Il Papa fu ucciso subito.
Fabiano, vescovo di Roma, diciannovesimo successore di Pietro, fu catturato dopo appena una manciata di giorni dal momento in cui Decio dava inizio alla sua persecuzione. Incarcerato, morì di fame e di stenti prima ancora di poter essere formalmente condannato a morte; è venerato come Santo e ricordato il 20 gennaio.
Babila vescovo d’Antiochia (sì: lo stesso di piazza San Babila) fece esattamente la stessa fine: morì quattro giorni dopo Fabiano, in carcere. Era il 24 di gennaio.
Sant’Alessandro di Gerusalemme, idem: fu catturato e dato in pasto alle belve.
Con un’acuta mossa politica, l’Imperatore Decio aveva provveduto a far clamorosamente fuori, nell’arco di pochi giorni, i vescovi delle tre più grandi città dell’Impero in cui la presenza di cristiani era diventata molto massiccia.
Il messaggio era piuttosto chiaro: “qui facciamo sul serio, fate meglio a non prenderci in giro”.
E, in effetti, non furono pochi i cristiani che… si presero paura.
Innanzi tutto: come si svolgevano, ‘ste persecuzioni?
Beh, molto facile: a turni, secondo un calendario prestabilito, tutti i cittadini dell’Impero venivano convocati per ribadire simbolicamente la loro fedeltà all’Imperatore. Che Decio agisse in questo modo per ragioni politiche sue, e non per astio anticristiano in sé, è cosa nota e che è già stata detta.
Orbene, i cittadini venivano convocati nel tal giorno davanti al tempio, e veniva chiesto loro di compiere un sacrificio agli dèi pagani, su imitazione di quello compiuto da Decio sul Campidoglio, a Roma. Chi accettava di sacrificare agli dèi, nonché al genio protettore dell’Imperatore, e poi si cibava della carne delle vittime sacrificate, finiva nell’elenco dei “bravi cittadini romani”. Riceveva un vero e proprio certificato che attestava la sua “buona condotta”, e poteva tornare a casa, certo di non incorrere in alcun problema.
Chi invece rifiutava di compiere questo sacrificio, cristiano o anarchico che fosse, veniva trattenuto in carcere in attesa del processo.
Di martiri ce ne furono, eh.
Come no. Parecchi.
Fu la prima grande persecuzione estesa in massa a tutto l’Impero, e fu una persecuzione che portò al Creatore una buona parte dei Santi martiri che conosciamo tutti, almeno di nome.
Però, ci fu anche gente che cadde. Ci fu gente che si lasciò prendere dalla paura, e che probabilmente venne anche colta alla sorpresa da questa persecuzione violenta e enorme a cui, onestamente, non aveva proprio mai pensato. Se molti andarono incontro al martirio con gloria e onori, molti commisero apostasia (oppure si comprarono un falso “certificato di buona condotta”, se appena potevano). E anche questo va detto, ed è importante, perché altrimenti non si capisce la Storia della Chiesa che viene subito dopo.
Agli occhi di noi moderni, questi “traditori” fanno quasi pena.
Non so voi, ma io li capisco: umanamente, hanno tutta la mia comprensione. Chissà cosa faremmo noi, in una situazione di questo genere.
“Ma tanto Dio perdona, è misericordioso: capirà perché l’ho fatto” devono essersi detti alcuni di loro, prima di sacrificare con la morte nel cuore.
“La Chiesa ha bisogno di me e le servo vivo”, si sarà detto qualcun altro: “mi nascondo, fuggo lontano, faccio un sacrificio che tanto per me è vuoto di senso; compro l’appoggio dei soldati. Massì, dov’è il problema?”.
Stupisce quasi, agli occhi di noi moderni, vedere il modo in cui sono stati dipinti questi traditori, dalla società dei primi secoli (una società in cui la gente non era particolarmente affascinata dai chiariscuri dei cattivi: o eri buono o eri cattivo, e la malvagità non ha mai scusanti).
Nel giorno in cui Santa Dionisia fu martirizzata (era il 15 maggio, del 250 o 251), fu portato al cospetto delle autorità romane un piccolo gruppo di carcerati. Erano cristiani che già una volta avevano rifiutato di sacrificare agli dèi pagani: in quel momento veniva offerta loro un’ultima chance per la salvezza, dopodiché sarebbero stati uccisi.
C’era, assieme a Dionisia, un uomo detto Nicomaco.
E chissà chi era, questo Nicomaco; chissà quale storia aveva, cosa faceva.
Se ci fossi stata io, al posto dell’agiografo del Tardoantico, mi sarei interessata al suo passato, alla sua storia, al perché delle sue azioni. In fin dei conti era una persona che aveva accettato il carcere pur di non tradire la fiducia che Dio riponeva in lui. Chissà quali ripensamenti, quali minacce, quali torture o quali debolezze l’hanno portato, quel 15 maggio, a cambiare la sua scelta.
Chissà cos’è stato, e perché, a determinare la sua caduta.
Non lo sappiamo, possiamo solo immaginarlo. L’agiografo non ce lo dice.
Sappiamo solo che, invitato nuovamente a sacrificare agli dèi, Nicomaco, pallidissimo, si inginocchiò e accettò di farlo. Le urla dei suoi compagni non valsero a niente, e davanti ai loro occhi lui si macchiò di apostasia.
Poi, quando tutto fu compiuto, Nicomaco lanciò un ultimo sguardo ai suoi compagni, e fece per andarsene.
E allora – dice l’agiografo – un fulmine cadde dal cielo, incenerendo quel traditore.
E Santa Dionisia cadde a terra e scoppiò in lacrime, piangendo per quel suo amico che aveva sacrificato la gioia eterna per quei pochi istanti in più di sofferenza in questo mondo.
La storia si conclude così, con la muta esecrazione verso la debolezza vergognosa e mortale di quel laido.
Ma io mi domando, e domando anche a voi: sotto sotto, ci saremmo comportati diversamente, noi, al posto suo?