Il “Dia do Saci”: quando il Brasile dichiara guerra a Halloween appoggiandosi a un folletto monco

In Brasile, il 31 ottobre non è solamente Halloween: nello stesso giorno, ricorre (almeno sulla carta) anche il Dia do Saci, la giornata nazionale dedicata al più molesto e spaventoso dei folletti tropicali. Dico “almeno sulla carta” perché, all’atto pratico, quasi nessuno la festeggia tranne i bambini dell’asilo (che, poracci, fanno quello che gli vien detto di fare: e pare che il Dia do Saci vada piuttosto forte nelle scuole dell’infanzia).

Niente di personale contro il Saci!, verrebbe quasi da dire: è che, molto banalmente, la stragrande maggioranza delle famiglie brasiliane continua ad associare il 31 ottobre alla festa di Halloween, senz’altro più nota (e, per inciso, anche più scenografica, con i suoi party in maschera e le sue zucche da intagliare). In quella sua folle idea di mettersi in concorrenza con Halloween, il povero Saci aveva già perso in partenza: con che faccia uno spiritello tropicale semi-sconosciuto può sperare di avere la meglio su un fenomeno planetario?

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Eppure, l’idea originaria che stava alla base del Dia do Saci non era mica poi così scema, nelle intenzioni dei suoi ideatori. A lanciarla, nel 2003, fu la Sociedade dos Amigos do Saci, un’associazione culturale sorta con la lodevole intenzione di promuovere le tradizioni e il folklore locale, in un Brasile che le stava dimenticando sempre più velocemente tendendo ad appiattirsi su un generico americanismo in salsa USA. L’encomiabile progetto avrebbe avuto qualche chance di funzionare, se i suoi promotori non avessero commesso quello che, a mio giudizio, è stato il peccato capitale che ha condannato sul nascere la loro iniziativa: fissarsi, cioè, sul fatto che la promozione del Saci dovesse trasformarsi a tutti i costi nell’alternativa brasileira alla festa di Halloween. Una festa contro cui, peraltro, gli organizzatori dichiaravano di non nutrire neppure del malanimo (!): «la rispettiamo, ma molti brasiliani la celebrano senza sapere di che si tratti» aveva dichiarato, a suo tempo, Mário Cândido, fondatore del movimento. «Noi vogliamo semplicemente dare più importanza a ciò che è nostro»: vale a dire, insegnare ai bambinetti che non esiste solamente Jack o’ Lantern, e che anche il Brasile ha la sua vasta gamma di scherzi notturni, spiritelli spaventosi e fantasmi da cui guardarsi.

(D’accordo, ma bisognava per forza metterli in concorrenza?).

Ad ogni buon conto, l’idea trovò fin da subito un certo sostegno in seno ai partiti della sinistra progressista, che mal vedevano quella “americanata commerciale” che Halloween è ancor oggi agli occhi di molti. E così, nell’ottobre 2003, Ângela Guadagnin e Aldo Rebelo presentarono in Parlamento un progetto di legge per istituire ufficialmente il Dia do Saci nel calendario nazionale allo scopo di «recuperare le figure del folklore brasiliano in contrapposizione al Giorno delle Streghe (Halloween) di tradizione celtica». L’idea non fu recepita a livello federale ma trovò terreno fertile nello Stato di San Paolo, che nel 2004 fissò il Dia do Saci nella data del 31 ottobre. Le scuole sono da allora tenute a compiere in quella data attività culturali di vario tipo volte a presentare agli scolari il corpus folkloristico del Brasile, con particolare riferimento allo spiritello dispettoso.

Come spesso accade con le ricorrenze “imposte dall’alto”, le pie intenzioni dei promotori si scontrarono fin da subito con un entusiasmo popolare tendente allo zero (detto brutalmente, ’sto Saci non se lo fila nessuno, a meno di non esser costretti dalla maestra a scuola). Ma, poiché io sono sempre assai sensibile al dramma di quegli spiritelli così poco tutelati da rischiare seriamente l’estinzione, penso che non farà poi male scrivere due righe su chi sia, questo povero folletto bistrattato dalle masse.

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Il Saci-Pererê (o più semplicemente Saci, per gli amici) è uno spiritello che vive nelle foreste tropicali e se ne va a zonzo saltellando su una gamba sola (sì: è pure monco, questo povero infelice). Assume le sembianze di un ragazzo nero con un fisico da Adone (ma in miniatura: ché il Saci è piccolino, come ogni spiritello che si rispetti). Porta un berretto rosso ben calcato sulla crapa e stringe tra i denti una pipa di terracotta sempre accesa; quando poi vuole viaggiare in incognito, si trasforma senza fatica in un uccellino notturno di nome Matita Pereira, sconosciuto agli ornitologi ma ben noto al folklore: sentire il suo canto malinconico nei pressi della propria abitazione è sicuro presagio di sventura, se non altro perché ciò vuol dire che il Saci ha iniziato a interessarsi a quella casa. E ritrovarsi stalkerati dal Saci non è esattamente quel tipo di esperienza che definiremmo “desiderabile”.

Il suo repertorio è quello classico del trickster del folklore: fa inacidire il latte, scompiglia i crini dei cavalli, sveglia di notte i neonati fischiando loro nelle orecchie. Non il peggiore dei mostri in circolazione, per carità, ma nemmeno il vicino di casa migliore al mondo: c’è peraltro da far notare che il Saci tende ad attuare comportamenti ricattatori, per cui ti conduce all’esasperazione a suon di scherzi e poi s’offre di smettere se tu gli procurerai un po’ di tabacco per la sua pipa. Praticamente un mafioso che chiede il pizzo. Attraverso i secoli, qualcuno è anche riuscito a escogitare mezzi di difesa che sembrano piuttosto funzionali (strappargli il cappellino rosso è sufficiente a privarlo dei suoi poteri magici; intrappolarlo in una bottiglia chiusa con un tappo che è stato benedetto equivale a gettarlo eternamente in carcere), ma sono tecniche temerarie e c’è sempre il rischio che, fallendo, si ottenga l’unico risultato di farlo arrabbiare peggio. Motivo per cui la stragrande maggioranza dei Brasiliani s’è semplicemente rassegnata all’ineluttabilità di questa presenza, optando per una pacifica convivenza: tabacco a gogò ogni volta che il Saci si manifesta… e speriamo in bene.

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Ma da dove spunta questo spiritello?

Le sue origini, come spesso accade per il folklore del Sud America, sembrerebbero essere sincretiche. Il nome stesso di Saci tradisce l’origine indigena richiamando il termine ŷaci, che nella lingua dei Guaraní sta a indicare la luna: un etimo senz’altro appropriato, per un’entità che appare solo al buio. E pare che già in età precoloniale esistesse in Brasile la figura dello ŷaci-ŷaterê, uno spiritello con una gamba sola che spezzava il silenzio della notte con risate inquietanti e gridolini fastidiosi.

Ma se il Saci nasce come personaggio autoctono, non v’è dubbio che sia stato poi pesantemente influenzato dalle tradizioni degli schiavi africani: la sua pelle scura è indubitabilmente quella di un uomo di colore; la pipa che si tiene in bocca sembra ricordare quella che, nelle piantagioni, era un segno di autorevolezza che veniva solitamente dato agli anziani o agli schiavi più rispettati. Il berrettino rosso che il Saci si calca in testa sembrerebbe invece derivare dal copricapo del trasgo, un folletto burlone della tradizione portoghese che deve aver attraversato l’oceano assieme ai colonizzatori: è dunque dall’unione di questi tre elementi che nasce il Saci, un ibrido perfetto «prodotto dalla fantasia delle tre razze formatrici del popolo brasiliano», come scrisse iconicamente Monteiro Lobato.

Segnatevi il nome, perché fu proprio lui a dare al Saci una fama nazionale, lanciando nel 1917, sul quotidiano O Estado de S. Paulo, un’insolita ricerca folkloristica a mezzo stampa. Chiese ai lettori di riferirgli tutte le leggende sul Saci che avevano sentito raccontare nella loro infanzia e ricevette centinaia di risposte, che furono il materiale a partire dal quale, un anno più tardi, il giornalista diede alle stampe Sacy-Pererê: resultado de um inquérito. Convinto che «riscoprire le nostre radici popolari sia un atto di emancipazione culturale», Lobato trasformò poi lo spiritello nel protagonista di un romanzo per bambini, O Saci (1921), che contribuì in effetti a dare al folletto una certa fama. Da allora, al Saci sono stati dedicati fumetti, canzoncine e cartoni animati; ancor oggi, il club calcistico Internacional di Porto Alegre lo ha come sua mascotte (nonostante quel dettaglio per cui il povero folletto mi sembrerebbe più adatto a rappresentare la nazionale paralimpica, ma non sottilizziamo).

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Non che il Saci sia un perfetto sconosciuto, insomma; non che non abbia la sua piccola quota di fan. Semplicemente, è stata fallimentare l’idea di farlo competere con Jack o’ Lantern, in una guerra impari che il povero folletto monco non aveva alcuna chance di vincere.

E, con buona pace delle lotte per il riscatto identitario, la Storia insegna che forse non è il caso di iniziare a combatterle in opposizione a una delle feste più popolari al mondo, se si vuole che la propria voce risuoni forte e chiara senza rumori di fondo. Se il Dia do Saci fosse stato fissato – che ne so – al 31 gennaio, invece che al 31 ottobre, probabilmente avrebbe avuto un successo assai maggiore.

In effetti, molti insegnanti brasiliani concordano con la mia affermazione: se questa sfortunata iniziativa ha avuto un pregio, esso è stato senz’altro quello di aver spinto il mondo della scuola a riflettere sull’opportunità di trovare mezzi e modi per parlare del folklore locale “punto e basta”, e non necessariamente “in opposizione a”. Un tempo, in Brasile, il Ministero dell’Istruzione aveva istituito nel mese di agosto una Settimana do Folclore destinata appunto a questo tipo d’attività, e l’insuccesso del Dia do Saci ha indotto molti a domandarsi se non sarebbe il caso di recuperare quella vecchia iniziativa.

Se così fosse, sarebbe già una vittoria: se non altro, il Dia do Saci ha ricordato che anche il folklore può (e forse deve) essere uno degli elementi su cui si basa la cultura di una nazione, un po’ come la storia e la letteratura. E con pari dignità: persino quella d’esser insegnato a scuola.


Per approfondire:

  • Mary MacGregor-Villarreal, Brazilian Folk Narrative Scholarship (RLE Folklore). A Critical Survey and Selective Annotated Bibliography (Taylor & Francis, 2015)
  • Evandro Do Carmo Camargo, Um estudo comparativo entre O Sacy-Perêrê: resultado de um inquérito (1918) e O Saci (1921), de Monteiro Lobato (Dissertação de Mestrado – Faculdade de Ciências e Letras de Assis – Universidade Estadual Paulista, 2006)

2 risposte a "Il “Dia do Saci”: quando il Brasile dichiara guerra a Halloween appoggiandosi a un folletto monco"

  1. Avatar di Francesca

    Francesca

    beh, mi sono sentita un po’ in colpa pure io 😁 quando ho letto il cognome di una dei due responsabili della proposta del progetto di legge… Evidentemente una discendente di emigrati veneti.

    In racconti di questo tipo è interessante il valore culturale (che in effetti, se lo togli, cioè se togli il folklore, mancherà davvero un mezzo fondamentale di conoscenza di popoli e territori) … E poi per me risulta super interessante il valore di “psicoterapia popolare” (quando non esisteva la psicoterapia) di tutti questi personaggi. Cioè, tracciando i caratteri delle grandi e piccole figure folkloristiche o leggendarie che tu spesso ci descrivi… Sul serio, non solo si trovano vere e proprie descrizioni di caratteri e personalità [ che se ci mettessi su una serie con la dr Zaccaro avreste materiale per anni&anni ] ma… cosa incredibile (ma anche no) si possono ricavare senza fatica le descrizioni di patologie psicologiche / psichiatriche presenti nel celeberrimo and forever in progress DSM , considerando sia le descrizioni delle figure “cattive” (aggressive, maladattive, ecc) che quelle “buone” (ad esempio con tipici disturbi di chi è caduto vittima di gravi fatti o persone).

    …che ci vuoi fare … deformazione professionale, direi, se io fossi una professionista 😄 . Comunque, so che lo sai meglio di me, lavori del genere sono stati fatti già ampiamente da antropologi e da psicanalisti. Un po’ meno dalla “moderna” psicologia… E non sarebbe male l’integrazione a questo punto… Intendo dire: in molti casi ci può essere davvero un grande senso di supporto morale, psicologico, di percezione di solidarietà e di comprensione (comunicata di generazione in generazione) quando ci si rende conto che interi popoli si erano già accorti che certi caratteri “malati” esistevano e averci a che fare erano c@voli amari… però, poveri loro e senza altri mezzi di difesa, era scelta migliore creare un personaggio di fantasia come quello che andare direttamente da un parente o da un amico e dirgli che il suo comportamento era come minimo stalkerizzante ….Intanto, uno racconta la storia e poi “chi ha orecchie per intendere, intenda” (ovviamente tutto il processo è per la maggior parte “inconscio”)

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    1. Avatar di Francesca

      Francesca

      Annotazione. A ‘sto punto deduco di essere più algoritmata di quello che credo. Cioè: a distanza di poche ore dal post qua sopra nel quale davo valore al folklore come psicoterapia ante litteram e terreno di “sviluppo / crescita personale” come si definisce oggi… Mi spunta dal nulla una signora irlandese su youtube: prof di lingua e folklore irlandese nonché fondatrice di un gruppo o movimento che collega la conoscenza del proprio folklore con lo sviluppo personale appunto… e varie altre cose (al momento non ho letto tutto né visto più di qualche spezzone di video)… Comunque, Lucia: può essere che tu la conosca già visto il suo campo di studio. Allego un video da collegare alla giornata di oggi 2 novembre. Entro i primi 2 minuti puoi sentirla narrare una “storia purgatoriale” proveniente dal folklore irlandese (moltoooooooo bella – che poi lei rielabora anche in altri termini e applica come possibile insegnamento di vita “per tutti e per oggi”).

      Nota. Se tu consideravi “pericolosa” per il tuo budget librario 😁 la signora inglese delle soul cakes… Beh, allora il mio consiglio è non cliccare altri video di _quest’altra_ signora la quale en passant mentre parla può estrarre dalla sua biblioteca dei bei tomi di studiosi di folklore…e considera che solo cliccando 2-3 (pezzi di) video io ho potuto rendermene conto più volte… Quindi penso che lo faccia spesso… d’altra parte è il suo lavoro.

      Il video qua sotto comunque è sicuro in tal senso. Non ho visto libri 😁

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