Di quando i papi donavano il loro corpo alla scienza per sottoporsi ad autopsia

Cercherò di dirlo nel modo più garbato che mi riesce: un cadavere non si conserva a lungo in buono stato, a meno che non venga sottoposto a procedure che ne rallentano i fisiologici processi di decomposizione. E così, quando nel tardo medioevo nacque la consuetudine di far passare nove giorni tra la morte del papa e il suo sontuoso funerale, così da permettere a tutti i cardinali di raggiungere Roma in tempo utile per il conclave, fu immediatamente chiaro che le salme dei pontefici avrebbero dovuto essere adeguatamente trattate, per rendere dignitoso e sostenibile un cerimoniale funebre che prevedeva tempistiche così lunghe.

Poco male, ché la Chiesa Cattolica non è certamente ostile alle tecniche di conservazione cadaverica: e così, nella prima età moderna, s’affermò la consuetudine di imbalsamare i pontefici dopo circa ventiquattr’ore dalla loro morte. E verrebbe anche da aggiungere “e grazie tante”, ché la notizia in sé non è certo così intrigante da meritare un articolo tutto per sé; ma le cose si fanno un po’ più interessanti se, a quanto già detto, s’aggiunge un’altra (rilevante) informazione. Che potrebbe suonare come: “e, approfittando del fatto che in ogni caso diventava necessario maneggiare il corpo, gli archiatri pontifici presero l’abitudine di fare anche un’autopsia, già che c’erano”.

La cosa è interessante a motivo di quella fake news dura a morire per cui la Chiesa Cattolica avrebbe ostacolato per secoli il progresso scientifico avversando la pratica delle anatomie, così preziosa per gli studi medici: al tema ho già dedicato un altro articolo, cui vi rimando per una trattazione più dettagliata. In questo contesto, basti dire che, no, la Chiesa non ha mai emesso simili condanne: quello che i papi avevano sanzionato era il malcostume di procurarsi corpi da analizzare andando a trafugare nottetempo cadaveri a caso dissotterrandoli dal camposanto, come spesso capitava all’epoca. Ma, in termini generali, la Chiesa Cattolica non ha mai espresso obiezioni di principio all’idea che venisse praticata un’autopsia là dove necessario e/o, genericamente, sul cadavere di chiunque fosse stato consenziente a donare il suo corpo alla scienza, per il progresso degli studi medici.

E, in tal senso, i papi erano tutti consenzienti.
Stupiti? Eh lo so: eppure è vero!

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La consuetudine di imbalsamare le salme dei pontefici si impone a partire dalla morte di Giulio II († 1513), anche se non risulta che in quel frangente il cadavere sia anche stato sottoposto ad autopsia. Probabilmente, in quell’occasione nessuno ci pensò proprio. Del resto, non c’era alcun motivo per sottoporre a indagini autoptiche il corpo di Giulio II.

Ci furono invece parecchi motivi per disporre un’autopsia sulla salma del suo diretto successore, Leone X, morto nel 1521 ad appena quarantacinque anni, e a seguito d’un malore così improvviso e inaspettato da aver fatto inarcare a molti le sopracciglia. Poiché il papa aveva bevuto un bicchiere di vino poco prima di sentirsi male, molti puntarono il dito sui suoi coppieri accusandoli d’avergli servito una bevanda avvelenata: i due poveretti erano già stati condotti in carcere, quando l’archiatra li scagionò annunciando che, alla luce dell’autopsia operata, la causa del decesso era da identificarsi in un peggioramento improvviso della malattia respiratoria che già da qualche giorno affliggeva il papa con tossi catarrose (era il 1° dicembre, e Leone X era probabilmente morto per uno di quelli che oggi definiremmo “mali di stagione”).

E, nel corso della Storia, vi furono un altro paio di casi in cui le autopsie sui corpi dei pontefici furono disposte allo scopo di smentire un sospetto d’omicidio. Sisto V († 1590) aveva quasi settant’anni quando morì, plausibilmente ucciso dalla malaria; ma la sua morte fu così rapida da indurre a pensar male, sicché occorse un’autopsia a smentire l’ipotesi per cui il pontefice fosse stato avvelenato.

Più sinistri furono i risultati delle indagini operate nel 1774 sul corpo di Clemente XIX. Il papa morì, non giovane, dopo dieci giorni di malattia, e dunque in circostanze non particolarmente sospette; ad allarmare però i funzionari della Santa Sede fu l’aspetto anomalo del corpo già in fase di agonia (con tumefazioni marcatissime, unghie viola, viso livido) e l’incredibile rapidità con cui il cadavere andò incontro a putrefazione, in un autunno non afoso (quando l’imbalsamatore raggiunse gli alloggi pontifici, la salma si trovava già in uno stato di decomposizione così avanzato che fu impossibile procedere. Entro ventotto ore dal decesso, la situazione era diventata così insostenibile che i cerimonieri presero la decisione irrituale di porre il cadavere in una bara chiusa, rinunciando dunque alla possibilità di esporre la salma all’addio dei fedeli). In un’autopsia passata alla Storia proprio per le condizioni di estremo disagio dei medici disorientati che si trovarono a performarla, molti ritennero che le anomalie divenute evidenti sul cadavere fossero compatibili con lo scenario di un avvelenamento – ipotesi che, in ogni caso, non fu mai comprovata. Né men che meno fu individuato un colpevole, sol per quello.

Ma, nella maggior parte dei casi, le autopsie sui corpi dei papi venivano svolte per interessi puramente medici. In alcuni casi, emerge chiara dagli scritti degli archiatri la necessità di sapere cosa esattamente fosse andato storto nel corso di una terapia che, con ogni evidenza, non aveva avuto i risultati sperati; in altri casi, si ha l’impressione che le salme dei papi venissero analizzate per la pura e semplice curiosità accademica di confermare una diagnosi che fino ad allora era rimasta incerta (o che addirittura non era mai stata formulata, nel caso di quegli anziani le cui condizioni di salute s’aggravavano lentamente ma nessuno riusciva a capire bene esattamente perché).  

E i risultati di questi studi anatomici, rimasti agli atti, forniscono una interessantissima carrellata del quadro clinico di pazienti ricchi in età geriatrica nella Roma del Rinascimento. Ne elenco alcuni, a titolo d’esempio: nel 1591, sul corpo di Gregorio XIV fu rinvenuta «una pietra di tre once nella vescica, a guisa d’ovo ma una poco piana con due punte che avevano ulcerata quella parete della vescica dove s’era posta»; e nel 1758 di Benedetto XIV si notò una prostata «tutta ostrutta ed ingrandita alla mole di un grosso uovo di piccione». Nel 1623, le indagini autoptiche su Gregorio XV evidenziarono «vicine al cuore due vesciche di sangue e le membrane aride che denotano mancamento di calor naturale», e sul corpo di Clemente IX fu evidente nel 1669 «il grave danno dei polmoni, e particolarmente dal sinistro lato ove il sangue stagnante aveva cominciato cancrena».

E per pagine e pagine si potrebbe andare avanti, in un excursus probabilmente interessantissimo sotto il punto di vista medico. Ma sotto il punto di vista storico-sociale, sarà più interessante soffermarsi sulle osservazioni di Maria Antonietta Visceglia nel suo Morte e Elezione del Papa, di cui sono interamente debitrice per questo articolo. Ebbene: come fa giustamente notare l’autrice, gli scritti degli archiatri pontifici «mostrano la generale fiducia che la società colta del tempo aveva dell’autopsia come prova della patologia che aveva realmente causato il decesso, soprattutto in un ambiente come quello romano che aveva una tradizione scientifica autorevole nel campo della anatomia. Non sappiamo con certezza come si procedesse all’apertura del corpo, se praticando la dissezione solo all’altezza degli organi le cui patologie si ritenevano all’origine del decesso, come inclina a sostenere Elisa Andretta almeno per i papi della prima Età moderna, o con un esame anatomico più generale come in altri casi il riferimento nelle fonti allo stato di più organi lascia supporre. Certamente possiamo dire che tra Sei e Settecento, in parallelo al coevo sviluppo dell’anatomia patologica, i resoconti diventano più tecnici, commentando la situazione anatomica riscontrata dal medico organo per organo». E non posso non soffermarmi ancora una volta sul potere straniante di certe affermazioni, tantopiù se rapportate a un’istituzione che così frequentemente (e così a torto) viene descritta come nemica della scienza: pensate un po’ all’effetto che ci farebbe, oggi, ricevere un comunicato stampa in cui leggiamo “non ce n’era alcun motivo, però ci è sembrata una buona idea chiamare un po’ di specializzandi del Gemelli e fargli fare un’autopsia sul corpo di papa Francesco così imparano qualcosa di nuovo. Abbiamo deciso che d’ora in poi lo facciamo su tutti i papi”.

Eppure: questo è esattamente ciò che accadeva in Vaticano fino a non troppi anni fa (con l’unica eccezione delle frotte di specializzandi fatti venire apposta: dopo una serie d’autopsie eccessivamente affollate, si prese la decisione di riservare l’onere e l’onore al solo archiatra pontificio, eventualmente coadiuvato dal suo team). Ai risultati dell’autopsia, in compenso, veniva data amplissima diffusione, a dispetto di qualsiasi riflessione sulla privacy, tant’è che li troviamo frequentemente citati nelle pasquinate (a calcar la mano su uno stile di vita all’insegna del lusso e dei bagordi) o, al contrario, nei testi devozionali (là dove per esempio le indagini autoptiche su un papa avevano portato alla luce un corpo piegato dai digiuni o segnato dalle mortificazioni corporali).

Fino a quando andò avanti la consuetudine di sottoporre i papi ad autopsie di routine?

Chiudete gli occhi, ipotizzate una data e poi tornate qui a leggere la risposta, che vi farà trasecolare: il primo pontefice a decidere di volersi sottrarre a questa pratica fu papa Pio X, nel 1914 (!). Insofferente alla pompa di tutto il cerimoniale che normalmente ruotava attorno ai funerali pontifici, Pio X dispose che il suo corpo restasse esposto per non più di otto ore, prima di essere chiuso nella bara. Non vedendo dunque la necessità di una imbalsamazione, non fece ricorso né a questa pratica né tantomeno a quella di un’autopsia, che sarebbe anche parsa inutilmente invasiva nel contesto.

E, da quel momento in poi, nessuno dei papi d’età contemporanea sentì l’esigenza di fare dietrofront sul punto. Anzi: quando nel 1978 papa Giovanni Paolo I morì dopo un solo mese di pontificato, il Vaticano reagì con un marcato imbarazzo all’insistente richiesta di un’autopsia, proveniente da numerose voci dell’opinione pubblica. Dopo breve riflessione (se non altro perché il clima caldo di quei giorni imponeva di prendere una decisione in tempi brevi) si optò per un “no”: vuoi perché il cerimoniale vaticano (che nel frattempo era stato riscritto) non contemplava più l’eventualità di un’autopsia di routine senza reale bisogno; vuoi perché non si voleva alimentare il complottismo autorizzando un’indagine che avrebbe facilmente potuto essere interpretata dai mass media come una ammissione implicita del fatto che anche in Vaticano si sospettava un omicidio.

E del resto, è pur vero che nella società di oggi si reagisce con un certo scalpore alla parola “autopsia”, e capita assai di rado che una persona normale senta l’esigenza di donare il suo corpo alla scienza al puro scopo di far accrescere la conoscenza medica (cosa che per inciso si può fare senza problemi, casomai interessasse; ci sono dei membri della mia famiglia che hanno già dato il loro consenso previo).

O tempora, o mores: come cambia la società, nei secoli. E di fronte a queste cose, è proprio vero che siamo molto meno aperti delle gerarchie vaticane della prima età moderna.


Per approfondire:

Maria Antonietta Visceglia, Morte e Elezione del Papa (Viella Libreria Editrice, 2014)
Nelson Castro, La salute dei Papi. Medicina, complotti e fede da Leone XIII a Francesco (Piemme, 2021)

4 risposte a "Di quando i papi donavano il loro corpo alla scienza per sottoporsi ad autopsia"

  1. Avatar di Claudia Semproni

    Claudia Semproni

    Ho condiviso parte dei tuoi scritti su un gruppo telegram e la gente era tipo: “Ma no, l’autopsia è vietata dalla legge vaticana, l’ho visto in un film tratto da un romanzo di Dan Brown”… per carità, io sono troppo rimbambita per giudicare, ma volevo morire mentre lo leggevo 😬😅

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    1. Avatar di Lucia Graziano

      Lucia Graziano

      Eh 😅

      Oggettivamente, sulla questione “chiesa e scienza” se ne dicono di tante, ma di tante, che sono proprio senza fondamento. Soprattutto se la chiesa in questione è quella cattolica: non per fare scaricabarile sulle altre confessioni, ma in effetti in alcune chiese protestanti (ovviamente non in tutte) c’è un po’ la tendenza a puntare a un’interpretazione letterale della Bibbia a costo di negare cose tipo l’esistenza dei dinosauri, il bing bang o l’evoluzione.

      Sì ma non è che tutto quello che arriva dagli USA deve automaticamente valere anche per noi, ragazzi: a me pare che ultimamente ci sia un po’ la tendenza a trasporre sul cattolicesimo italiano tutti i trend che si registrano nelle chiese evangeliche statunitensi, ma mica sono la stessa cosa eh… O.o

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      1. Avatar di Francesca

        Francesca

        …intanto, care ragasse, sul trend degli incontri e incroci (tra protestanti / evangelici e cattolici), io mi diverto un sacco 😁

        Cioè, se non c’era Austin (‘sto ragazzo protestante che espone talmente bene le posizioni delle diverse chiese che…Ha già “provocato” un bel po’ di conversioni al cattolicesimo 😄 e ne è consapevole ) …beh, se non c’era lui io manco sapevo che “noi” avevamo quella ⬆️ Megachurch. Interesting! …è rimasto stupito pure lui 😂

        N.B. mi diverto con loro, non a loro spese. Sono con loro, sono decisamente una di loro. E poi… Amo parecchio ‘sti trend di collaborazione tra cristiani, di gente in seria ricerca, gente che si pone domande e le rivolge agli esperti delle varie chiese, gente normalissima che si mette a studiare… E la solidarietà genuina che si trova in molti gruppi “misti” di internette… Comunque è vero: è più facile trovare evangelici e cattolici americani che sanno spiegare le rispettive differenze rispetto al cattolico italiano “medio” che prende le info da romanzi e fiction

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