Mary Anning, una scienziata con una vita da fiaba

Lyme Regis era una località turistica di una certa fama per i danarosi vacanzieri di inizio Ottocento (e, in quanto tale, non ignota a Jane Austen, che tra le vie di quella città del Dorset volle ambientare il suo Persuasione). Ogni estate, nel villaggio costiero fioccavano turisti a centinaia; e, come accade in ogni luogo di mare che si rispetti, le amministrazioni comunali provvedevano a organizzare eventi che potessero spezzare la monotonia della vacanza con spettacoli degni di far pensare “wow, mi piace questo posto: ci voglio tornare!”.

E fu così che, il 19 agosto 1800, un maestoso spettacolo equestre fu organizzato nelle campagne attorno a Lyme: e fu una esibizione di grande magnificenza, che fece trascorrere ai turisti e agli abitanti una dilettevole giornata. Attorno alle cinque del pomeriggio, dei grossi nuvoloni neri che non promettevano niente di buono cominciarono ad addensarsi, ma nessuno voleva perdersi il gran finale dello spettacolo e quindi il pubblico rimase ostinatamente fermo lì dov’era, sperando che il cielo avrebbe usato la cortesia di aspettare ancora un po’ prima d’aprirsi in un acquazzone.

Purtroppo, non fu così, e d’un tratto scoppiò uno di quei violentissimi temporali estivi che ti infradiciano nell’arco di pochi istanti. Ci fu un fuggi fuggi generale, e la gente cercò istintivamente un riparo per schermarsi da quella cascata d’acqua; cosa peraltro non facilissima, visto che si era in piena campagna. E tre donne del posto, in particolare, fecero esattamente tutto ciò che non si dovrebbe fare quando si viene colti da un temporale quando si è all’aperto: cercarono rifugio sotto un albero, forse ansiose di fornire un minimo di protezione alla bimbetta di un anno che avevano con sé e che non era nemmeno figlia loro; la madre, infatti, gliela aveva affidata per il pomeriggio assumendole, per così dire, quali babysitter.

Ecco: quando scegli una babysitter per i tuoi figli, un dato che potrebbe valer la pena di vagliare è la loro attitudine a fare scelte suicide tenendosi in braccio il pargoletto; perché – sotto gli occhi orripilati di tutta la folla lì presente – la tragedia colpì immancabile e con tutta la sua potenza. Nel pieno del temporale, un fulmine s’abbatté sull’albero; e quando i più volenterosi accorsero sul posto per prestare soccorso alle tre donne che si erano nascoste sotto le sue fronde, ebbero l’orribile compito di dover constatare che le sventurate erano state uccise sul colpo. La bambina, invece, respirava ancora, anche se si pensò che forse sarebbe stato meglio per lei morire all’istante visto il modo in cui il fulmine aveva ridotto il suo corpicino martoriato: la sua pelle era livida, completamente nera; uno spettacolo straziante che fece piangere molte lacrime di commozione. La bimba, che molti conoscevano in paese, fu rapidamente riportata a casa in modo tale che la madre potesse darle il suo addio; sicché furono numerosi gli estranei che, in quel pomeriggio tempestoso, ebbero modo di assistere al letterale miracolo che seguì. E dico “letterale” perché anche alcuni medici, interpellati successivamente a proposito dei fatti che sto narrando, si trovarono davvero a voler ricorrere al termine di “miracolo” per commentare un evento che parve loro inspiegabile. Quando la madre decise di fare un bagno caldo alla sua povera bambina, che aveva preso così tanta pioggia da essere tutta intirizzita, la piccina pian piano cominciò a rinascere: il suo corpicino ritornò del colore normale e le sue gambette ripresero a muoversi, sguazzando nell’acqua. Nell’arco di un paio d’ore, la piccola Mary aveva riaperto gli occhi ed era tornata la bimba allegra che era sempre stata: sembrava quasi che fosse tornata a casa dopo una passeggiata all’aperto come tante, e che nulla di strano le fosse successo, in quel giorno d’orrore.

Anche se, col senno di poi, forse qualcosa di strano era successo per davvero. Gli abitanti di Lyme Regis presero a mormorarlo una decina d’anni più tardi, cominciando a mettere assieme tutti i pezzi di un puzzle che cominciava pian piano a prendere senso davanti ai loro occhi. Quel fulmine che l’aveva trapassata da parte a parte aveva palesemente lasciato il segno nella piccola Mary, trasformandola in una specie di supereroina di età Regency e inondandola di una intelligenza che rifuggiva a ogni normale legge di natura: solo questo poteva spiegare la circostanza assurda per cui quella bimbetta di undici anni, che aveva frequentato solamente la scuola parrocchiale del villaggio e solamente per pochi anni, era diventata (così: dal nulla, senza senso) una paleontologa capace di dialogare disinvoltamente con gli esperti del British Museum a Londra.

E, per inciso, questa non è una di quelle agiografie immaginifiche che ci piacciono tanto: questo è realmente ciò che fu detto a proposito di Mary Anning, quando la bambina s’affacciò per la prima volta sul panorama accademico internazionale.
Sì, a undici anni.

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“Mary Anning” potrebbe essere un nome già noto a chi è appassionato di cinematografia: nel 2020, le è stato dedicato un film con Kate Winslet e Saoirse Ronan, che aveva creato un certo numero di polemiche per aver immaginato una storia d’amore lesbo tra la paleontologa e una delle sue più strette collaboratrici. (A onor del vero, non risulta che la scienziata fosse lesbica né mai circolarono all’epoca pettegolezzi simili sul suo conto; anzi, semmai si ipotizzò una love story tra la ricercatrice adolescente e un suo facoltoso sostenitore anziano, sospettosamente munifico nei confronti della ragazza. Il registra del film rispose alle critiche parlando di una sua consapevole scelta artistica legata al modo in cui lui personalmente si sentiva ispirato a guardare al personaggio di Mary, che non aveva mai voluto sposarsi e si era invece circondata da amiche femmine).

Certo è che (polemiche a parte), il film di Francis Lee mette in scena una Mary Anning che è, ovviamente, ormai decisamente adulta: ma la parte più intrigante della sua storia, a mio giudizio, è la sua infanzia da fiaba iniziata proprio nel modo che vi ho descritto. L’incidente legato al fulmine ebbe luogo per davvero, e fece così scalpore da essere documentato da un buon numero di articoli di cronaca: niente male come incipit di una vita prodigiosa, per quella piccola bambina del Dorset!

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Mary era nata il 21 maggio 1799 in una famiglia estremamente ordinaria: il padre era un carpentiere e la madre gestiva casa, occupandosi di una torma di figli che sarebbe anche stata parecchio numerosa se molti dei suoi bambini non fossero morti in tenera età, stroncati dalle tante malattie dell’infanzia.

Nel tempo libero, dopo il lavoro, il padre Richard amava passeggiare sulle coste di Lyme alla ricerca di piccoli fossili da rivendere ai turisti a mo’ di souvenir di viaggio. Era un business che poteva dare buone soddisfazioni, se si aveva la fortuna di trovare il reperto giusto da piazzare a buon prezzo: nell’Inghilterra d’età Regency, era nuova e innovativa l’idea che il mondo fosse stato un tempo popolato da creature aliene a noi e ormai estinte; e tra le classi benestanti (e dunque più istruite) era nata pian piano una notevole fascinazione per quegli strani oggetti chiamati “fossili” di cui si cominciava appena a intuire la natura e l’importanza. Caso vuole che Lyme Regis, la cittadina in cui vivevano gli Anning, sorga lungo la Jurassic Coast, un lembo di terreno sul Canale della Manica che è stato recentemente dichiarato patrimonio dell’umanità a motivo delle sue particolari caratteristiche geologiche che (fra le altre cose) rendono particolarmente frequente il ritrovamento di fossili. E poiché Lyme era all’epoca una località di vacanza particolarmente in, accorrevano ogni estate nella cittadina quel tipo di turisti che ben volentieri erano disposti a spendere un po’ di soldi per portarsi a casa un souvenir di viaggio, specie se così caratteristico e rinomato. Ragion per cui, durante l’alta stagione, Richard Anning allestiva davanti a casa una bancarella, mettendo in vendita piccole ammoniti e belemniti: non un business capace di farti diventare ricco (del resto, non si può pretendere chissà quanti soldi per un fossile dalle dimensioni tutto sommato assai minute)… ma era pur sempre un modo per arrotondare lo stipendio.

E poi, Richard ci si divertiva: diciamo pure che le sue passeggiate sulla costa erano anche un momento di condivisione padre-figlia, visto che la piccola Mary amava moltissimo accompagnare il suo babbo alla ricerca di fossili, godendo di quel prezioso spazio solo per loro due.

Nella quieta ordinarietà di una famiglia come tante, gli Anning vivevano insomma una vita senza troppi scossoni: una condizione che mutò drasticamente quando, nella primavera del 1810, Richard mise un piede fuori posto mentre stava camminando sulle scogliere e cadde precipitosamente lungo la nuda roccia, fermando la sua corsa solo parecchi metri più in basso. Si ferì gravemente e in più punti: e se non fu quella caduta a ucciderlo direttamente, l’incidente contribuì certamente a minare la salute di un fisico che non tornò mai più quello di prima. Pochi mesi più tardi, Richard morì nel suo letto stroncato da una malattia invernale che probabilmente aveva trovato terreno fertile di cui impossessarsi in quel corpo già indebolito: l’uomo era ancora nel pieno della sua maturità e lasciava dietro di sé una vedova disperata e dei figli ancora piccoli.
Mary aveva da poco compiuto dieci anni.

Il giorno dopo il funerale di suo padre, la bambina tornò a passeggiare sugli scogli compiendo di nuovo, e per la prima volta da sola, quell’itinerario che tante volte aveva fatto col suo babbo durante le loro gite. Chissà, forse era un modo per elaborare il lutto e per dirgli addio; e forse a Mary parve quasi d’aver ricevuto un’ultima carezza dal suo babbo quando notò, sola soletta, su uno scoglio, una piccola ammonite, proprio come quelle raccoglieva il suo papà. Imitando i movimenti che gli aveva visto fare tante volte, la staccò delicatamente dalla roccia e se la portò a casa, provando speranzosamente a far girare la voce che se qualcuno voleva comprarla… beh, era in vendita (anche perché, dopo la morte del padre, gli Anning avevano perso d’un tratto la loro unica fonte di reddito).
Una donna (sicuramente non ignara del funerale che c’era stato il giorno prima e della tragedia che si era schiantata su quella famiglia sfortunata) si offrì per comprargliela per mezza corona, una cifra più che generosa dettata senz’altro dalla volontà di aiutare quelle povere persone.

Mary ne fu entusiasta: non era certo in suo potere mandare avanti la carpenteria del padre, ma a quanto pare era capace di ereditare il suo business parallelo e di aiutare in quel modo la sua mamma e i suoi fratellini! Da quel momento in poi, dedicò ogni giorno della sua vita alla ricerca di fossili, percorrendo le coste di Lyme Regis da cima a fondo e da mattina a sera. Aveva dieci anni ed era – così dire – la più piccola paleontologa di cui la Storia abbia memoria: e da quel momento in poi, non abbandonò più quella che, nei fatti, sarebbe stata destinata a diventare la sua passione e il suo lavoro.

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La sua prima scoperta scientifica di rilievo avvenne nel 1811 (Mary non aveva ancora compiuto dodici anni!), quando individuò, nella zona di Black Ven, tra Lyme e Charmouth, un fossile di ittiosauro.
A quell’epoca, ben pochi ne erano stati rinvenuti (e nel corso di campagne di scavo ben più mirate!); e, soprattutto, tra quei pochi che erano stati portati alla luce ed esposti, quasi nessuno era completo come quello che Mary riuscì a scavare, sola soletta. La notizia, che davvero aveva dell’incredibile, finì presto sui giornali, e a lungo si parlò di questo ritrovamento strabiliante compiuto da una bambina di dodici anni (!). Il reperto fu venduto alla ragguardevole somma di 23 sterline a un proprietario terriero della zona… che qualche anno più tardi riuscì a rivenderlo al British Museum a circa il doppio di quanto l’aveva pagato; ma è pur vero che all’epoca Mary era una bambina di dodici anni. C’è da stupirsi che non sia stata immediatamente in grado di piazzare al giusto prezzo le sue scoperte?

C’era solo da darle un po’ di tempo. Nell’anno in cui di anni ne compì ventidue, fu lei stessa a trattare personalmente col British Museum, con l’Università di Cambridge e con filantropi locali attivi nel mecenatismo per vendere loro fossili pregiati a botte di 50, 70, 100 sterline: a ventisette, aveva messo da parte danaro sufficiente per comprarsi a Lyme una casa piuttosto spaziosa con affaccio su una via di gran traffico. Nell’ampio locale con vetrina al pian terreno, allestì quello che era per metà un negozio di souvenir per turisti e per metà un museo paleontologico con pezzi da esposizione di valore considerevole, che aspettavano solo d’essere piazzati al cliente ente giusto.

Un successo così surreale da sembrare veramente incredibile, per quella giovane donna proveniente da un’umile famiglia di carpentieri che, tra l’altro, non aveva mai compiuto studi formali né mai si sentì chiamata ad abbracciare una vita accademica (che pure avrebbe avuto qualche chance di poter percorrere, visto la nomea che si stava pian piano costruendo!). Mary Anning aveva semplicemente studiato alla scuola parrocchiale del suo paesino, come tutti i suoi coetanei; quando il suo business cominciò a diventare qualcosa di più concreto, si comprò qualche manuale per imparare il Francese da autodidatta e poter così leggere i lavori di Georges Cuvier, il più grande paleontologo dell’epoca. Ma, a parte questo, furono questi i suoi unici studi (e forse qualcuno contesterebbe addirittura l’uso di questo termine, in riferimento a una preadolescente che leggiucchia libri nell’allegro caos di casa sua con i fratellini che le giocano dappresso): tutto il resto, Mary lo acquisì direttamente sul campo, andando per tentativi, confrontando le sue scoperte con quelle che erano state pubblicate dai grandi paleontologi sul continente e dissezionando animali da cortile per confrontare la loro struttura ossea con quella dei fossili che via via trovava.

E ciò non di meno, quando i più illustri scienziati dell’epoca venivano a Lyme Regis per conversare con quella ragazzina stramba (se non altro perché incuriositi da quello strano fenomeno da baraccone di una adolescente, figlia di un carpentiere, che pareva saperne a pacchi sui fossili senza aver mai studiato le scienze naturali), restavano basiti dalla disinvoltura con lei rispondeva loro, teneva banco e, anzi, innalzava con piena naturalezza il tenore della conversazione. E anche dalla generosità con cui la ragazza condivideva con l’accademia le sue scoperte e le sue intuizioni, del tutto priva di quella gelosia che quasi sempre gli intellettuali mostrano nei confronti del frutto del proprio lavoro.

E quando dico che gente da tutta Europa accorreva a Lyme per la curiosità di incontrare questa donna, non sto esagerando: nel 1844, persino il re di Sassonia volle fare una deviazione nel corso d’un viaggio in Inghilterra per la curiosità di scambiare qualche parola con questa scienziata, che con piena naturalezza accolse il monarca nel suo negozietto e gli fece fare un tour del suo piccolo museo come se fosse la cosa più normale del mondo.

Il re di Sassonia avrebbe fatto bene a ringraziare il suo tempismo, perché di lì a poco non sarebbe più stato possibile bearsi così facilmente della compagnia di Mary. Entro il 1845, la donna sviluppò un cancro al seno, trovandosi peraltro costretta a ricorrere all’oppio per lenire i dolori sempre più insopportabili di una malattia per cui ovviamente non esisteva cura. Non il modo ideale di concludere la propria esistenza, per una donna che aveva sempre fatto della mente brillante il suo cavallo di battaglia e che d’un tratto cominciò ad andarsene in giro ottenebrata dal papavero, suscitando tra i concittadini la spiacevole impressione che la paleontologa fosse diventata una mezza alcolizzata. Ma così va la vita, purtroppo, e purtroppo a volte è ingiusta: Mary morì il 9 marzo 1847 e morì che era ormai l’ombra di se stessa. Aveva appena quarantasette anni.

Le furono dedicati all’epoca necrologi e articoli commemorativi sulle più prestigiose riviste scientifiche del tempo (e vogliamo sottolineare ancora una volta quanto un onore simile fosse impensabilmente assurdo, per una donna del Dorset che, diremmo noi oggi, aveva solo la licenza elementare?); ma forse l’omaggio più curioso e significativo è quello che le arrivò dalla sua parrocchia. Che, qualche anno dopo la sua morte, volle rappresentarla all’interno di una vetrata dedicata a illustrare le opere di misericordia: perché anche condividere col mondo il proprio sapere, e con così tanta generosità disinteressata, è un’opera di misericordia, si argomentò all’epoca. E sospetto che sia questo uno dei migliori complimenti che possano essere fatti a uno scienziato.


Per approfondire:

  • Rachel Knowles, What Regency Women Did for Us (Pen and Sword History, 2017)
  • Patricia Piers, Jurassic Mary: Mary Anning and the Primeval Monsters (The History Press, 2015)

E, per i bambini,

  • Annalisa Strada, La cacciatrice di fossili. Mary Anning si racconta (Editoriale Scienza, 2019)

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