coro per le nostre Messe.
Ed è, effettivamente, un dispiacere. Soprattutto per le Messe speciali – come quella che viene detta per Natale, l’ultimo giorno di scuola. A Natale ci sono canti tanto belli, tanto melodici, tanto aggraziati… e poi, nessuno che sappia cantarli degnamente.
E che diamine, questo sì che è un peccato.Il nostro compagno di classe organista, suonando le ultime note di un delicatissimo Astro del ciel, quest’anno invece sembrava vagamente costernato, dopo aver sentito una esecuzione del canto tale da far invidia ad un coro di professionisti.
E dire che Astro del ciel non è facile.
E dire che Astro del ciel non è facile da cantare alle otto del mattino.
E dire che raramente, dopo una Messa e prima di cinque pesanti ore di lezioni ed interrogazioni, tutti i ragazzi hanno la pazienza di seguire gli ordini di un direttore improvvisato, e di attenersi scrupolosamente alle sue indicazioni.
E dire che nelle prove di un’ora prima, il canto aveva avuto una esecuzione scadente per non dire disastrosa.
E invece, nell’esecuzione finale, nessuna stonatura. Nessun acuto troppo acuto, nessun basso troppo basso. Nessuna chiacchiera e nessuno impegnato a far altro, piuttosto che a cantare.
Alla terza strofa, il professore più emotivo aveva gli occhi lucidi. Il direttore improvvisato dirigeva con aria assai perplessa, osservandoci con un che di incredulo. Un paio di insegnanti ci osservavano con una certa ammirazione, restandosene ben zitti, ad ascoltare.
Alla fine dell’ultima, sussurrata strofa, c’è chi ci ha stretto l’occhio, senza abbandonare la sua espressione incredula.
C’è chi ha fatto aleggiare a lungo, delicatamente, l’ultima nota, per non spezzare troppo in fretta la magia.
E c’è persino chi si è messo deliberatamente ad applaudire – sì, anche se eravamo in cappella. Quando ce vo’, ce vo’.
Elspeth
Ricambio con affetto i tuoi auguri. BUON NATALE! :*
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PiccolaKorny
augurissimi, dolcezza !!
PS = confermo … “favola” è proprio quella che ti hanno fatto ascoltare per telefono 😛 dura 6 minuti … e dice sempre le stesse cose 😛 però è bella.
baciiii
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ArancioMacchia
Auguri di Natale e di Buon anno nuovo, Lucia! :****
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utente anonimo
Il natale uccide.
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PiccolaKorny
Buon 2007 *__________*
Su…L’ultimo sforzo, sì 😛 Mi consolo così u.u
Bacissimiiiiii !!!
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Lucyette
E io ringrazio tutti… toh 😛
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utente anonimo
belli questi messaggi! =D Ilariaciao a tutti!!!!!!!!!!!!!…ahhhh…. mi diverto un sacco a mettere gli emoticon
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Pingback: 31 gennaio « Una penna spuntata