Per buona parte della Storia cristiana, essere infelici è stato considerato peccato grave.
Depressione, insoddisfazione cronica, passivismo e piagnisteo, crogiolarsi costantemente nella contemplazione dei propri guai, atteggiamento in stile “non c’è nessuno che mi capisca e non c’è nessuno più sfortunato di me”: metteteci dentro un po’ di tutto senza andar troppo per il sottile, ché gli antichi non lo facevano. Il concetto, comunque, era sempre quello: se sei infelice (veramente infelice, sistematicamente sopraffatto dalla tua tristezza sconfinata), allora stai peccando. E pure in maniera grave.
Perché, in fin dei conti… con che coraggio ti arroghi il diritto di essere infelice?
Questa riflessione nasce intorno al V secolo d.C. nell’ambiente monastico di area orientale. Gli storici della Chiesa sottolineano che non è un caso: se sei un monaco asceta sfinito dai digiuni e dalle mortificazioni, è anche abbastanza facile scivolare lentamente nella malinconia e nel pessimismo. E se non lotti con tutte le tue forze contro questi sentimenti, allora sei finito: un eremita depresso sperso in mezzo al nulla, purtroppo ha vita breve.
Senza nulla togliere a questa spiegazione “contingente” (e sicuramente veritiera!), io ne ho anche una più “spirituale”. Ovverosia: dico sul serio – con che coraggio, un cristiano può essere infelice?
Ovviamente ci sono le tante, piccole, tristezze quotidiane: la preoccupazione per il proprio stato di salute, le delusioni nei rapporti inter-personali, un progetto a cui tenevi che fallisce miseramente, una giornata iniziata storta e finita ancora peggio. E quello è normale, così come è normale una sana tristezza (o anche proprio una certa angoscia, se è il caso): essere ridanciani ventiquattr’ore al giorno è una roba da stupidi. O tuttalpiù, da gente che finge.
Quello a cui mi riferisco io, invece, è un senso profondo di tristezza.
Lasciamo perdere la depressione, che purtroppo è una malattia seria e va curata di conseguenza. Ma pensiamo a quegli atteggiamenti mentali di chi non è mai contento di quello che ha, di chi ama crogiolarsi nelle proprie disgrazie; di chi rifiuta anche solo di vedere quanto c’è di buono nelle sue giornate, perché è troppo concentrato sulle cose che invece non vanno. Pensiamo a quelle persone che hanno adottato il mugugno come stile di vita, e che davvero, in tutta coscienza, ti direbbero di essere profondamente infelici, e di vivere una vita che è una delusione continua.
Avete inquadrato il tipo, no? Io ne conosco alcuni.
E talvolta mi verrebbe da dire: “ma porca la miseria, come puoi essere così infelice, così del tutto privo di felicità, se hai la consapevolezza di essere figlio di un Dio misericordioso che ti ama smisuratamente, che ti ha donato la vita e tutto ciò che vedi, e che ha un progetto scritto apposta per te con tutto il suo amore di Padre?”.
Essere infelici è un lusso che non ci si può permettere, se sei figlio di Dio. È come disprezzare i doni che Dio ti ha fatto, rifiutando anche solo di vederli.
È normalissimo vivere momenti di sofferenza, di malinconia, di angoscia o di dolore straziante; però, non è normale pensare che, a parte questo, non ci sia nient’altro nella propria vita.
Perché – santo cielo! – rifiuto di credere che non ci sia nient’altro!
Senz’altro c’è. Solo che, spesso, tendiamo a concentrarci solo sulle cose brutte, perché – si sa – il bene non fa notizia.

2 giugno 2014, giorno 1 dei miei #100happydays: la prima colazione nella casa nuova.
È anche per questa ragione che, quest’estate, ho voluto partecipare all’iniziativa “#100happydays”.
Ormai la conoscerete tutti, è un’iniziativa diventata virale, ma facciamo un breve riassunto per chi ancora non ne avesse sentito parlare: in Svizzera c’è questo tizio di ventisette anni, tal Dmitry Golubnichy, che nel novembre dello scorso anno ha deciso di dare una svolta al suo modo di vedere la vita. Ha sfidato se stesso in una sfida molto particolare: essere felici per cento giorni di fila.
O, quantomeno, esaminare la propria vita per cento giorni consecutivi, individuando ogni giorno, per cento giorni di fila, qualcosa (anche piccolo!) capace di farti dire “sì: quest’oggi è stato un giorno felice”.
E, per essere sicuro di non barare, il ragazzo ha deciso che questo piccolo momento di gioia quotidiana avrebbe dovuto essere immortalato in una foto.

14 giugno 2014, giorno 13 dei miei #100happydays: ricevere in custodia il vecchio Pelìs, l’orso che mio padre aveva regalato a mia mamma quand’erano sposati da poco.
Il progetto è giunto a termine, Dmitry ha vinto sulle sue malinconie, e, galvanizzato dal risultato, ha deciso di estendere la sfida… a tutto il mondo. Ha lanciato un apposito sito Internet e coniato l’hashtag #100happydays: tutti coloro che intendono unirsi alla sfida devono impegnarsi ogni giorno, per cento giorni consecutivi, a tenere traccia dei loro momenti felici attraverso una foto (idealmente, da pubblicare sui propri social network).

15 giugno 2014, giorno 14 dei miei #100happydays: battere il blogger cattolico ClaudioLXXXI ad una partita di monopoli / trivial pursuit a tema biblico. OH YEAH.
Un giochino stupido?
Mica tanto, in realtà. Dopo aver pubblicato la mia centesima foto di un giorno felice, posso dire che non è mica sempre tanto facile, trovare ogni giorno qualcosa che ti faccia dire “okay: oggi è stata una bella giornata”.

24 giugno 2014, giorno 23 dei miei #100happydays. In vacanza al mare, guardare i bambini che giocano a prendere le onde sulla battigia. Una ventina d’anni fa c’eri tu, esattamente nello stesso posto, a fare esattamente lo stesso gioco.
Mentre io partecipavo alla mia sfida, ci sono stati giorni che, in un altro momento, avrei tranquillamente definito “una giornata storta”. Niente di grave per carità, ma litigi, malesseri e malinconie non sono mancati, in questi cento giorni. Del resto, sarebbe stato assurdo il contrario.
Ma stavolta dovevo portare a termine la sfida, stavolta non potevo permettermi di andare a letto di malumore, senza aver immortalato il mio “happy moment” della giornata. E allora, via a ripercorrere mentalmente la propria giornata, cercando qualcosa (anche piccolo, anche insignificante!) che sia stato capace di strapparti un sorriso.
E se cerchi bene, qualcosa del genere c’è. C’è sempre.
Basta cercarlo con attenzione, senza lasciarsi sopraffare dal malumore e dai pensieri tipo “eh la miseria, che giornata schifosa”.

29 giugno 2014, giorno 28 dei miei #100happydays. C’è una gioia tutta speciale nel prepararsi il “lunchbox” da portare al lavoro. Vuol dire che un lavoro c’è: e scusatemi se è poco!
Anche un hashtag su Internet, quindi, può diventare strumento di riflessione?
Beh: naturalmente si riflette benissimo anche senza hashtag, ma partecipare a questo giochino, ormai diventato virale, è un modo divertente e molto social per fare un lavoro su se stessi… che, alla prova dei fatti, non è mica una roba da niente! Il sito Internet dell’iniziativa assicura che oltre il 70% di chi inizia questa sfida, poi l’abbandona senza concludere, e in effetti non mi stupisce. Provare per credere: vivere per cento giorni consecutivi senza mai pensare “questa è stata una giornata no”, non è poi così facile.

2 agosto 2014, giorno 62 dei miei #100happydays. Modi creativi per passare la giornata tra fidanzati: divertirsi a ingiuriarsi a vicenda con le contumelie che Escrivà era solito rivolgere ai suoi figli spirituali.
Ma se ci riesci, davvero finisci la gara col sorriso sulle labbra: perché ti vedi la tua bella galleria di “happy day” ordinatamente disposti l’uno vicino all’altro, e sono così tanti e così colorati che ti trasmettono allegria, e pensi “caspita, quanti doni incredibili ricevo ogni giorno! E l’assurdità è che faccio pure fatica a rendermene conto!”.
E pian piano realizzi che questa sfida (iniziata un po’ per gioco, un po’ per moda, un po’ per documentare i tuoi primi cento giorni nella casa nuova) è andata anche oltre le tue aspettative iniziali.
***

22 agosto 2014, giorno 82 dei miei #100happydays: la ragazza a cui ho dato lezioni di Latino, che sponte sua decide di farmi un regalo per ringraziarmi (!).
Messa così sembra una stupidaggine: “figuriamoci se una cosa del genere è davvero capace di farti riflettere”.
E invece, sì. Nel suo piccolo, è davvero capace di farti riflettere.
Beh: almeno un po’.
E comunque, è un validissimo esercizio di gratitudine quotidiana.
E voi, accettate la sfida?
Riuscirete (come, secondo gli antichi, si confà a un bravo cristiano) a combattere il malumore per cento giorni di fila, e ad andare a dormire col sorriso sulle labbra e con un senso di vera gratitudine nel cuore? Per cento, lunghi giorni?
Talvolta, anche un viral modaiolo, nel suo piccolo, può diventare una sorta di esercizio… spirituale.

9 settembre 2014: centesimo giorno dei miei #100happydays
marinz
Bello… ci vorrei provare… vediamo se riesco ogni sera prima di andare a dormire a scrivere una riflessione su un momento felice… :o)
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Lucia
Evidentemente mi ero dimenticata di rispondere a questi commenti, ma il ritardo mi permette di chiederti: allora, ci hai poi provato? 😉
Al mio centesimo “happy day”, ne parlavo su Facebook con una ragazza che fa esattamente la tua stessa cosa: ha un “diario” in cui appunta ogni giorno le cose belle della giornata. Convenivamo sul fatto che, rispetto a questo progetto social, la cosa ha dei vantaggi e degli svantaggi. Il vantaggio è che ovviamente ti permette di appuntare tutto, anche quelle gioie più “intime” che per riservatezza non vai a raccontare al mondo sui social network; per contro, manca appunto questa dimensione “sociale”, quindi manca l’effetto contagio…
😀
E insomma: hai poi iniziato? 😀
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marinz
no, non ho iniziato… potrei iniziare ora ma poi mi devo ricordare… ed essendo impegnato la sera rischio di saltare la pubblicazione online :oP
Ma se perdo un giorno cosa succede?
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Lucia
Secondo le regole del gioco, se perdi un giorno (cioè: se una sera ti dimentichi / non hai tempo di pubblicare), puoi sempre rimediare il giorno dopo pubblicando la foto che ti eri perso per strada. L’importante è avere cento scatti di felicità in cento giorni consecutivi, poi se per una sera non hai la connessione sottomano, beh, rimedi dopo.
Io ad esempio durante i miei cento giorni sono anche andata in vacanza, senza Internet sottomano: continuavo comunque a scattare le mie foto, una al giorno, e poi le pubblicavo tutte assieme tornata a casa 😉
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El
Conosci il sito https://www.happier.com/home??? si è fatto un po’ commerciale a un certo punto, ma ha qualcosa di questo “gioco” … e comunque la community resta gratuita… in English, of course… 😉
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Lucia
😀
No, non lo conoscevo! O forse ci avevo fatto un giro molto tempo fa (ricordo vagamente di aver visto qualcosa del genere, in passato)… bella idea, in effetti!
Capisco che a qualcuno possa sembrare stupido affidarsi a reminder quotidiani per ricordarsi di essere felici/grati/rilassati/ecc. … però, nei giorni storti, anche una semplice e-mail può aiutarti, nel suo piccolo, a rimettere le cose nella giusta prospettiva.
🙂
Ma credo che in America questi progetti vadano forte: una volta avevo visto un sito del genere, ma esplicitamente rivolto a un pubblico cristiano…
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Lucia
…niente: non riesco a ritrovare i siti che dicevo, di ispirazione marcatamente cristiana, ma in compenso ho trovato questo progetto qua: http://blessedisshe.net/
Più che altro questi sono reminder “seri”, liturgici: ogni giorno ti arrivano nella cassetta di posta alcuni passi scritturali e un breve commento delle curatrici del sito.
Wow, non sembra male!
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lea
perlo’ le mani sono bruttine, poco maschili
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Lucia
Povero fidanzato 😀
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ClaudioLXXXI
°_’
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