Il criminale ottocentesco che ti narcotizza col cloroformio? Una leggenda metropolitana impossibile, ma con morale

E poi, come sempre accade quando un’innovazione tecnologica entra nel dibattito pubblico facendo parlar di sé, il mondo occidentale ebbe in sorte di conoscere il Grande Panico da Cloroformio, con gente terrorizzata che attribuiva a questo anestetico la portentosa capacità di sovvertire le normali regole del buon vivere civile, e di questo passo dove andremo a finire signora mia.

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Respirare cloroformio non è esattamente un toccasana per la salute, e siamo tutti molto felici del fatto che la scienza medica abbia scoperto col passar del tempo sostanze più efficaci con cui anestetizzare i pazienti in sicurezza. Ma, nell’Ottocento, la diffidenza nei confronti del cloroformio non era motivata da preoccupazioni di natura sanitaria (quelle, semmai, impensierivano i professionisti: i pazienti sembravano tutti assai felici di approfittare dell’innovazione): più che altro, la brava gente viveva col terrore che l’anestesia venisse utilizzata al di fuori delle sale operatorie.

Per comprensibili ragioni, gli onesti cittadini cominciarono a inquietarsi mica poco, riflettendo sulla vasta gamma di applicazioni alternative con cui avrebbe potuto essere impiegata una sostanza capace di narcotizzare un individuo adulto nell’arco di pochi secondi, lasciandolo privo di sensi per ore intere (…in realtà, come vedremo, non era proprio così che funzionavano le cose, ma la stampa tendeva a presentare il cloroformio come una sostanza quasi-magica dai poteri miracolosi, che trasformava i chirurghi in novelli Morfeo).

Le signorine non uscivano più di casa, terrorizzate al pensiero del loro corpo inerme abbandonato alla mercé degli stupratori di passaggio. E esponenti dell’altro sesso erano non meno allarmati: se il cloroformio permetteva a un medico di cavar denti e rimuovere ernie senza che il paziente si rendesse conto di ciò che era successo, a maggior ragione avrebbe potuto permettere a un criminale senza scrupoli di sfilare portafogli e rubar chiavi di casa. Indagini giornalistiche effettuate ad hoc avevano reso dolorosamente chiaro che il commercio del cloroformio non era soggetto a regolamentazioni particolarmente rigide: per un uomo dall’aspetto rispettabile e dalla buona parlantina, in grado di dare spiegazioni valide con cui motivare la sua richiesta, era relativamente facile ottenerne una boccetta dal farmacista; ed ecco dunque nascere lo spauracchio del criminale che narcotizza le sue vittime per derubarle.

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La prima attestazione scritta del mito urbano risale ai primi mesi del 1848: era passato poco più di un anno dal giorno in cui il cloroformio era stato utilizzato per la prima volta in un ospedale. E, a ben vedere, era proprio negli ospedali che avevano cominciato a circolare i primi aneddoti che potremmo definire prodromici al mito del criminale narcotizzatore: sappiamo che già nel 1847 i medici scherzavano tra di loro raccontando improbabili barzellette (un po’ sessiste) in cui infermiere imbranate maneggiavano il cloroformio senza le dovute cautele, finendo col narcotizzare l’intera équipe chirurgica. In questo caso, la storiella ruotava attorno a una distrazione catastrofica: ma da lì al crimine deliberato, il passo sarebbe stato breve nell’immaginario popolare.

E infatti, il 3 febbraio 1848, i quotidiani francesi dettero notizia di un inquietante episodio che, a quanto pare, aveva avuto luogo pochi giorni prima nel piccolo villaggio Mardigny. Forse sfruttando a loro vantaggio il clima di festa che accompagnava il periodo della Candelora, due criminali avevano fatto leva sulla religiosità popolare per portare a termine il loro sordido piano: bussando alla porta di casa di una famiglia benestante, gli uomini avevano dichiarato d’avere con sé un’effige mariana che da qualche tempo aveva miracolosamente iniziato a emanare un profumo paradisiaco. Forse, lorsignori avrebbero avuto piacere di vederla?

I criminali avevano avuto cura d’assicurarsi che il saggio capofamiglia fosse andato a lavorare, sicché in casa c’erano solamente donne, credulone e sciocche per loro stessa natura. Senza alcun sospetto, le vittime avevano avvicinato il loro naso all’effige mariana, che naturalmente era stata intrisa di cloroformio, respirando a pieni polmoni quell’aroma miracoloso: entro pochi minuti, avevano cominciato a sentire la loro mente che si annebbiava; al loro risveglio, i ladri erano già spariti portandosi dietro denaro, gioielli e suppellettili.

Improbabile che un furto abbia realmente potuto svolgersi con queste precise dinamiche; certo è che, nell’arco di pochi mesi, cominciarono a circolare storie ancor più inverosimili. Giornalisti increduli e indignati davano voce a onesti cittadini che dichiaravano di essersi sentiti premere sul naso un fazzoletto umido per mano di uno sconosciuto che li aveva raggiunti alle spalle: in un battito di ciglia, avevano riaperto gli occhi ritrovandosi sdraiati per terra, coi vestiti scomposti e il portafoglio alleggerito. Quando andava bene. Quando andava male, si ritrovavano completamente nudi nel letto di una prostituta che reclamava il suo compenso, o in situazioni parimenti equivoche e imbarazzanti.

Ma il catalogo degli orrori non finisce qui: castissime e purissime ragazze da marito venivano narcotizzate da lenoni di passaggio che vendevano il loro corpo inerme a qualche pervertito; al loro risveglio, rendendosi conto d’aver perso la verginità, le fanciulle comprendevano d’essere merce avariata e dunque si rassegnavano a una vita di prostituzione, senza avere il coraggio di tornare a casa dai genitori (!). Criminali ben organizzati si nascondevano nei vicoli, utilizzando potenti mantici per sospingere effluvi di cloroformio sugli incolpevoli passanti che se ne stavano a metri di distanza; boccette di narcotico gettate all’interno di un locale chiuso erano capaci di addormentare interi vagoni ferroviari, e talvolta bastava una fuggevole carezza per spedire tra le braccia di Morfeo la vittima innocente, se il suo aggressore aveva avuto cura di intingere i suoi polpastrelli nell’anestetico.

E qui vien da chiedersi: ma è possibile, tutto questo?
E la risposta è, ovviamente, no: alla metà dell’Ottocento, era tecnicamente impossibile narcotizzare un malcapitato con le modalità qui descritte, facendo uso del cloroformio.

I medici ne erano ben consci, dolorosamente consapevoli di come il cloroformio avesse molte qualità ma anche un difetto abbastanza irritante: la procedura lunga e complessa cui i professionisti dovevano sottostante ogni qualvolta che anestetizzavano un paziente. Narcotizzare qualcuno attraverso il cloroformio era tutto fuorché immediato, all’epoca: bisognava irrorare d’anestetico un fazzolettino e tenerlo vicino al naso del malato per cinque minuti abbondanti, pregando tutti i santi del Paradiso d’essere di fronte a un paziente collaborativo che non si fa prendere dal panico e ubbidisce alle istruzioni, facendo respiri profondi e regolari. Solo a quelle condizioni l’infermo si addormentava in un tempo relativamente breve, in cui “breve” significa appunto “circa cinque minuti”: e nell’attesa, non ci si poteva nemmeno prendere il lusso di abbandonare il paziente al suo destino mollandolo lì col fazzoletto in faccia. La pratica clinica aveva permesso di scoprire che la pelle si arrossava o addirittura si riempiva di bolle, se veniva direttamente a contatto col cloroformio; sicché, il povero anestesista doveva trasformarsi per qualche minuto in una specie di stendibiancheria umano, standosene immobile a far pendere ‘sto fazzoletto a pochi centimetri dal naso del paziente: abbastanza vicino per fargliene respirare i vapori, ma sufficientemente lontano da non lederne la cute. Una noiosa perdita di tempo per i chirurghi di quell’epoca, abituati a ritmi di lavoro ben più adrenalinici, che infatti si lamentavano spesso e volentieri della cosa: e proprio per questo era completamente assurdo pensare a un ladro che, nell’arco di pochi secondi, riesce a narcotizzare un malcapitato passante.
Ma quando e dove?, si chiedevano i medici: magari, fosse stato così facile!

Irritati dalla disinformazione che riguardava il cloroformio, e preoccupati al pensiero che queste leggende metropolitane potessero ingenerare nella popolazione una antipatia immotivata nei confronti dell’anestesia, i medici intervennero nel dibattito pubblico a più riprese, nella speranza di poter dimostrare la totale infondatezza di quelle storie. Ci furono addirittura esperimenti scientifici in cui professionisti medici cercarono di narcotizzare cavie non collaborative (che respiravano normalmente invece di ispirare in maniera innaturalmente profonda, o che non erano sufficientemente vicine al fazzoletto intriso di cloroformio): tendenzialmente, le sperimentazioni si interrompevano nel momento in cui gli anestesisti si stufavano di starsene lì come allocchi con ‘sto fazzoletto in mano, e cominciavano a sentir male alle braccia. I tentativi di stordire le cavie premendo a forza sul loro naso un fazzoletto intriso di narcotico dimostrarono che la procedura non avrebbe potuto essere più inutile: ben lontana dal perdere i sensi seduta stante, la vittima dell’aggressione continuava a dibattersi con una verve sempre più disperata, a causa del crescente bruciore che avvertiva sulla pelle. Certo, la si poteva sempre sopraffare con la forza bruta, ma a quel punto il cloroformio diventava del tutto inutile: stordire qualcuno a suon di botte in testa sarebbe stato decisamente più facile che narcotizzarlo.

Ma, come sempre capita quando un medico cerca di far ragionare le masse in paranoia tentando di spiegare sante verità, le masse in paranoia non se lo filarono manco di striscio. In tal senso, i migliori divulgatori scientifici furono gli scarti di galera: sì, perché a un certo punto sprovveduti criminali iniziarono per davvero ad andarsene in giro armati di cloroformio, galvanizzati dai resoconti dei facili reati di cui si leggeva costantemente sui giornali.

Nell’ottobre 1850, un certo padre Mackintosh, sacerdote anglicano sulla settantina, ebbe a sperimentare l’inedita esperienza di rincasare dopo una giornata passata a raccogliere fondi per un ente benefico e di infilarsi a letto pregustando una bella dormita, scoprendo con vivace sorpresa che un tizio nerboruto se ne stava nascosto sotto le coperte con un fazzoletto in mano. Glielo sventolò sotto il naso un paio di volte con l’espressione soddisfatta di ha già la vittoria in mano, e poi si sistemò comodo nel letto aspettando quieto il corso degli eventi – che sciaguratamente per lui si concretizzò in una condanna a un anno e mezzo di lavori forzati. Ebbe quantomeno la magra consolazione d’essere in buona compagnia: decine e decine di aspiranti stupratori furono presi a pugni in faccia (o a calci sulle pudenda) da signorine che non sembravano avere la minima intenzione di cadere esanimi tra le loro braccia, e i goffi tentativi di borseggio portati avanti con la stessa tecnica si trasformarono quasi sempre in un bagno di sangue (per il criminale).

Ci furono, in compenso, (rari) casi spiacevolissimi in cui criminali senza scrupoli riuscirono per davvero a narcotizzare le loro vittime utilizzando il cloroformio – si trattava però di criminali in camice bianco. Nel 1851 e nel 1888, due dentisti francesi furono giudicati colpevoli d’aver alleggerito il portafoglio dei loro pazienti mentre essi erano sotto anestesia; e le cronache giudiziarie londinesi ci restituiscono la storia francamente disturbante di Richard Thomas Freeman, un loro collega di trentatré anni che nel 1870 fu condannato a qualche anno di galera per aver abusato di una sua paziente (la ragazza conservava ricordi confusi di quei momenti, e portava sul suo corpo i segni inequivocabili di una violenza sessuale). Rimesso in libertà dopo aver scontato la sua pena, il dentista tornò al lavoro ed ebbe cura di stuprare prontamente un’altra malcapitata che si risvegliò dall’anestesia nel bel mezzo della violenza. Ma neppure la seconda denuncia in rapida successione gli fu di minimo ostacolo per continuare a esercitare la professione: a giudicare da quanto dicono gli archivi, il galantuomo seguitò a lavorare fino al raggiungimento dell’età pensionabile – ed è francamente difficile non chiedersi quante altre vittime abbia avuto modo di fare nel frattempo.

Casi rarissimi, grazie al cielo, ma eloquenti a loro modo. Talvolta, il passaparola è più che sufficiente a far scoppiare il panico per impossibili nonnulla; e intanto, la distrazione ci impedisce di notare che il pericolo potrebbe esserci davvero, ma nascosto là dove nessuno se lo aspetta.


Per approfondire:

  • Linda Stratmann, Chloroform. The Quest for Oblivion (The History Press, 2005)
  • Simon Young, The Nail in the Skull and Other Victorian Urban Legends (University Press of Mississippi, 2022)

2 risposte a "Il criminale ottocentesco che ti narcotizza col cloroformio? Una leggenda metropolitana impossibile, ma con morale"

  1. Avatar di Austin Dove

    Austin Dove

    interessantissimo articolo!
    ancora adesso, anche se ora ovviamente la tecnologia avanzata lo permette, ci sono moltissime leggende sul cloroformio; Saw stessa deve la sua fortuna ai rapimenti istantanei xD

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Ma infatti io ricordo molto distintamente la leggenda metropolitana della mascherina “anticovid” intrisa di cloroformio e offerta ai passanti dai criminali di passaggio! E parliamo di due-tre anni fa…

      (E diciamolo pure: visto che la mascherina in effetti te la tieni addosso per ore e ore, forse forse nella sua inverosimiglianza ‘sta versione pandemica della leggenda era un po’ meno inverosimile di quella ottocentesca 😂)

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