Come oggi, anni fa

Ore 19.
Don Francesco Cavallo impartisce la benedizione, rimette a posto il suo rosario, e si accomiata dai parenti della defunta che si erano riuniti in duomo.
Annusa l’aria, storce il naso, aggrotta le sopracciglia già imbiancate dall’età. Si sente un odore strano, di qualcosa che brucia, come quando si consuma la guaina di un filo elettrico. Perplesso, fa il giro dell’altar maggiore e controlla tutt’intorno: quell’odore c’è, si sente, ma non si nota nulla di anormale.
“Mah”.
Don Francesco si stringe nelle spalle, perplesso, e si ritira in sacrestia.

Ore 20.
Kofi Annan, accompagnato dalla moglie, si siede finalmente a tavola, nel Palazzo Reale agghindato a festa.
Affamato, fa scorrere lo sguardo sul menù: una sfilza di piatti tutti piemontesi, che solleticano l’appetito degli importanti ospiti. Filettuccio di manzo affumicato, risotto all’asparago, arrosto con salsa al ginepro… yum.
Kofi Annan si sistema meglio sullo schienale della sedia, e si riposa finalmente dalle fatiche della giornata. Un viaggio lunghissimo fino a Torino, per inaugurare lo Staff Colleg Project per una scuola destinata alla formazione dei quadri dirigenti ONU, che avrà sede proprio in Piemonte…
Sorseggia un po’ di moscato d’Asti, stanco, e si rilassa.

Ore 21.
Don Francesco esce dalla sacrestia; per poco, non si lascia scappare un moto di stizza.
Lo strano odore di bruciato c’è ancora, gli sembra quasi un po’ più intenso. Chiama il sacrestano e gli raccomanda di dare un’occhiata in giro, e in fretta.

Ore 22:50.
A Palazzo Reale, in portineria, si accende una spia luminosa sul monitor.
Il portinaio non ci fa troppo caso, occupato com’è a chiudere il Palazzo dopo che la delegazione ONU se n’è andata.

Nei sottotetti del Palazzo, i rilevatori di fumo fanno scattare il primo allarme.
I custodi, un po’ scocciati, salgono nei locali indicati dal sistema antincendio, e danno un’occhiata al volo.
Niente di anormale.
Boh?
Si tratterà d’un guasto.

Ore 23.
Don Francesco si infila il giaccone, chiude la porta del duomo, e si avvia velocemente verso la casa parrocchiale. Pochi passi, e ha oltrepassato la soglia di casa sua: si toglie la giacca ed i vestiti, e si prepara per la notte.

Ore 23:10.
Un vigile urbano passeggia sotto il porticato del cortile di Palazzo Reale, dove si è appena conclusa la cena di gala: è di turno, come servizio sicurezza.
Avverte un leggero odore di bruciato, e fa spallucce. “Cavolo. Quelli del catering devono aver combinato un pasticcio, lì in cucina”.

Ore 23:30.
Nella portineria di Palazzo Reale, il quadro luminoso s’illumina per una seconda volta. I custodi aggrottano le sopracciglia, ritornano per controllare: c’è un odore strano, effettivamente.
Si affacciano a una finestra, per capire se l’odore venga da fuori, e vedono le fiamme sotto di loro.

Ore 23:40.
“Vigili del Fuoco, buonasera?”.
“Sì, ascolti… ero sul balcone di casa mia a fumarmi una sigaretta, e ho dato uno sguardo alla Cappella della Sindone che è qui di fronte. Ecco: ci sono delle fiamme verdi, alte, come se bruciasse del gas… penso ci sia un incendio, fate al più presto”.

Ore 23:47.
“Vigili del Fuoco!”.
“Ehm… buonasera, mi scusi: sto chiamando da Palazzo Reale. Avremmo bisogno dei pompieri: c’è la… C’è la Sindone che va in fiamme”.

Erano esattamente quattordic’anni fa, l’11 aprile del 1997.
Gli allarmi si susseguono, e confermano l’incendio: il rogo sta devastando la Cappella della Sindone, e si è già esteso al torrione nord-ovest di Palazzo Reale (che, per chi conosce Torino, è letteralmente attaccato al duomo).
La prima squadra dei vigili del fuoco si arresta sul sagrato alle 23:55: entra in Duomo e verifica che l’incendio divampa in tutta la Cappella, piccolo capolavoro barocco del Guarini.

Il primo pensiero, disperato, corre alla Sindone: i Torinesi, attoniti, se la immaginano avvolta dalle fiamme; si sentono mancare.
In realtà, la Sindone non si trova dentro alla Cappella, nella quale erano in corso dei lavori di restauro: da alcuni anni, per agevolare i lavori di cui sopra, era stata spostata dietro all’altar maggiore, nel coro della Cattedrale. La custodiva una struttura antisfondamento e antiproiettile, costruita apposta.
Ma questo non vuol dir niente, l’incendio è immenso: le fiamme hanno già avvolto la Cupola, si stanno allargando al duomo vero e proprio. Il primo pensiero di tutti è quello di trarre in salvo il lino, che non è mai sembrato così mostruosamente in pericolo

Don Francesco, che è parroco del duomo, viene buttato giù dal letto e corre immediatamente sul sagrato, attonito. Arriva anche l’arcivescovo, c’è una folla incredula che fissa la Cappella: lingue di fuoco che escono dai finestroni, fiamme che squarciano la notte…
Qualcuno prega; qualcuno sgrana gli occhi, lucidi.

I pompieri puntano le pompe contro la teca in cui è custodita la Sindone; la annaffiano d’acqua, per raffreddarla nonostante il caldo infernale di lì dentro. Una prima squadra prova a avvicinarsi per mettere in salvo la reliquia, ma è investita da una pioggia di frammenti di pietra, calcinacci, e detriti roventi. È chiaro che vi è il pericolo di crolli: è chiaro che la Sindone dev’esser tratta in salvo, subito, e che l’impresa è rischiosa per i pompieri stessi.

Come si apre, questa cavolo di teca, che è fatta di cristallo spessissimo e antisfondamento?
Si apre con un complesso meccanismo di sicurezza, e occorrono due chiavi: le chiavi arrivano, dalle mani tremanti di don Francesco, ma si viene a sapere che il meccanismo ha tempi lunghi (parliamo di mezz’ora). E non c’è mezz’ora di tempo per salvare la Sindone, che cavolo
Si prova a frantumare la teca a colpi di mazza: sotto una pioggia di acqua, fumo, calcinacci roventi e frammenti di pietra, i pompieri si alternano a vibrare colpi sui vetri, ma senza risultato alcuno.
Allora si prova con le chiavi e col meccanismo di apertura (sarà anche lungo, ma diversamente non se ne viene a capo): ma è con un vago senso di panico che si scopre che il meccanismo si è bloccato, a causa dei colpi di mazza inferti al vetro.
L’aria è irrespirabile, fa così caldo che il sudore ti si scioglie addosso: il fumo toglie il fiato, e diminuisce la visibilità. Si spalanca il portone del Duomo, per far uscire un po’ di fumo, ma l’improvviso flusso d’aria provoca il classico “effetto camino” e l’incendio divampa in alto, ai lati, ovunque.

E nel frattempo si continua a colpire il vetro con forza, sotto una pioggia di acqua, fumo, sudore, e calcinacci. Il tentativo di sfondare un cristallo antisfondamento sembra sempre più disperato; e le forze vengon meno.

Si chiama Mario Trematore, scriverà La Stampa il giorno dopo, l’uomo che, forse, ha salvato la Sindone dal fuoco e dai crolli. Quando tutto sembrava perduto, e il fuoco indomabile, si è lanciato fra le fiamme; e, mentre tutto intorno crollava, scoppiava, e bruciava, con una grossa mazza di ferro ha cominciato a tempestare di colpi la teca di vetro antiproiettile che protegge la reliquia.
Come è riuscito a togliere la Sindone da quell’inferno? “Non lo so, non lo so. O meglio, ho trovato la forza in quel simbolo, il simbolo della Sindone. Pensi che quel vetro resiste ai colpi di proiettile. Sono riuscito a romperlo lo stesso. Quasi un miracolo”.
È ferito alle mani e al volto, Trematore. Sanguina: i segni delle schegge degli otto strati di vetro antiproiettile, che saltavano da tutte le parti, uno a uno sotto i suoi colpi, sono profondi.
Quando ha deciso di intervenire in quel modo? “Quando tutto sembrava perso. La cappella del Guarini stava venendo giù a pezzi, e c’era il serio pericolo che travolgesse tutto: teca, altare, noi. Allora mi sono buttato tra le fiamme con quella mazza, e sono riuscito a salvare, spero, la Sindone. Non c’era altro fa fare, a quel punto. La stavamo perdendo per sempre”.

E così, la cassetta d’argento che custodisce la reliquia viene tratta in salvo, portata via da quell’inferno. Mario Trematore prova a consegnala a un prete, ma lui rifiuta, non riesce ancora a crederci: ha paura di toccarla, scosso. E allora la si consegna agli addetti della sicurezza, e la si porta a spalle sul sagrato della chiesa: la piazza, nel frattempo, si è riempita di fedeli in preghiera, che accolgono la Sindone con un boato di gioia.

Da subito, si nota che la cassetta è intatta.
I nastri rossi fissati da sigilli di ceralacca sono perfettamente in ordine: erano stati applicati all’esterno della cassa in occasione di una ostensione privata, nel 92.
La Curia di Torino usa la ceralacca comune, del commercio, che fonde a 150°. La ceralacca è intatta, non si è sciolta: e siccome il lino della Sindone pirolizza a 200°, si può avere fin d’ora la certezza che la reliquia – anche questa volta – è salva.

La Sindone si è salvata per una… casualità? Colpo di fortuna? Straordinaria coincidenza?
Fate voi.
Fatto sta che, là dove la Sindone avrebbe dovuto esser custodita se un caso fortuito non l’avesse spostata altrove, l’incendio ha devastato tutto.
Le temperature hanno raggiunto i 1000 gradi; e quasi nulla si è salvato.
 


 

3 risposte a "Come oggi, anni fa"

  1. Lucyette

    Io… c'ero, in un certo senso. Piccolina e nel letto di casa mia, ma "c'ero". Seguirà post personale 😉

    I restauri sono andati malissimo: o meglio, non sono andati proprio. Sono ancora in alto mare. Chi è venuto a Torino per l'Ostensione della Sindone, lo scorso anno, si sarà magari accorto che la Cappella del Guarini è ancora tutta piena di impalcature. E chi venisse a farsi un giro nel duomo di Torino, adesso, noterebbe che dietro l'altare c'è un trompe l'oeil che copre tutta la zona interessata dall'incendio… perché appunto, non è stata ancora restaurata. Forse, se tutto va bene, i lavori di restauro dovrebbero finire attorno al 2015 (a quasi vent'anni dall'incendio!).

    Se hai cuore, qui puoi vedere un video esplicativo:

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  2. filippociak

    Argh…  2015? Casse stivate in giro?  "Incendio scoppiato […] in occasione dei restauri che erano appena stati terminati"??? Oltre al danno la beffa! Io sono stato a Torino solo una volta, in prima liceo… ebbene, la scempiaggine adolescenziale ha colpito ancora: non ricordo quasi nulla del Duomo!!

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