I martiri di Valeriano. Ovverosia: le speranze frustrate di un persecutore

Nonostante i suoi molto fattivi sforzi per assicurarsi l’appoggio popolare, manco Decio ebbe vita lunga. Salì al potere nel 249 e morì nel luglio del ’51, passando alla Storia come il primo imperatore romano andato incontro all’umiliante sorte di farsi ammazzare in guerra da un nemico barbaro (nel senso di “appartenente a popolazioni barbariche”, non nel senso di “cattivo”).
Come morì, mi domandate?
Beh, questo non è mai stato chiaro. A parte l’ovvia considerazione “è morto combattendo in guerra”, l’opinione pubblica dell’epoca era molto divisa sulle dinamiche. Secondo alcuni, Decio aveva semplicemente avuto jella ed era morto, punto e basta; secondo altri, Decio era stato tradito da un suo sottoposto, Treboniano Gallo, che l’aveva venduto al nemico.
Che sia stato un traditore o no, su Treboniano Gallo una cosa è certa: si fece acclamare Imperatore dei romani quando il cadavere di Decio era ancora caldo.

Ma, ammettendo per amor di discussione che tradimento ci sia stato, il nostro caro Treboniano dovette scontrarsi molto presto con quella legge nota come “karma”. Innanzi tutto, non appena salì al potere dimostrò di avere una jella notevole, attirandosi addosso una serie di catastrofi naturali (guerre, disfatte, pestilenze, carestie…) che manco in un film tragicomico. Infine, dopo tre anni di doloroso e disperato imperio, fu assassinato e scalzato da Marco Emilio Emiliano, il quale prese il suo posto e regnò per ben tre mesi.
Dicasi tre (tre) mesi.
Al termine dei quali si scontrò con Publio Licinio Valeriano, che, all’epoca dell’assassinio del precedente Imperatore, si trovava in Baviera ed approfittò di questa “sede vacante” per farsi acclamare lui stesso Imperatore, infischiandosi di Emilio e dei suoi piani. Fatte marciare le sue truppe contro Emilio, lo ammazzò e prese ufficialmente il potere.
Manco lui ebbe ‘sta gran fortuna (durò sette anni prima d’esser assassinato – e comunque sette anni son già meglio di tre mesi), ma questa è un’altra storia.
E poi ci domandiamo come mai l’Impero è crollato.

Vabbeh.
Ad ogni modo.
Siamo nel settembre del 253, e Valeriano prende il potere diventando Imperatore.
La questione “persecuzioni cristiane” viene rimesse all’ordine del giorno: alla morte di Decio, d’altro canto, le persecuzioni s’erano interrotte, e i suoi successori avevano avuto altri problemi a cui pensare. In un’epoca in cui c’è un’epidemia di peste che falcidia l’intero Impero, perseguitare i Cristiani ti sembra l’ultima delle tue urgenze.
Nel momento in cui Valeriano sale al potere, l’Impero sembra però essere uscito da questa condizione di vera catastrofe… e quindi, il neo-Imperatore riprende in mano la questione cristiana.

A Valeriano – come a tutti i suoi predecessori e come alla maggior parte dei cittadini – i Cristiani non stavano affatto simpatici. Li considerava un pericolo pubblico: gente pericolosa sul piano socio-politico, in virtù delle strane idee religiose che s’erano messi in testa. Anarchici, squilibrati, forse anche violenti: sovvertitori della quiete pubblica. Se Decio si era accanito con violenza contro i Cristiani non tanto in quanto Cristiani, ma più che altro in quanto “nemici politici” (lui mandava a morte indifferentemente chiunque si rifiutasse di giurargli fedeltà), Valeriano cambia prospettiva. Lui ce l’ha coi Cristiani in quanto Cristiani; o meglio: ce l’hai coi Cristiani come nemici politici, ma ritiene che i Cristiani diventino tali proprio in quanto sono Cristiani.
Le persecuzioni di Valeriano, sotto un certo punto di vista cominciano a diventare persecuzioni religiose nel vero senso della parola: è il Credo dei Cristiani, la loro fede, a far paura a Valeriano. All’Imperatore sembra evidente che un buon Cristiano non potrà mai essere un buon suddito dell’Impero; non vede vie di conciliazione.

E quindi, via di nuovo alle persecuzioni, con due decreti emanati nel 257 e nel 258. L’Imperatore ordinava la confisca di tutti i beni e i terreni religiosi (che erano già notevoli, a quell’epoca); inoltre, stabiliva una condanna ai lavori forzati (poi commutata in pena di morte nel decreto del ’58) per tutti i membri delle gerarchie ecclesiastiche. Ebbene sì: a differenza di Decio e degli altri persecutori, Valeriano decide di concentrare le sue azioni solo ed esclusivamente contro i membri del clero. Laici, donne e bambini sono lasciati in pace, nella convinzione che, una volta minata la Chiesa alle radici, i “normali” fedeli senza più pastore si disperderanno naturalmente. Una soluzione facile e publita: poni fine al Cristianesimo senza bisogno di grandi eccidii e bagni di sangue estesi a tutta la popolazione.

Diciamo che la Storia non andò proprio in tal senso, ma… Come dire? Dal suo punto di vista, Valeriano “ci aveva provato”.

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