Capita, talvolta, di incontrare delle persone che balzano agli occhi del mondo perché proprio non se ne può fare a meno: irradiano un’aura di santità che non passa inosservata.
San Gengolfo, con rispetto parlando, era invece famoso in tutta Francia per l’aura di idiozia che promanava dalla sua persona.
Avete presente, il tipo, no?
Gengolfo era quel genere di santo così convinto di quello che fa, così intimamente unito al Cristo, così determinato nel percorrere la sua strada… che spesso e volentieri compie gesti apparentemente folli.
Folli agli occhi del mondo, quantomeno.
Guadagni rifiutati perché dovresti ottenerli in maniere poco pulite; avanzamenti di carriera evitati perché potrebbero compromettere la tua integrità morale; conto in banca che, invece di crescere, pian piano si assottiglia, perché i danari che non ti servono non li investi: preferisci darli ai poveri.
Insomma: Gengolfo era quel tipo lì. Uno di quelli che la Chiesa addita come modello di virtù, ma che il resto del mondo addita… ehm… come modello di qualcos’altro.
Inquadrata la psicologia di San Gengolfo, cominciamo adesso a raccontarne le gesta, in una nuova appassionante puntata di
Ma che sant’uomo!
ovverosia
Tutto quello che non sapevate sui Santi
e men che meno avreste osato chiedere
San Gengolfo, in tutto ciò, non era nemmeno un povero villico sempliciotto, il classico “scemo del villaggio”.
No, al contrario: era nato, verso l’inizio dell’VIII secolo, da una delle famiglie più potenti della Borgogna. Alla morte dei genitori, Gengolfo era diventato uno dei principali signori della Francia: un VIP, un potente, un amico fidato di Pipino il Breve (che lo voleva con sé in ogni campagna militare, e addirittura gli permetteva di dormire, su una brandina, nella sua tenda di comandante. Un privilegio non da poco!).
Insomma, non è che Gengolfo fosse un tipo di scarso successo. Anzi: lo si potrebbe facilmente definire “un uomo arrivato”.
Sennonché, come capita spesso a taluni santi, di tanto in tanto se ne usciva con certe trovate così improbabili da far inarcare le sopracciglia a qualsiasi persona sana di mente.
Tipo, quella volta con la sorgente.
Si stava tornando in Borgogna da un campagna militare di gran successo e le truppe di Pipino il Breve si trovavano ad attraversare le campagne della Champagne. Gengolfo, stanco per il viaggio e assetato per la calura, aveva adocchiato di lontano una bella area prativa in cui gorgogliava una piccola sorgente d’acqua. Aveva dunque tirato le redini del suo cavallo e fatto una deviazione verso la sorgente, alla quale si era abbeverato con estremo godimento.
Sarà che “la fame è il miglior condimento”, sarà che quella sorgente era particolarmente pura per davvero, fatto sta che Gengolfo aveva avuto l’impressione di non aver mai bevuto in vita sua un’acqua così deliziosa. Indi per cui aveva mandato i suoi uomini a cercare il proprietario del terreno in cui aveva sede la sorgente e l’aveva fatto convocare alla sua presenza.
“Iddio sia con voi, buon uomo”, aveva esordito il signore di Borgogna. “Desidererei, se possibile, acquistare la vostra sorgente”.
L’uomo – un piccolo proprietario terriero di modesta estrazione – aveva inarcato le sopracciglia. “Desiderate acquistare le mie terre, signore?”, aveva domandato.
“No, non le terre”, aveva ribattuto Gengolfo. “Vorrei solo la sorgente”.
Il proprietario terriero l’aveva comprensibilmente preso per idiota. “Mio signore: se posso ardire, cosa intendereste fare di una sorgente piazzata nel bel mezzo dei miei campi, se non acquistate anche quelli?”.
“Progetto di trasferirla nel giardino di casa mia, in Borgogna”, aveva risposto il sant’uomo.
All’affermazione era seguito un minuto abbondante di silenzio, dopo il quale il proprietario terriero si era timidamente schiarito la voce. “Mio signore”, aveva detto lentamente, cercando di trovare le parole giuste: “non credo che vi sarà agevole, trasportare una sorgente d’acqua dall’altra parte della Francia”.
“Oh, beh, ma io mi affido alla Provvidenza” aveva replicato Gengolfo con noncuranza, stringendosi nelle spalle. “Intendereste dunque vendermi la vostra sorgente, buon uomo?”.
E il proprietario terriero, ormai convinto di avere a che fare con un perfetto idiota, aveva acconsentito di buon grado a siglare il contratto. Son pur sempre un po’ di soldi in più che entrano in saccoccia; se il riccone è demente, peggio per lui.
***
E Gengolfo montò a cavallo e partì per la Borgogna, arrivò nel giardino di casa sua, studiò ben bene la posizione più adatta in cui collocare la sua nuova sorgente d’acqua, e quando infine l’ebbe individuata piantò un bastone nel terreno invocando la potenza divina. Ed ecco che, come per magia miracolo, la sorgente si smaterializzò dai terreni del contadino della Champagne, e – puff! – apparse gorgogliando nel giardino di Gengolfo.
“Ooooh, che meraviglia” commentò il sant’uomo, sorridendo fra sé e sé.
***
Diciamo che pure la nuova sorgente d’acqua di cui bearsi era l’unica cosa che avesse tenuto su di morale il povero Gengolfo, nei giorni immediatamente successivi al suo ritorno a casa. Perché quando il sant’uomo aveva ricominciato a passeggiare nelle vie del paese e a farsi vedere nelle taverne… beh: aveva notato che la gente lo guardava in modo strano.
Mormorii alle sue spalle, occhiate divertite di sottecchi, risatine al suo passaggio… non che Gengolfo fosse del tutto disabituato a questi comportamenti, ma quella volta non gli tornavano i conti. E del resto, lui, in genere, era deriso per ragioni per precise, non così a casaccio.
No: doveva per forza esserci sotto qualcosa di strano.
Dagli e dagli, dopo alcuni giorni di indagini Gengolfo riuscì a capire qual era il problema: a quanto pare, durante la sua assenza, sua moglie aveva platealmente cominciato a tradirlo.
Tradirlo col parroco, per inciso, a quanto dicono alcuni agiografi.
***
Ora: va bene la santità incompresa, ma non è che Gengolfo avesse proprio tanta volta di andare in giro facendo la figura del cornuto e mazziato. Tornato a casa prese da parte sua moglie e le domandò la natura di queste voci; la moglie ovviamente negò tutto, classificandole come misere calunnie, ma Gengolfo – ripeto – era santo, non cretino.
“Ho bisogno di qualcosa che mi aiuti a credere alle tue parole, moglie mia”, esclamò con gravezza. “Dunque, ho intenzione di sottoporti a un’ordalia”.
La moglie deglutì. Le ordalie medievali le conosciamo tutti, e non erano una bella roba: chi era sospettato di aver commesso un crimine doveva sottoporsi a un “test di innocenza” di natura fisica – camminare sui carboni ardenti, infilare una mano in un pentolone di acqua bollente… Se eri innocente, Dio ti avrebbe protetto miracolosamente da ogni ferita; se invece eri colpevole, la tua malafede sarebbe stata scoperta.
“…ma con le ordalie c’è sempre un margine di rischio” mormorò la sposa, sbiancando: “anche gli innocenti possono farsi male, io non…”.
“Non temere, moglie mia: io intendo sottoporti a un’ordalia simbolica”, la rassicurò Gengolfo. “Ti chiedo di infilare una mano sotto il getto d’acqua della mia sorgente nuova di pacca. Se davvero sei innocente, non hai nulla di che temere. Nulla di male può accaderti. Di per sé, è solo un getto di acqua fresca”.
All’affermazione seguì un minuto abbondante di silenzio, dopo il quale la moglie fissò Gengolfo e mormorò: “ma dalla tua sorgente sgorga acqua a temperatura ambiente”.
“Sì, infatti, mia sposa. Come vedi, la tua paura è immotivata”.
“Ma che razza di ordalia è, lavarsi le mani?”, replicò la moglie, che sembrava parecchio sconcertata.
“Beh, è un’ordalia simbolica, come ti ho detto. Voglio credere alla tua buona fede, e non voglio spaventarti con prove più rischiose. Se sei colpevole, sono certo che Dio troverà il modo di farmelo capire; ma, se sei innocente, non hai davvero nulla da temere”.
La moglie fissò Gengolfo con l’aria di chi sta pensando ‘okay, mio marito è un perfetto idiota’… e poi, ovviamente, acconsentì a sottoporsi all’ordalia. Con aria altera (e sghignazzando fra sé e sé) si incamminò verso il giardino e si avvicinò alla sorgente. Poi, mentre Gengolfo guardava, stese il braccio e infilò la mano sotto il getto di acqua fresca.
Dopo una frazione di secondo un grido agghiacciato riecheggiò per il giardino: la donna ansimante ritrasse la sua mano, scoprendo che l’acqua fresca, scorrendo sulla sua pelle, gliel’aveva portata via: della sua mano restavano solo muscoli e carne viva, attaccate allo scheletro.
San Gengolfo sospirò amareggiato, e si allontanò senza nemmeno guardare in faccia la sua sposa.
***
A quel punto, si poneva per il sant’uomo un problema non da poco: come reagire a questo fattaccio?
Di primo acchito il poveretto avrebbe avuto voglia di spaccar la testa a sua moglie e pure all’amante, ma i bravi cristiani – si sa – non fanno certe cose.
Ovviamente i bravi cristiani lottano con le unghie e con i denti per ricostruire il loro matrimonio, ma la controparte non sembrava molto interessata a tale impresa: una volta scoperta, la moglie aveva urlato al marito tutta la sua rabbia, confessando di odiarlo e di averlo sposato solo per assecondare la volontà della sua famiglia.
Noi moderni avremmo l’opzione “divorzio consensuale”, e pure i merovingi consentivano una soluzione del genere (‘nsomma: un ripudio discreto e dignitoso, senza troppe tragedie greche). Ma Gengulfo era riluttante: non c’è forse scritto l’uomo non separi ciò che Dio ha unito?
Al pover’uomo sarebbe persino andato bene continuare a subire in silenzio i continui tradimenti, ma – al di là di tutto – meditando su questa opzione si era posto degli scrupoli morali: un atteggiamento di questo tipo non sarebbe forse stato un tacito assecondare il peccato di sua moglie?
Pensa e ripensa, San Gengulfo addivenne a una risoluzione e così convocò sua moglie per comunicargliela.
“Alla luce di ciò che hai fatto”, le annunciò, “credo che ti regalerò un castello, con vasti appezzamenti terrieri a circondarlo”.
All’affermazione seguì un minuto abbondante di silenzio, dopo il quale la moglie sbatté le palpebre un paio di volte. “…prego?”.
“È evidente che tu non hai intenzione alcuna di vivere ancora sotto il mio stesso tetto”, argomentò Gengulfo, “né io posso acconsentire che tu, con me presente che fingo di non sapere, intrattenga commercio carnale con un altro uomo. Dunque, ti donerò un castello a Varennes: consideralo come tua proprietà, trasferisciti lì con le tue serve, vivi la vita come meglio credi, e non tornare da me fino a che non sarai cambiata. Dal canto mio, sarò qui ad aspettarti”.
La moglie squadrò Gengolfo con l’aria di chi pensa “okay, ho davvero sposato un cretino”. E non riuscì a non ridere, quando commentò: “cioè, tu parti per la guerra, io in tua assenza mi porto a letto il prete, e tu in tutta risposta mi regali un castello?”.
Gengolfo si morse le labbra, lanciò un’occhiata triste alla sua sposa, e si alzò senza profferir parola.
***
Le cose si sarebbero potute risolvere così, ma invece no.
La moglie, che era una vera str molto preoccupata all’idea che il marito potesse cambiare idea in futuro, pensò bene di insediarsi nel suo bel castello di Varennes… e poi ingaggiò alcuni mercenari ordinando loro di uccidere Gengolfo.
Facciamola breve ché ‘sta storia è già abbastanza straziante per conto suo: i mercenari obbedirono. San Gengolfo fu brutalmente assassinato per ordine della moglie fedifraga, bizzarra modalità di martirio che gli procurò il titolo, invero non molto invidiabile, di “santo patrono dei cornuti”.
Nella disgrazia, quel che c’è di “buono” è che le sue spoglie, poco dopo l’esecuzione, cominciarono a produrre innumerevoli miracoli. Mentre la salma veniva trasportata verso il loco natio per provvedere all’inumazione nella tomba di famiglia, non c’era paese in cui la gente non si assiepasse ai lati della strada per contemplare il passaggio di Gengolfo – così puro e innocente in vita, così palesemente santo dopo la morte.
Quando la moglie ne fu informata, proruppe in una risata di scherno. “Quell’idiota, un santo? Capace di fare miracoli?”. E rise ancor più forte: “sì, fa tanti miracoli quanti ne fa il mio culo!”.
Scusate il termine, ma talvolta le agiografie medievali sanno essere grossolane assai.
E infatti, l’agiografo medievale conclude la sua trattazione con questa imperdibile ciliegina sulla torta: Dio si sdegnò e volle punire la donna malvagia, sia per l’assassinio che per il crudele scherno post-mortem. E dunque, agì applicando la legge del contrappasso.
E da quel momento in poi, e per tutto il resto dei suoi giorni, ogni volta che la moglie aprì la sua bocca per parlare, dalle sue labbra non uscirono più parole cattive, non più baci proibiti…
…ma, bensì, solo peti maleodoranti.
Mercuriade
Racconto degno di un fabliaux duecentesco!!!
http://www.lastampa.it/2009/09/03/blogs/vieni-avanti-creativo/volgarita-o-schiettezza-le-parole-per-dire-quel-coso-li-Tc1DfwWsLd8teXe0h7zrKM/pagina.html
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Lucia
Ma questo articolo è un piccolo capolavoro, grazie per la segnalazione!! 😀
Ci credi che a leggere certi fabliaux io sono imbarazzata, perché li trovo troppo espliciti?
No, per dire.
E poi la gente dice “l’oscurantismo sessuofobo del Medio Evo”… 😉
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Mercuriade
Ma, chiedo scusa, non era San Martino il patrono dei “cornuti”?
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Lucia
San Martino? Di Tours? Quello non lo sapevo!
Io conoscevo sotto questa veste San Gengolfo, appunto, e anche Sant’Arnolfo. Ma Martino no! :-O
Devo indagare…!
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Lucia
…oh!
Cercando online, ho trovato questo:
Il santo è considerato patrono dei soldati e dei viaggiatori, ma è anche ritenuto il patrono dei cornuti. Le motivazioni sono diverse: per alcuni è dovuto alle numerose fiere di bestiame, per lo più munito di corna, che si tenevano proprio nel periodo attorno all’11 Novembre, oppure, secondo un’altra ipotesi, perchè in questo periodo si svolgevano 12 giorni di sfrenate feste pagane, durante le quali avvenivano spesso adulteri. Altri ancora pensano che derivi dallo stesso giorno, l’11 Novembre, 11/11, che ricorda il segno delle corna fatto con le mani.
Secondo un’altra leggenda, San Martino si portava sulle spalle la sorella per evitare che cadesse preda dei vogliosi concittadini, ma vanamente, perchè questa trovava sempre il modo per sfuggire alla sorveglianza del fratello.
(Fonte)
Volendo, avrei anche trovato questo:
A San Martino ci si faceva anche alle beffe dei cornuti. Questa tradizione deriva dalla leggenda, presente nella mitologia latino-romana più arcaica, degli amori adulterini di Marte (di cui Martino è il diminutivo) Dio della guerra, e Venere, Dea dell’amore, che sorpresi da Vulcano, Dio del fuoco e marito della Dea della bellezza, furono da lui stesso rinchiusi in una rete di ferro per mostrarli agli Dei e averli quindi testimoni del torto subito.
Ma gli Dei dell’Olimpo lo sbeffeggiarono e lo derisero, così la delusione di Vulcano fu ancora più atroce; forse proprio in quella vicenda va collocata l’origine di “un detto” che dura da secoli: “cornuto e mazziato”.
(Fonte)
Oh basta là!, come si dice qui dalle mie parti. Lo ignoravo del tutto… :-O
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Mercuriade
Forse San Martino è il patrono dei cornuti solo in Italia: ricordiamoci che in Francia è ritenuto uno dei santi protettori della nazione, e investirlo anche di questo patronato per loro sarebbe un insulto…
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