I cristiani: strana gente, cittadini di cui è meglio diffidare

I cristiani non si possono distinguere dagli altri uomini: né per la zona da cui vengono, né per il loro accento, né per usanze particolari. Non abitano in città di soli cristiani, non usano una lingua diversa da quella degli altri, non hanno abitudini fuori dal comune. Vivendo in città nostrane o straniere, come è capitato a ciascuno di noi, e adeguandosi ai costumi del luogo per quanto riguarda l’abbigliamento, l’alimentazione, e tutto il resto, semplicemente hanno uno stile di vita ammirevole.

Parola di un anonimo autore greco, fine II secolo, ne La lettera a Diogeneto.

Sì, ribadisco: era questo, il problema. Una roba tipo il Cristianesimo, per i Romani, era un fenomeno inquietante anche e soprattutto perché, a prima vista, sarebbe stato pressoché impossibile distinguere un cristiano da un altro cittadini qualunque. Eppure, la dottrina dei cristiani – così vaga e sconvolgente e misteriosa, ai confusi occhi dei Romani – sembrava contenere una vasta quantità di elementi allarmanti.

Per esempio: gente che dice non c’è più schiavo né padrone, e in effetti si accompagna sia all’uno che all’altro? Ma che sono, anarchici? Vogliono per caso sovvertire il nostro Stato?
Gente che dice non c’è più giudeo né greco? Ma che scherziamo? E se un giorno facciamo guerra contro i Parti, questi si rifiutano di combattere il nemico perché tutti i popoli devono essere uniti in Dio? 
Certo: non è che il Cristianesimo dicesse proprio queste cose; ma d’altro canto, è pure vero che i Romani non potevano saperlo, a meno di non avvicinarsi essi stessi ai predicatori. E molti Romani, a quell’epoca, vi avrebbero francamente risposto “ma anche no, io ho paura di avere a che fare con ‘sta gente”.

La spaventosità del Cristianesimo, agli occhi dei Romani, si articolava su due fronti.
Il primo era quello che vedeva il Cristianesimo visto come una specie di società segreta. I cristiani, dice Celso con una certa perplessità, rifiutavano di costruire statue, templi, altari: in effetti, all’epoca, si riunivano in modesti appartamenti, e le forme d’arte con cui onoravano Dio erano decisamente poco vistose per i canoni dell’Impero. Niente di male, di per sé; ma la cosa sembrava sospetta, come se questi tipi strani non volessero dar nell’occhio; tantopiù che c’era anche quella faccenda inquietante del battesimo.

Mettetevi nei panni di un Romano, che per esercitare il suo culto verso un certo dio non aveva assolutamente bisogno di particolari riti di iniziazione. E invece d punto in bianco vieni a sapere che il tuo vicino di casa, cristiano, è appena stato battezzato, e questa cerimonia sancisce la sua entrata ufficiale nel movimento. Già lì, incominci a farti film mentali in stile “chissà in cosa consiste questa cerimonia d’iniziazione”; la ciliegina sulla torta arriva quando vieni a sapere di notizie confuse secondo cui il Battesimo cancella tutti i peccati della tua vita “precedente” e ti trasforma in un uomo nuovo (oddio, e che è, un lavaggio del cervello?).

Messa così, la faccenda era un po’ inquietante. Per la forma mentis dei Romani, era in effetti un po’ inquietante.

E poi, naturalmente, c’era il problema-base. Il rapporto fra religione e Stato. Anche quello era molto inquietante, per i Romani.

Formalmente, i cristiani riconoscevano l’autorità della persona al potere, ma è anche vero che il loro leader aveva detto a un emissario dell’Impero “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto”.

In base alla loro dottrina, Dio aveva certamente dato all’Imperatore dei Romani il potere su tutti i sudditi; ma glielo aveva dato perché svolgesse quei compiti politici di cui ha bisogno qualunque Stato, non perché si sostituisca a Dio e pretenda di farsi adorare alla sua stregua. Disgraziatamente, tributare onori all’Imperatore era una parte molto importante della vita politica di un cives romano: i Cristiani potevano anche essere cittadini modello per tutto il resto, ma se mancava in loro questa componente, se mancava in loro la disponibilità a tributare onori al capo dello Stato, allora lo Stato li considerava dei pericolosi potenziali anarchici.

Quando, nel 180, un gruppo di Cristiani di Scilium, in Numidia, viene condotto al cospetto delle autorità romane, il proconsole Saturnino ha un bel daffare per provare a intendersi con quei cittadini. Ma non ha successo.
Si trattava palesemente di brava gente: cittadini integerrimi e a posto con la legge: san Sperato (leggiamo nella sua agiografia) lo ribadisce pure, a chiare lettere: “non abbiamo mai fatto niente contro lo Stato, non abbiamo aggredito nessuno, non abbiamo mai rubato, non abbiamo mai evaso le tasse, non abbiamo mai messo in discussione la sovranità dell’Imperatore”.
“Ma perfetto”, dice Saturnino, sinceramente intenzionato a mettere in salvo quei poveretti: “allora basta che facciate un sacrificio all’Imperatore, e potrete tornare a casa sani e salvi”.
“Ma io non pratico la vostra religione”, dice Sperato.
“Non mi interessa di che religione sei”, fa Saturnino: “fai un sacrificio all’Imperatore, e torniamo tutti quanti a casa ché s’è fatto tardi”.
Interviene una tal Donata: “io onoro l’Imperatore come politico, ma sono soggetta solo al potere di Dio”.
“Ma che vi costa”, insiste Saturnino, con una punta di esasperazione nella voce. “Nel privato, venerate chi vi pare; io vi chiedo solo un sacrificio per l’Imperatore, altrimenti dovrò mandarvi a morte”.
“Buffo sistema”, constata Sperato, “quello di mandare a morte la gente, se non accetta di giurare il falso”; e da quel momento in poi, la sua agiografia si trasforma inesorabilmente nella cruenta narrazione del martirio.

Per i Romani, in fin dei conti, sacrificare agli dei era un pro forma. Un po’ come quando suonano l’Inno d’Italia e tu, doverosamente, ti alzi in piedi, ché se sei l’unico in tutto il teatro a restare ostinatamente seduto quasi sicuramente ci sarà qualcuno che ti guarda male e pensa chissà che. Ma non si trattava di un gesto particolarmente eclatante; anzi: eclatante e francamente incomprensibile era proprio l’ostinato rifiuto a prestare il dovuto rispetto all’Imperatore. Non s’era visto mai che un dio si offendesse se i suoi devoti tributavano omaggi al loro leader politico: mai nessuno aveva fatto storie, in numerosi anni di gloriosa storia imperiale… e adesso ‘sti nuovi arrivati rifiutavano di farlo, così, dal nulla? Ma che te costa. Saran mica anarchici? Cospireranno mica contro lo Stato? Meglio eliminarli. Ma veramente: so’ pericolosi, questi, ahò.

2 risposte a "I cristiani: strana gente, cittadini di cui è meglio diffidare"

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