La vera storia di Juracku e Cyla

Lui era il detenuto 243. Uno dei primi, insomma.
Bel primato, per modo di dire: soldato polacco catturato mentre cercava di mettersi al sicuro oltreconfine, era stato uno dei primi a conoscere l’orrore della dominazione nazista, e le atrocità di Auschwitz. Era stato il suo Tedesco fluente, a salvargli la vita: per i nazisti era sempre molto comodo avere qualche prigioniero a cui poter dar ordini, con la certezza che l’altro ti capiva. E così, Juracku era scampato ai forni crematori: i kapò lo avevano incaricato del trasporto dei cavaderi.

Lei era la detenuta 29558.
Ebrea polacca, deportata dal ghetto di Lomza: aveva visto morire i suoi genitori, due fratelli, e una sorella.
Internata ad Auschwitz, aveva cominciato a lavorare con gli altri detenuti.
Ed era stato in questo modo che il suo sguardo aveva incrociato quello di Juracku, per la prima volta.

Lui era un anziano: un prigioniero anomalo che godeva di qualche libertà di movimento, in virtù dei lavori “socialmente utili” che svolgeva dentro al lager. Aveva intravvisto quella ragazza, ne era stato folgorato; si era informato sul suo conto. E con calma, aveva preparato un piano.
Un giorno era riuscito a avvicinarla; le aveva detto “forse riuscirò a salvarti. Dammi fiducia”.
Le aveva promesso che un ufficiale tedesco sarebbe arrivato a prenderla, per condurla fuori dal lager

…e lei, Cyla, l’aveva preso per pazzo, naturalmente.
Sennonché, l’ufficiale tedesco era arrivato per davvero: era Juracku, con una divisa rubata dalla lavanderia e il pass di un kapò che aveva scovato in una tasca.
Il prigioniero polacco fu sicuro di sé. Fu un buon attore. Si avvicinò alle guardie e disse, perentorio: “devo portare questa donna al comando, per un interrogatorio urgente!”.

I nazisti ci cascarono.
La fuga riuscì.
Incredibile, ma vero.

Dieci giorni a marciare nei campi della Polonia, stremati, senza cibo e senza acqua, alla ricerca di un rifugio sicuro. Dieci giorni di incredulità, di riconoscenza, di preghiera; di promesse di amore eterno. E poi, inevitabile, arrivò l’addio: i due innamorati dovevano separarsi, almeno per il momento.
“Ci rivedremo”, gli disse Cyla. E poi si nascose in una fattoria, per sfuggire alle retate.
“Ci rivedremo. Te lo prometto”, risposte l’uomo. E raggiunse la Resistenza, per servire la sua Patria.

Ma Juracku non tornò.
Le promesse di amore eterno sono una cosa abbastanza aleatoria, quando c’è di mezzo una guerra mondiale e un genocidio.

E Cyla, credendolo morto, fuggì a New York.

Ma Juracku non era affatto morto, pover’uomo. Era provato dalla guerra e un po’ malconcio, okay: ma vivo.
Quando tornò alla fattoria in cui aveva lasciato Cyla, venne a sapere dai fattori che lei era scappata all’estero, e viveva negli Stati Uniti.

“Stati Uniti”. È un posto grande. Mica si può girare casa per casa in tutti gli Stati Uniti andando alla ricerca di una donna.
Col cuore in lacrime, Juracku tornò a casa.

Dalla Polonia, continuò a pensare a Cyla.
E dall’altro capo della cortina di ferro, Cyla continuò a pensare, e a pregare, per Juracku.

Passarono all’incirca quarant’anni, da quel giorno.
Cyla invecchiò, si indebolì, e fece venire a casa sua una volenterosa colf polacca. Un giorno, le due signore cominciarono a parlare della Polonia: Cyla volle sapere come si stava in Polonia adesso; la ragazza volle sapere come si stava in Polonia ai tempi della guerra. E Cyla, con un sorriso nostalgico, cominciò a raccontare la storia, dolce e assurda, del modo in cui era scampata, incredibilmente, ad Auschwitz.
“Purtroppo, l’uomo che mi ha salvato la vita è morto, in guerra…”, sospirò nostalgica.
“Ma quale morto e morto!”, sbottò la colf polacca, sgranando gli occhi. “Quand’ero ancora in Polonia ho visto uno show in cui c’era un uomo che raccontava esattamente la stessa storia! E diceva di non aver mai più rivisto la ragazza, perché nel frattempo era fuggita negli States!!”.

Ci fu qualche ricerca.
L’interessamento dell’ambasciata.
Una telefonata.
Tante lacrime.
E poi l’incontro dei due vecchi innamorati, all’aeroporto di Cracovia.

Lei che scoppia a piangere, abbracciando il suo salvatore.
Lui che si presenta con trentanove rose rosse: “una per ogni anno della nostra lontananza”.

“Lascia tutto: vieni con me a New York! Ti lasceranno andare”, sussurrò Cyla fra i singhiozzi: “avrai un permesso… da giovani avevamo fatto tanti progetti: una vita assieme…”.
“Ma come faccio?”, ribatté il vecchietto. “Guardami: sono anziano… ho una moglie, dei figli, dei nipoti! Una famiglia! Come faccio?”.

Juracku è morto due giorni fa, in Polonia, fra l’affetto dei suoi cari.
La sua storia – letta ieri sul giornale, mentre ero in una sala d’attesa – mi è sembrata la storia più dolce e malinconica che avessi mai sentito, da molto tempo a questa parte.

4 risposte a "La vera storia di Juracku e Cyla"

  1. diggiu

    Ma quanto è bella questa storia. Io sono certa, che in talune circostanze l'Amore è l'unica speranza per continuare a vivere, specialmente in quelle nate in  circostanze tragiche. Grazie per averla condivisa con noi!

    "Mi piace"

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