Le scarpette di sant’Ilario: una dolcissima leggenda di stagione

Tutto cominciò in un giorno lontano, in un gelato pomeriggio d’inverno. La neve era alta, e il freddo pungente condensava il fiato in piccole nuvolette: la stagione fredda aveva colpito con un tale rigore che le scuole erano rimaste chiuse, i negozi non avevano aperto le porte e la gente se ne stava ben rintanata in casa, cercando di scaldarsi davanti al caminetto. Solo un’anima in pena, o quantomeno molto penosa, s’aggirava lungo le vie di Parma puntando nella neve un pastorale ricurvo con cui s’aiutava (stentatamente) nel cammino: era sant’Ilario, vescovo di Poitiers, che stava facendo ritorno in Francia al termine d’una lunga prigionia che l’aveva visto prigioniero in Frigia per quattro lunghi anni. Cose che capitano a quei vescovi coraggiosi che con la loro predicazione s’inimicano i potenti: ma quando finalmente Ilario ebbe guadagnato la libertà e fu libero di tornare nella sua amata patria, il pastore giurò a se stesso che non avrebbe sprecato nemmeno un minuto nel lungo viaggio che l’avrebbe riportato dal suo gregge. E infatti, eccolo lì, in quel gelo arrabbiato, mentre attraversava la cittadina fendendo cumuli di neve così alti da arrivargli alle ginocchia.

Sul suo viso segnato dagli anni e dalle privazioni c’era un’espressione di visibile sofferenza: e a buon diritto! La neve gli aveva inzaccherato i vestiti, bagnandolo fin dentro al midollo, e i suoi vecchi stivali scalcagnati imbarcavano acqua dalla suola costringendolo a camminare immerso in una specie di poltiglia umida. A un certo punto, scorgendo una panchina lungo la strada, sant’Ilario vi ci sedette e si tolse una scarpa, cercando di valutare la situazione: lo stivale era desolantemente rotto, probabilmente irreparabile, e comunque di certo non aggiustabile in quelle condizioni. Rassegnato, Ilario prese un respiro profondo e si rinfilò la scarpa preparandosi a ripartire… e proprio in quel momento fu raggiunto da una voce maschile: “ma no, scherziamo? Fatevi aiutare”.

A parlare era stato il calzolaio della città: che, per uno di quegli strani scherzi che la Provvidenza ama fare quando entra da protagonista nelle agiografie, abitava proprio nella casa di fronte alla quale sant’Ilario s’era seduto (guarda un po’ i casi della vita).
E (guarda un po’ i casi della vita!), il calzolaio s’era affacciato proprio in quel momento alla finestra per contemplare il paesaggio innevato, e aveva così avuto modo di assistere allo spettacolo desolante di quel vecchio religioso che se ne stava seduto in mezzo al gelo contemplando la sua scarpa rotta. “Sono uno del mestiere, posso ripararvela, affidatevi a me”, aveva detto bonariamente. “Anzi, se preferite posso anche prepararvi in quattro e quattr’otto un paio di scarpe nuove, ché forse è anche meglio”.

Sant’Ilario si era schermito con un sorriso imbarazzato: era molto gentile da parte sua, ma lui non aveva con sé denaro e non avrebbe avuto di che pagare il lavoro di quel buon uomo. Sopravvivere non era un problema, ché una qualche chiesa lungo il cammino gli avrebbe sicuramente dato cibo caldo e un riparo per la notte; ma comprarsi un paio di scarpe nuove… beh, quello andava decisamente oltre alle sue possibilità economiche, in quel momento.
Il calzolaio aveva soppesato la situazione. Aveva guardato sant’Ilario, e poi la neve che cadeva fitta, e poi anche il cielo che stava cominciando a imbrunire mentre il pomeriggio cedeva il passo alla notte. E alla fine aveva preso una decisione: “ma che chiesa e chiesa. Dove volete andare, con questo tempo da lupi e il buio che scende?”. Pochi secondi dopo, era sull’uscio della sua casa: “consideratevi mio ospite per la notte. Voi vi asciugate vicino al fuoco mentre io vedo di fare qualcosa per le vostre scarpe, e forse un giorno quando sarò al cospetto di Dio potrò invocare la sua misericordia sui miei molti peccati anche in virtù di questa piccola buona azione. Vi prego, insisto”.  

E mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime e di commozione, sant’Ilario entrava nella casetta del calzolaio ringraziando mille volte cento per l’ospitalità. “Il buon Dio saprà ricompensarvi” aveva detto varcando la soglia; e l’aveva ripetuto anche l’indomani, ripartendo di buon mattino: asciutto, satollo, ben riposato e con un paio di stivali nuovi ai suoi piedi, morbidissimi e confortevoli.
Ed è sempre bene prestare fede alle parole di un santo, soprattutto quando si è i protagonisti di un’agiografia. Dopo aver salutato il suo ospite e dopo averlo seguito per un po’ con lo sguardo, il calzolaio era tornato al suo tavolo di lavoro per rimettere a posto gli attrezzi che aveva usato per lavorargli gli stivali nella notte. E aveva sgranato gli occhi nel vedere il prodigio che Dio gli aveva serbato: le vecchie scarpe scalcagnate del vescovo, che erano state giudicate irrecuperabili e dunque abbandonate nella casa del calzolaio, si erano trasformate in due grossi stivali d’oro. Il buon cuore del calzolaio era stato premiato: e, grazie a quel miracolo, l’artigiano poté vivere confortevolmente per il resto dei suoi anni… e, naturalmente destinare ai poveri una parte significativa delle sue ricchezze. Potreste forse immaginare un modo migliore per concludere una leggenda che parla di santi?

Beh, a ben vedere io ne conosco uno che non necessariamente è migliore, ma è senza dubbio molto più dolce. Ed è quello che hanno adottato i Parmigiani, che ancor oggi tengono viva la memoria di questo miracolo grazie alle scarpette di sant’Ilario, piccoli biscottini a forma di stivale, resi dorati dal burro e dallo zucchero, che vengono tradizionalmente consumati in città nei giorni attorno il 13 gennaio, data in cui il martirologio ricorda la memoria del buon vescovo.

La ricetta è così semplice e così popolare che non val la pena di includerla al termine di questa storia (basta davvero fare una ricerca su Google e sarete invasi da tutte le informazioni che potreste desiderare); a me non resta che augurarvi buon appetito. Volete mettere il piacere di leggere (e raccontare!) fiabe accoccolati sul divano in un freddo giorno d’inverno, con una tazza di tè caldo nelle mani e un vassoietto di biscotti da sgranocchiare?

Una risposta a "Le scarpette di sant’Ilario: una dolcissima leggenda di stagione"

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    ac-comandante

    La ricetta è così semplice e così popolare che non val la pena di includerla al termine di questa storia (basta davvero fare una ricerca su Google e sarete invasi da tutte le informazioni che potreste desiderare); a me non resta che augurarvi buon appetito. Volete mettere il piacere di leggere (e raccontare!) fiabe accoccolati sul divano in un freddo giorno d’inverno, con una tazza di tè caldo nelle mani e un vassoietto di biscotti da sgranocchiare?

    Eh, per la mia salute ho una lista di miei “cibi kasher” e quelli dolci non vi rientrano… 😥

    Hai anche altri aneddoti su santi e brutto tempo? Dicono che la famosissima “Piove, governo ladro!” trovi origine nientemeno che in Agostino.

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