La Madonna della Cava: una storia di speranza

Correva l’anno 1514 (o 1222; e già così partiamo benissimo) quando la Vergine Maria apparve in sogno a Leonardo Savina. La donna, soave e raggiante di luce, spiegò al veggente che, nelle profondità d’una cava non lontana, a poca distanza dalla città di Marsala, giaceva tra la polvere una sua immagine sacra, da tempo ormai abbandonata alla lordura e alla dimenticanza. Leonardo sarebbe stato così gentile da andarla a recuperare per lei, per darle una sede acconcia?

A questo punto, probabilmente, vi starete domandando cosa diamine ci facesse un’immagine mariana nascosta in mezzo al lercio di una cava abbandonata. Verrebbe da pensare a un gesto blasfemo commesso in odium fidei per offendere la Vergine: in realtà, la Madonna spiegò a Leonardo che i Marsalesi avevano agito con le migliori intenzioni quando, secoli prima, avevano portato l’effige in quella grotta, con l’intenzione di occultarla e di metterla al sicuro. Quel gesto disperato era stato compiuto durante gli anni delle grandi lotte iconoclaste, quando un gruppo di fanatici ben organizzati aveva dichiarato guerra all’arte sacra ritenendo che pregare inginocchiati di fronte a un’immagine non fosse altro che una larvata forma di idolatria. Schierato a favore degli iconoclasti, l’imperatore bizantino Leone III Isaurico aveva promulgato un editto che ordinava l’immediata distruzione di tutte le effigi a tema religioso: correva l’anno 730.

Il provvedimento fu talmente impopolare da suscitare ferma opposizione in buona parte dell’Impero, sicché Leone III non riuscì mai nel suo proposito di annichilire ogni espressione di arte sacra. Ciò non di meno, la sua ostinazione riuscì comunque a fare danni: presi dall’urgenza di mettere in salvo le loro effigi più preziose, i fedeli agirono in fretta e furia nascondendo i loro tesori in luoghi sicuri, là dove gli sgherri del malvagio imperatore non sarebbero mai riusciti a trovarli.

Verrebbe da dire, col sorriso sulle labbra, che gli abitanti di Marsala scelsero un luogo fin troppo sicuro: l’effige più preziosa e amata della città fu nascosta nelle recondite profondità di una grotta lì vicina… in quella che sarebbe anche stata un’ottima idea, se non fosse che, nell’arco di qualche anno, finì col perdersi la memoria di dove esattamente fosse stata collocata la statuetta. Il nascondiglio era stato occultato con così tanta cura da riuscire a nascondersi persino allo sguardo di chi per primo l’aveva creato; e il fatto che via via fossero morti di vecchiaia tutti i valorosi che avevano preso parte all’impresa certamente non aiutò la conservazione della memoria. E così, l’effige della Vergine rimase per secoli all’interno di quella cava; i Marsalesi rinunciarono a cercarla, e col passar dei secoli dimenticarono proprio d’averla persa. Nessuno ormai tra i mortali esisteva, conscio di come, da qualche parte sottoterra, ci fosse un dipinto di Maria che aspettava d’esser ritrovato.

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Vi chiederete probabilmente quanto ci sia di vero in questa storia; e non vi stupirete nello scoprire che la risposta è “probabilmente molto poco”. Il movimento iconoclasta esistette per davvero, e realmente interessò quelle zone dell’Italia che erano all’epoca assoggettate all’Impero bizantino (tra cui la città di Roma, nella quale il papa alimentò una vera e propria rivolta armata che vide le truppe imperiali ribellarsi agli ordini dei loro stessi comandanti). Ed è sicuramente probabile (per non dire certo) che, in quel periodo di tensione, molte comunità abbiano fatto sparire le immagini sacre cui erano più legate, per metterle al sicuro; se poi queste comunità erano composte da imbranati, non è da escludere la scenetta tragicomica della preziosa effige che si perde per davvero.

Per correttezza storica sarà però doveroso aggiungere che, negli anni, la comoda storiella dell’effige così preziosa da esser stata nascosta dagli iconoclasti e poi perduta per dimenticanza assunse le dimensioni di un vero e proprio mito fondativo che tornava molto comodo agli agiografi tutte le volte che occorreva trovare un modo per tirar fuori dal cappello un’immagine miracolosa o altro artefatto di tal genere. Insomma: a voler esercitare un minimo di spirito critico, andiamoci molto molto cauti prima di prendere come oro colato la storiella del miracoloso ritrovamento dell’effige, che fu messa per iscritto nel 1776 da un certo fra’ Dionigi da Pietraperzia nella sua (sic!) Relazione critico-storica della prodigiosa invenzione d’una immagine di Maria Santissima chiamata comunemente della Cava di Pietrapercia.

In ogni caso, di certo non farà male leggere storielle edificanti se si è in grado di inquadrarle nella cornice giusta, quindi andiamo avanti con la narrazione e assistiamo al momento in cui il nostro amico Leonardo si butta giù dal letto per correre là dove la Madonna gli ha indicato si gira dall’altro lato e torna a dormire nella convinzione d’aver solamente fatto un sogno strambo.

A differenza del veggente-medio-da-agiografia, Leonardo reagì a queste visioni con sorprendente (ma comprensibile!) scetticismo: e la Madonna dovette impiegare una buona dose di pazienza prima di riuscire a farsi ascoltare da quel devoto incredulo. Avendo capito che il buon Leonardo mostrava la tendenza ad attribuire i suoi sogni profetici alla cena troppo pesante fatta la sera prima, la Vergine cominciò a manifestarsi a lui anche nei momenti di veglia, sussurrandogli nelle orecchie con infinita dolcezza un costante “cercami! Cercami!”. E, diciamolo pure, quella fu la strategia vincente: se non altro perché Leonardo era sordomuto fin dalla nascita e non aveva mai udito un suono in vita sua all’infuori della voce beatissima con cui la Madonna lo chiamava.

Convintosi, al di là di ogni ragionevole dubbio, di essere realmente oggetto di un miracolo, Leonardo raccontò la sua storia ai monaci agostiniani che vivevano a Marsala (e che lui stesso poteva chiamare “confratelli”, secondo alcune varianti della leggenda). Naturalmente, cercare un’icona sperduta da secoli dentro a una cava abbandonata è un’operazione che richiede un certo esborso economico e una forza lavoro non indifferente: i monaci allertarono la popolazione, sensibilizzarono i fedeli circa la necessità di prendere parte alla ricerca, diedero il via a una raccolta fondi. E i cittadini risposero con entusiasmo, investendo tempo, denaro, fatica fisica ed energie in quell’indagine gioiosa e entusiasta… che, però, non portò frutto.

Per tre lunghi anni i fedeli di Marsala si calarono nelle profondità della cava, nella speranza di mettere le mani su quella preziosa effige. E per tre lunghi anni uscirono a mani vuote, col cuore sempre più pesante: la grotta era stata battuta palmo a palmo, ma dell’immagine mariana non si vedeva neanche l’ombra. A un certo punto si convinsero di essere caduti vittima dei vagheggiamenti di un mitomane: giunsero alla conclusione che Leonardo fosse un pazzo delirante (se non addirittura un contafrottole in malafede che s’era messo d’accordo con i monaci per spillar soldi alla brava gente). Demoralizzati (e forse anche peggio), chi prima e chi dopo, abbandonarono l’impresa.

Rimasero solo tre irriducibili, fra l’altro così malamente assortiti da sembrare tre derelitti in fuga da un nosocomio: al fianco di Leonardo, sordomuto, scavavano ostinatamente uno zoppo e un cieco nato. E quanto è simbolico che l’agiografo abbia scelto proprio questo trio depresso per far tornare alla luce infine quella preziosa effige! Tutto accadde il 19 gennaio (1518, in teoria; sennò, 1226. Andate a sentimento), di fronte alla caduta (miracolosa?) di un masso che occultava una piccola polla d’acqua. E proprio lì lo zoppo e il muto ritrovarono il tesoro (con buona pace del cieco che dovette limitarsi a gioire della loro esultanza): si trattava d’una statuetta bianca raffigurante la Madonna col Bambino, che tra le braccia della mamma torce il busto per passarle una pagnottella – evidente il richiamo simbolico all’eucarestia.

C’è bisogno di specificare in che modo va a finire questa storia? Ma ovviamente no: Maria ebbe pietà volle premiare quei tre poveri disgraziati valorosi che non avevano perso le speranze: il cieco riacquistò la vista, lo zoppo riprese a correre con l’agilità di una gazzella e Leonardo ricevette il dono dell’udito e della parola. Nel luogo del ritrovamento, all’interno della cava, fu edificata una chiesa sotterranea; e l’affluenza dei pellegrini fu tale e tanta che, all’inizio del XVII secolo, si rese necessario avviare il cantiere per costruire una chiesa superiore, più spaziosa e di più facile accesso, che ancor oggi ospita la famosa statuetta.

Ultima curiosità, per chiudere? Fu proprio di fronte a quella chiesa che, nel luglio 1862, Giuseppe Garibaldi riunì le sue Camicie Rosse pronunciando quel suo celebre «o Roma, o morte». A suo modo, anche la Storia patria ha sostato brevemente di fronte a quella chiesa, prima di volgere il suo sguardo altrove.

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