L’anima sporca e l’acqua che la lava: la confessione periodica secondo gli autori medievali

La polvere della strada, il sudore dell’estate, gli schizzi di cibo che ci vanno addosso mentre cuciniamo: è inevitabile che un vestito si insozzi, quando viene usato. Non è colpa di nessuno, è semplicemente qualcosa che capita; e non v’è motivo di vergognarsi nel rincasare con un abito visibilmente sporco, dopo una lunga giornata di lavoro. Semplicemente, è nella natura delle cose. Vergognoso semmai sarebbe ostinarsi ad andare in giro con gli stessi vestiti stazzonati e sudaticci, senza ripulirli alla bisogna con una salutare insaponata non appena se ne ha occasione: ma chi è così sciocco da fare una cosa simile? Nessuno, ovviamente, escluso forse qualche folle.

E se questa banale considerazione di buonsenso vale per ciò che è a contatto col nostro corpo, perché non dovrebbe valere allo stesso modo anche per l’anima che del corpo è il prezioso contenuto? Anche quella si sporca inevitabilmente, costantemente esposta alle tentazioni e gravata da quella debolezza intrinseca che è propria della natura umana: e non c’è niente di cui vergognarsi, nel realizzare che la sua purezza si è appannata leggermente col passar del tempo. Vergognoso semmai sarebbe non correre ai ripari ripulendola con una salutare confessione, un rimedio a costo zero alla portata di ogni buon cristiano.

Quindi, perché esitare ad approfittarne? Opportuno sarebbe anzi avvalersene con la stessa serenità con cui si porta un vestito dalla lavandaia: o così, almeno, scrissero molti autori medievali, alle prese con l’improba missione di far familiarizzare i cristiani con la pia pratica della confessione periodica e frequente.

Che – sarà bene ricordarlo – divenne obbligatoria solo nel 1215, quando il quarto concilio lateranense impose ai cattolici di confessarsi con regolarità almeno una volta all’anno. L’obbligo (che ovviamente fu introdotto dopo un ampio battage pubblicitario svoltosi nelle decadi precedenti, a preparare l’opinione pubblica) fu accolto da una certa fetta di fedeli con scarso entusiasmo e ampia perplessità: fino a quel momento, era tassativo per confessarsi solo quando si era consci di aver commesso un peccato (veramente) grave. Per tutto il resto (per le piccole mancanze di ogni giorno; per i peccati veniali, a voler usare il linguaggio tecnico) la confessione non era di per sé richiesta. Né socialmente attesa: semplicemente, se ne faceva a meno.

E ci volle del bello e del buono, da parte dei religiosi, per riuscire a mutare la sensibilità su questo tema. Molti di loro, nel farlo, decisero di ricorrere proprio al paragone con i lavaggi frequenti e salutari: se è inevitabile che tutto ciò che esiste si sporchi stando al mondo, chi si potrebbe stupire di fronte alla necessità di lavare periodicamente anche il proprio spirito?

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La suggestione di un’anima che viene ripulita con abbondanti secchiate d’acqua non appartiene unicamente alla predicazione medievale. Metafore simili si ritrovano già nella Bibbia: «purificami con issopo e sarò pulito; lavami e sarò più bianco della neve» recita il Salmo 50; e anche la Lettera agli Ebrei (10, 22) paragona «i cuori purificati da ogni cattiva coscienza» a un «corpo lavato con acqua pura». Insomma: i religiosi medievali non inventarono nulla di nuovo, nel ricorrere a questa metafora; è vero però che questo tipo di similitudine divenne molto più frequente nel pieno Medioevo, in concomitanza con (o in preparazione a) l’introduzione della confessione annuale obbligatoria.

Volete qualche esempio?

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Risale all’Inghilterra del XIII secolo, l’Ancrene Wisse, un manuale per anacorete scritto da autore anonimo (e ripubblicato nel 1929 in edizione critica da un autore niente affatto anonimo: J. R. R. Tolkien. Fu il primo a far conoscere al grande pubblico questa deliziosa operetta).

In un passo del trattato, scritto per offrire consigli spirituali alle ragazze che si preparavano ad abbracciare la vita religiosa, l’autore riflette sulle abitudini igieniche che regolano la vita quotidiana di qualsiasi individuo sano di mente. Partendo dal presupposto che le sue lettrici si lavino le mani almeno due volte al giorno (se non altro, prima dei pasti), l’istruttore invita le fanciulle a dedicare le medesime attenzioni alla pulizia periodica della loro anima. Proprio come accade con la punta delle dita, inevitabilmente esposta a ogni tipo di lerciume per il normale utilizzo che se ne fa nella vita quotidiana, è irragionevole pensare che la propria anima possa rimanere immacolata a tempo indefinito, immersa com’è nelle lordure del nostro mondo.

Del resto, non è forse vero che qualcosa di simile vale anche per la biancheria? Per quanto si possa fare attenzione, è impensabile che una tovaglia possa essere utilizzata per tanti giorni consecutivamente senza riempirsi di piccole macchie; e infatti, le massaie avvedute lavano con regolarità la biancheria da tavola. Ebbene: lo stesso accade all’anima di un buon cristiano; una bella sciacquata nell’acqua pura della confessione sarà sufficiente a rimetterla a nuovo anche quando si è un po’ sgualcita.

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Nel De doctrina cordis – un trattato duecentesco attribuito a Gerardo di Liegi, frate domenicano – la confessione viene paragonata ai lavori di manutenzione periodici attraverso cui i popolani liberano le loro case dalle erbacce e dalla muffa, per rimetterle a nuovo: è la normale esperienza di vita domestica a consigliare interventi tempestivi quando ci si avvede di qualche problema, per evitare che la situazione degeneri e costringa poi a una manutenzione molto più lunga e più onerosa.
E anche le massaie sanno che, quando un vestito si sporca, sarebbe opportuno lavarlo il prima possibile per evitare che la macchia si fissi sulla stoffa, seccando, e diventando molto più ostica da ripulire. Ebbene, lo stesso vale per la nostra anima: accostarsi con regolarità e tempestività alla confessione non deve essere motivo di vergogna, ma anzi di lode: una dimostrazione di eccellente economia domestica.

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Il pozzo di Giacobbe è una gustosissima raccolta di novantacinque sermoni composta nell’Inghilterra del tardo XV secolo. Rivolgendosi a una popolazione fortemente rurale, l’anonimo autore (probabilmente un parroco di campagna) ricorre a un’ampia gamma di metafore ispirate alla vita d’un villaggio medievale per sottolineare la necessità di prendersi cura della propria anima.
In una di queste, il curato di campagna invita i fedeli a riflettere sulle tecniche utilizzare per costruire un pozzo: innanzi tutto, è bene scegliere un posto nel quale si abbia la ragionevole certezza che la falda acquifera non sia facilmente contaminabile. E allo stesso modo, sarà bene che un cristiano abbia cura di edificare la sua anima in luogo che sia ben lontano da tutti quei siti (reali o metaforici) che sono noti per la loro sozzura.
Ma non solo: l’autore sottolinea che i pozzi, una volta scavati, vanno sottoposti ad accurata manutenzione. Spesso vengono protetti con un coperchio che impedisce alle foglie di caderci dentro; e i contadini avveduti controllano periodicamente che non vi sia della sporcizia accumulatasi nell’imboccatura, poiché l’esperienza dolorosamente insegna quanto sia facile che un elemento esterno arrivi a contaminare acqua altrimenti limpida, rendendola non più potabile. Ebbene, lo stesso accade con l’anima, nel momento in cui non si ha cura di sottoporla a manutenzione periodica: e chi vorrebbe dover convivere con un simile pericolo? Chi attingerebbe acqua da un pozzo, se non è sicuro che essa sia limpida?

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E il tema delle falde acquifere contaminate e sporche è presente anche nel De institutione inclusarum di Aelred di Rievaulx, composto alla metà del XII secolo. In questo caso, la suggestione dei danni causati dall’acqua si trasforma nella descrizione di una catastrofica alluvione, che rompe gli argini del fiume e porta distruzione in tutti i luoghi che tocca rischiando concretamente di affogare i malcapitati che vi si ritrovano presi in mezzo (per sventura o per imprudenza).

Con umiltà, il monaco ammette d’essersi trovato in simili ambasce quando (in giovinezza, non avendo ancora indossato la veste religiosa e anzi facendo la bella vita nel palazzo del re di Scozia) era stato completamente sommerso dal fiume della concupiscenza, che l’aveva avvinto e tramortito trascinandolo nella sua fortissima corrente. Il giovane aveva fatto molta fatica a ripulirsi di tutta la lordura che l’acqua aveva lasciato su di lui: è noto a tutti che le alluvioni portino con sé fango e detriti, che rimangono ad appesantire il paesaggio anche quando l’acqua si ritira. Meglio cercare di non ritrovarsi in condizioni così drastiche, dalle quali si rischia di non uscire indenni e che nella migliore delle ipotesi richiedono poi un lavoro durissimo per ripristinare lo status quo. Che ne so: meglio evitare di costruire casa proprio sulle rive di un fiume che è noto per rompere gli argini ogni tre per due.

Ma quand’anche la tragedia dovesse capitare: beh, la cosa importante è non darsi per vinti. Anzi, l’esperienza insegna che i popoli avveduti fanno esattamente il contrario, quando la sciagura li colpisce: si rialzano, si armano dei giusti strumenti, chiedono aiuto a chi glielo può dare… e poi, pian piano, rimettono in sesto la propria casa. Si può fare.


Per approfondire: Hetta Elizabeth Howes, Transformative Waters in Late-Medieval Literature: From Aelred of Rievaulx to The Book of Margery Kempe (D.S.Brewer, 2021)

8 risposte a "L’anima sporca e l’acqua che la lava: la confessione periodica secondo gli autori medievali"

  1. Avatar di ac-comandante

    ac-comandante

    Ma quand’anche la tragedia dovesse capitare: beh, la cosa importante è non darsi per vinti. Anzi, l’esperienza insegna che i popoli avveduti fanno esattamente il contrario, quando la sciagura li colpisce: si rialzano, si armano dei giusti strumenti, chiedono aiuto a chi glielo può dare… e poi, pian piano, rimettono in sesto la propria casa. Si può fare.

    I Giapponesi dicono cadi sei, alzati sette. Io non avevo mai fatto l’elettricista, anche se conoscevo l’argomento… da semplice appassionato di trazione elettrica ferroviaria: avevo passato una serie di problemi personali e due amici, che elettricisti sono sempre stati e si stavano mettendo in società, mi hanno chiesto se volevo andare con loro. L’ho fatto.

    A me è capitato che chi doveva curare la “manutenzione delle anime” mi abbia peggio che offeso, senza esporsi, per cui alla fine ho trovato rifugio nei cinque Sola della Riforma. Ben prima che mi mettessi a fare io manutenzione di impianti elettrici.

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Io sono cattolica eh, ma concordo moltissimo sul fatto che alcuni sacerdoti (non tutti) hanno problemi oggettivi nel gestire le confessioni. Più che altro perché mi pare che adesso il trend sia quello di fare psicoterapia al penitente e dargli consigli ad ampio raggio sulla gestione della sua vita (di cui però magari il sacerdote non sa assolutamente, perché obiettivamente non ha mai visto prima il tizio che ha di fronte). Cosa che secondo me può anche diventare pericolosa, potenzialmente, anche perché in confessionale elenchi solo i peccati tuoi, non i peccati d’altri, quindi a volte capita che il sacerdote non abbia il quadro completo della situazione.

      A me una volta è capitato mentre accennavo a problemi che avevo avuto in un luogo di lavoro (e il sacerdote s’era sentito in dovere di farmi tutto un predicozzo su come avrei dovuto comportarmi da quel momento in poi, col piccolo problema che non sapeva assolutamente nulla dell’ambiente di lavoro e in buona fede mi stava dando suggerimenti che sarebbero stati deleteri se fossi stata così scema da dargli retta e metterli in pratica). Non oso immaginare quali danni potrebbe fare un sacerdote che intervenisse con lo stesso atteggiamento in questioni ancor più delicate (che ne so, un matrimonio in crisi per dire).

      In passato, non tutti i sacerdoti avevano il permesso di confessare: serviva proprio un “patentino” apposito che consegnava il vescovo e che poteva anche essere negato (tipicamente a quei sacerdoti che sembravano troppo suggestionabili, col rischio che poi passassero ore a rimuginare sui peccati altrui ascoltati in confessione). Adesso ovviamente il problema è che ci sono talmente pochi sacerdoti in generale che sarebbe una follia pensare di poter fare ancora questo tipo di scremature, ma ho sempre pensato che la scrematura fosse una grande idea, quando era ancora praticabile.

      E, sì, purtroppo capita di trovarne, di tanto in tanto, di idioti in buona fede seduti in confessionale. Ovviamente non sempre eh, per fortuna, però oggettivamente capita (a me è capitato e non una volta sola!) ed è assolutamente spiacevolissimo.

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      1. Avatar di ac-comandante

        ac-comandante

        Forse ancora adesso occorre un’apposita abilitazione, so di due che non erano autorizzati a confessare: uno era un ex professore che si è fatto prete dopo essere andato in pensione, una delle ultime “vocazioni tardive” (ordinato nel 1985: il blocco di fatto alle vocazioni tardive è del 1992 con la Pastores dabo vobis e le sue applicazioni, quello di diritto con l’impedimento dirimente per gli italiani è di fine 2012). L’altro non si sentiva nel ruolo, voleva diventare uno psicologo professionista ed è riuscito, grazie al vescovo di allora, a farsi dichiarare nulla l’ordinazione a causa di pressioni familiari (evidentemente lo avevano messo in seminario minore contro la sua volontà) e psicologo professionista e specialista nella psicologia delle masse è diventato. Sono ambedue ormai scomparsi, il primo a quasi 90 anni nel 2011 e il secondo a soli 65 nel 2003.

        A me è stato fatto anche di peggio, e fuori dal confessionale, per cui, dopo essermi posto alcune domande, su un suggerimento fattomi quasi per scherzo di un amico goriziano sono finito dai protestanti (“classici” o “storici”) per davvero. E non c’entrava la politica: non voto più dal 2011 (che era stato per il Sindaco di Trieste).

        OK, ora mi fermo: i miei soci sono venuti a prendermi, abbiamo un lavoro da fare (l’elettricista non ha orari rigidi, nel bene e nel male).

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        1. Avatar di Lucia Graziano

          Lucia Graziano

          Mi è capitato, negli anni, di interpellare nel merito un paio di sacerdoti formatisi in diocesi diverse. Quando ho chiesto se avessero dovuto ricevere un’autorizzazione speciale per poter confessare, mi hanno guardata come se fossi una matta e mi hanno detto che no, ci mancherebbe altro che un sacerdote ordinato non possa ascoltare le confessioni: è una cosa a cui vieni preparato negli anni del seminario, e se i superiori ti vedono in difficoltà sul punto magari ti aiutano con insegnamenti extra, ma non era mai capitato loro di sentire di sacerdoti che venivano ordinati senza poter confessare.

          E in effetti fatico a credere che oggigiorno, in un contesto come l’Italia, qualcuno sarebbe così masochista da ordinare sacerdote uno che già palesemente ti sembra poco adatto a esercitare funzioni pastorali. Cioè, se tu superiore ti rendi conto che c’è un problema secondo me non lo ordini proprio, con l’aria che tira (ci manca solo di alimentare nuovi problemi, nuovi scandali, etc).

          Suppongo che oggigiorno possa essere *negata* la facoltà di confessare a singoli sacerdoti che purtroppo si rivelano poi inadatti al ruolo stando sul campo, ma credo (così a naso eh), che sia il procedimento inverso. Non ci sono più autorizzazioni da ottenere; semmai permessi che vengono revocati in casi davvero eccezionali (credo, eh. Onestamente non ho mai approfondito, ma così a sensazione…)

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          1. Avatar di ac-comandante

            ac-comandante

            Uno di quei due (il più giovane) forse era giudicato inadatto proprio per come è entrato nei ranghi, allora l’abilitazione esisteva ancora, tanto che quando si è sentito libero è riuscito ad uscirne senza problemi, l’unico l’ha avuto dopo morto: è stato sepolto in un cimitero periferico. L’altro forse era, all’opposto, troppo anziano (63 anni) e potrebbe essere stato sollevato dall’incarico contestualmente all’ordinazione.

            Ma un peccato imperdonabile, per il cattolicesimo esiste davvero? Intendo un peccato come azione attiva. A me è stato contestato da uomini di Chiesa che alla mia situazione (creata da loro stessi, pure!) nemmeno il Papa poteva dare una via d’uscita! E tutto per una cosa che a tanti, non solo a me, appare extra-canonica. Se volevano creare l’irreparabile, ci sono riusciti.

            Quando ho accettato i “cinque Sola” della Riforma, mi è stato anche detto di buttare nel cassonetto tutto quello che a scuola raccontano sulla predestinazione: dico solo “Concordia di Leuenberg”…

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          2. Avatar di Lucia Graziano

            Lucia Graziano

            Ma un peccato imperdonabile, per il cattolicesimo esiste davvero? Intendo un peccato come azione attiva. A me è stato contestato da uomini di Chiesa che alla mia situazione (creata da loro stessi, pure!) nemmeno il Papa poteva dare una via d’uscita!

            Uhm… messa così ti direi di no, cioè: esistono per il cattolicesimo peccati talmente gravi che comportano automaticamente la scomunica per chi li commette in piena coscienza e con deliberato consenso (es. uno tra tutti, l’interruzione volontaria di gravidanza), ma persino in quel caso c’è la possibilità di vedersi rimettere la scomunica (solitamente non solo dal papa ma anche da un certo numero di altre figure più facilmente raggiungibili).

            Più che altro, per il cattolicesimo, affinché siano rimessi i peccati occorre che siano presenti pentimento, contrizione e il genuino proposito di non ricadere in quello stesso peccato lì (poi magari ci si ricade lo stesso perché nessuno è perfetto, e quello non è un problema dal lato canonico; ma nel momento in cui ci si va a confessare ci dev’essere davvero la buona volontà di dire “ok, io ci provo davvero a non farlo più, mi ci metto d’impegno”).

            Quando viene negata l’assoluzione, questo dipende non tanto dalla gravità del peccato in sé, ma dalla mancanza dei prerequisiti di cui sopra.

            Esempio banale (e ipotetico eh, non facciamo prendere un colpo a chi tra i miei lettori conosce la mia famiglia 😂): mi sono sposata in chiesa, il matrimonio è valido, non c’è alcun margine per valutare la possibilità che esso sia nullo; però poi la storia finisce, divorzio, conosco un altro uomo, è l’amore della mia vita, vado a vivere con lui. A quel punto però agli occhi della Chiesa sono in una situazione irregolare, perché in un’ottica cattolica io continuo a essere sposata col marito n. 1, quello in cui sono stata unita dal matrimonio-sacramento, e quindi è come se io fossi andata a vivere in concubinaggio con uno che è il mio amante.
            Fin lì, nulla di irrimediabile; il problema però è che io posso anche essere conscia astrattamente del fatto che mi trovo in una situazione irregolare, ma è ben difficile che io vada a confessare il mio peccato col reale proposito di non peccare più (che vorrebbe dire interrompere la coabitazione col nuovo marito, smettere di avere con lui rapporti sessuali, ricominciare a trattarlo solo come un amico). E dunque, mancando questa condizione imprescindibile, io non posso essere assolta (anche se a onor del vero in anni recenti si stanno cominciando a valutare forme di accoglienza anche per le coppie che si trovano in queste condizioni. Ma per dire, era per fare l’esempio più immediato).

            Ma di per sé, la mancanza di assoluzione non dipende dalla gravità del peccato in sé, ma proprio dal modo in cui il penitente si relaziona alla sua colpa. Mancando il serio proposito di emendarsi, non possono essere assolti nemmeno i peccati più “scemi” se vogliamo chiamarli così (es. “ho mangiato carne in un venerdì di Quaresima e me la mangio pure la settimana prossima perché ho il barbecue con gli amici”).

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          3. Avatar di ac-comandante

            ac-comandante

            Infatti sapevo che al più anziano dei due (ordinato già 63enne) dovrebbe essere stato “inibito” di confessare, chi lo ha conosciuto come prete diceva che non poteva e basta, perchè poteva essere inadatto; per l’altro l’abilitazione c’era ancora quand’era stato ordinato e inadatto al ruolo si è rivelato in toto, tanto che è riuscito a far dichiarare nulla la stessa ordinazione perchè in un certo senso era stata imposta dalla famiglia, che lo aveva circuìto fin da piccolo.

            Riguardo a quello che mi hai risposto sulla questione imperdonabilità… ormai sono sicuro che quelli volevano cacciarmi, non volevano che lavorassi per loro (avevo cercato di entrare in una coop. cattolica, e chi è escluso dai sacramenti non può lavorare in nulla che sia riconosciuto come tale, fosse anche una cooperativa, ma a questa conclusione mi hanno fatto arrivare… i protestanti!). Bell’affare hanno fatto! Va bene che Benedetto XVI era un sostenitore del “pochi ma buoni”, ma non penso così… o_O

            PS: Sei medievalista, hai scritto. Conosci anche aspetti delle scienze e delle tecnologie medievali? Io avevo conosciuto uno studioso che conosceva, sia pure di striscio, l’argomento, sul tema non ha mai pubblicato nulla. Purtroppo è morto per un incidente stradale nel gennaio 2008 (con questi dati forse saprai chi era).

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          4. Avatar di Lucia Graziano

            Lucia Graziano

            Avevo cercato di entrare in una coop. cattolica, e chi è escluso dai sacramenti non può lavorare in nulla che sia riconosciuto come tale, fosse anche una cooperativa

            …diciamo che purtroppo neanche questo è troppo vero (dico “purtroppo” per te, nel senso che se te lo hanno detto o lasciato intendere probabilmente l’hanno davvero usata come scusa per non assumerti. Che mi pare anche un comportamento piuttosto scorretto nei confronti della Chiesa, fra parentesi). Per esperienza diretta: ho lavorato in enti cattolici per buona parte della mia vita lavorativa, spaziando dalle cooperative fino alle sedi provincializie delle congregazioni religiose, e mai una volta mi è stato chiesto di dimostrare che la mia posizione era regolare – e dire che sarebbe anche stata una richiesta facile, perché in seno alla Chiesa cattolica esiste una roba che si chiama “certificato di buon cristiano” e che deve essere erogato da un sacerdote che ti conosce bene, per es. se vuoi fare il padrino o la madrina di qualcuno. Ambeh, non una sola volta mi è stato richiesto in un contesto lavorativo, e anzi ti posso dire che in un ente dove lavoravo c’era addirittura una dipendente musulmana (che si occupava delle pulizie, quindi non aveva un ruolo “educativo” o “di rappresentanza”, ma per dire…).

            Poi chiaro che i datori di lavoro si aspettano (e anche giustamente) che i dipendenti non vadano in giro a criticare “l’azienda” ogni tre per due (e mi sembra pure normale voglio dire), e non metto in dubbio che in fase di selezione del personale uno possa decidere di assumere la persona che lo ispira di più e dia la precedenza a chi mostra di avere una vita ecclesiale attiva (e pure quello mi sembra legittimo), ma non mi risulta proprio che sia d’uso comune un criterio così tranchant, “se non sei a posto coi sacramenti non ti assumo manco morto”. O avevi beccato la cooperativa più intransigente d’Italia, oppure sì, l’hanno davvero usata come scusa. Sempre molto bello sentire queste storie :-\

            (E, no, sulla storia della scienza e della tecnologia so davvero pochissimissimo, tutto derivante da letture personali – per dire, nemmeno all’università mi è capitato di fare un corso monografico a tema. E’ una materia davvero molto settoriale, per eccellere nella quale secondo me servono anche delle competenze base di scienza e tecnologia che non necessariamente sono in possesso di uno storico qualunque. Io per esempio non ce le ho, penso che faticherei abbastanza se dovessi mettermi domani ad approfondire questo aspetto!)

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