La storia d’amore fra i genitori di Costantino, come si è già detto, non durò veramente a lungo. Non appena Costanzo Cloro cominciò a far “carriera”, scelse coerentemente di abbandonare quella donna di umili origini che, okay, senza dubbio gli aveva dato un figlio… ma era pur sempre una cameriera turca.
Si risposò con un miglior partito, fece un attento gioco di politiche matrimoniali, e così si pose a capo di una grande famiglia allargata in cui Costantino discendeva da Sant’Elena, e numerosi altri fanciulli discendevano da un’altra madre.
Alla morte del padre, Costantino prese il potere, e regnò gloriosamente fino al 337.
Poi, cominciò a star poco bene… e si pose il problema di garantire una successione al regno. Elesse suo erede il figlio Costanzo… il quale si trovò nella spiacevole situazione di doversi parar le spalle – perché in genere, a quei tempi, quando un Imperatore saliva al trono, appariva all’orizzonte una mezza dozzina abbondante di altri aspiranti-Imperatori che pretendeva di regolar la successione giocando a chi s’ammazzava prima.
Costanzo decise di barare un po’, e cominciò ad avvantaggiarsi: pochi istanti dopo aver ricevuto la notizia della morte del papà, diede ordine di far fuori tutti gli zii ed i cugini che avrebbero potuto accampar pretese al trono. Fu una vera e propria mattanza in cui persero la vita tutti i discendenti maschi di Costanzo Cloro; furono risparmiati solamente in due: Costanzo Gallo, all’epoca malatissimo e ormai dato quasi per morto, e un bambinetto di nome Giuliano, che era così piccolo da non costituire alcun pericolo.
Teniamo a mente il nome di Giuliano, perché… okay: all’epoca era un frugoletto, ma poi sarebbe cresciuto.
Ad ogni modo: dopo aver fatto ammazzare due zii e sette cugini, il pio Imperatore Costanzo salì al potere succedendo al padre.
E dal punto di vista della Chiesa fu un Imperatore più che impeccabile, eh, nel senso che la aiutò tantissimo: stanziò a suo favore delle somme ingenti, diede aiuti economici alle comunità di vergini, esentò il clero da ogni tipo di tassazione, consentì alle comunità religiose di fare commercio e conservare gli utili. Promulgò due leggi di condanna del paganesimo, si batté con entusiasmo per l’unità della Chiesa.
E allora perché caspita non l’abbiamo fatto Santo, ‘sto salvatore dell’umanità?
Molto semplice: perché il buon Costanzo si batteva per l’unità della Chiesa, ma combattendo per la Chiesa sbagliata.
Nel senso che era un ariano.
E tutti i suoi provvedimenti, anche molto invasivi, volti a garantire l’unità di Santa Madre Chiesa, andavano nel senso di eliminare quei pazzi eretici dei cattolici, affinché rifulgesse infine l’unica vera dottrina… ovverosia, il credo ariano.
No buono, per i cattolici.
Inizialmente, la presa di posizione di Costanzo cominciò in sordina. Ovunque ci fossero discussioni teologiche un po’ troppo accanite, Costanzo provvedeva a calmare le acque e rimuoveva (ne aveva il potere) tutti quei vescovi che creavano problemi. Poi (ne aveva il potere) li sostituiva con altri prelati di sua fiducia – che incidentalmente erano quelli che condividevano il suo stesso credo, ma questo è secondario.
Il problema è che, dopo dieci o venti interventi di questo tipo, parve palese a tutti gli Ariani che il nuovo Imperatore nutriva simpatie per loro. Il fronte ariano, che era andato disperdendosi dopo il concilio di Nicea, cominciò a riorganizzarsi; e, qualche anno dopo – siamo ormai nel 357 – un piccolo concilio di soli vescovi ariani si riunì a Sirmio per redigere un nuovo Credo: un Credo ariano da opporre al Credo cattolico stilato nel concilio di Nicea, ça va sans dire.
A Costanzo, l’Imperatore ariano, l’idea piacque tantissimo, e diede ordine di far convocare a Rimini una specie di grande concilio “ecumenico” in cui i vescovi di ambo le parti potessero riunirsi in discussione. “Metti mai che il concilio di Rimini giunga invece alla conclusione che hanno ragione i sacerdoti ariani e che il Credo cattolico è un’impostura”, disse l’Imperatore Costanzo sogghignando da sotto i baffi.
Ecco.
Diciamo che il concilio di Rimini – come dire – ebbe uno svolgimento leggermente particolare…
In primo luogo, fu una specie di concilio armato. Costanzo spedì a Rimini il suo prefetto Tauro, con abbondanti uomini al suo servizio, affinché garantisse (sic!) la regolarità delle operazioni.
In secondo luogo, fu un concilio leggermente politicizzato. In una lettera dedicata a tutti i padri conciliari, l’Imperatore non si fece problemi nel dire che, ad ogni modo, la decisione finale presa dal concilio avrebbe dovuto ricevere la sua imperiale approvazione. Ed era ormai piuttosto evidente quale fosse il partito che l’Imperatore stava appoggiando.
In terzo luogo, i vescovi cattolici riuniti a Rimini (che, numericamente, erano più dei sacerdoti ariani) furono sottoposti ad intimidazioni di vario genere.
In quarto luogo, quando i vescovi cattolici, nonostante tutto, rifiutarono di piegarsi, e riuscirono a imporre il loro credo (essendo comunque in maggioranza), alcune spie dell’Imperatore riuscirono ad informare Costanzo delle decisioni emanate dal concilio.
Di conseguenza, quando arrivò al palazzo imperiale un volenteroso ambasciatore che portava seco una pergamena con le delibere del concilio, Costanzo si rifiutò di leggerle. Sapendo già che erano delibere che non incontravano il suo favore, si rifiutò di dare seguito alla faccenda, adducendo come motivazione il fatto che, in quel momento, c’erano affari più importanti di cui occuparsi: barbari, carestie, problemi economici, ecc. “In questo momento non posso proprio occuparmi di questo concilio”, annunciò Costanzo serenamente: “ma, nel frattempo, voi restate tutti quanti a Rimini, in attesa di tempi migliori in cui potrò esaminare le vostre carte”.
Ahò: in pratica il concilio di Rimini si trasformò rapidamente in un maxi-sequestro di persona.
Dal 27 maggio 359 al 21 dicembre dello stesso anno, circa trecento vescovi di Santa Romana Chiesa furono di fatto tenuti prigionieri nel palazzo vescovile di Rimini. Che sarà anche stato un bel posto, eh, e io ci soggiornerei volentieri per un paio di settimane: ma dopo sette mesi di reclusione forzata, con i soldati dell’Imperatore che mi guardano in cagnesco e con una diocesi abbandonata a se stessa che ha bisogno del mio appoggio… beh… come dire… ‘sti poveri disgraziati avrebbero anche avuto voglia di cambiare aria.
I vescovi ariani, per la cronaca, avevano cambiato aria già da mo’, abbandonando la sede del concilio senza che l’Imperatore avesse minimamente protestato. La presenza in loco dei vescovi cattolici, invece, sembrava chissà perché assolutamente irrinunciabile.
“Uh, come dite? Volete andare a casa?”, domandò l’Imperatore Costanzo con aria molto sorpresa, quando gli arrivò l’ennesima supplica dei poveri vescovi internati. “Oh, scusate, non pensavo di crearvi tanti disagi. Beh: potrete tornare a casa dopo aver sottoscritto questo documento”, aggiunse dopo un istante, con aria propositiva: “ho trovato il tempo per leggere la delibera che mi avevate mandato a corte, e… beh, mi sarei permesso di fare qualche piccola correzione, robette da poco. Se sottoscrivete queste correzioni, sarete liberi di tornare a casa”.
Le “piccole correzioni da sottoscrivere”, giusto per esser chiari, avrebbero potuto esser sintetizzate in “alla fine abbiamo cambiato idea, e sottoscriviamo il Credo ariano”.
Naturalmente, i vescovi cattolici sdegnatamente si rifiutarono!
E continuarono a rifiutarsi!
Si rifiutarono per mesi!
E per mesi e mesi e mesi!
E poi, ancora per mesi!
E poi, ancora per mesi!
Ehm.
Il problema è che i mesi passavano, le mamme imbiancavano, i figli crescevano, e i vescovi cattolici continuavano esser segregati nel palazzo vescovile di Rimini.
Fossero stati ammazzati dagli ariani, almeno avrebbero potuto esser canonizzati come santi martiri, e i loro incarichi diocesani sarebbero passati a qualcun altro. Ma a una persecuzione così cordiale, col tiranno che ti fornisce vitto e alloggio in attesa che tu cambi idea, la Chiesa non era abituata; e non sapeva come affrontarla.
Dopo qualche mese di questa solfa, i primi vescovi cattolici cominciarono a capitolare.
Non tanto per loro, che in fin dei conti stavano benissimo lì in colonia a Rimini; più che altro, a farli capitolare dovettero essere le preoccupazioni per la loro diocesi. Vista l’aria che tirava, chissà quali orrori stavano capitando oltre le mura di quel dannatissimo palazzo; chissà quale sfacelo si stava abbattendo sulle varie chiese locali. In tempi di oscurità, le pecore hanno bisogno di un pastore che le guidi: forse è persino irresponsabile, in certi casi, abbandonare così il proprio gregge, se c’è una via di fuga.
E così, pian piano, i primi vescovi cominciarono a capitolare.
Alcuni sottoscrissero il documento dell’Imperatore, e basta; un altro gruppo di vescovi, capitanati da Febadio di Agen e Servazio di Tongres – entrambi venerati come Santi dalla Chiesa – accettarono di sottoscrivere, a patto di poter aggiungere in calce una loro dichiarazione. La dichiarazione avrebbe potuto essere sintetizzata in “vabbeh, comunque siamo vittime di un reato e non condividiamo proprio per niente le fesserie che ci han costretti a firmare”… ma, evidentemente, una dichiarazione di questo genere non aveva alcun reale valore.
Alla fine di dicembre dell’anno 359, il documento contente gli “esiti” del concilio di Rimini fu sottoscritto da tutti i padri conciliari…
…e, sostanzialmente, si configurò come una resa da parte cattolica.
Triste ed infamante (gli stessi contemporanei descrissero questo evento come una brutta pagina della Storia della Chiesa), ma almeno i trecento vescovi erano riusciti a ritornare a casa. Avevano ripreso la guida della barchetta loro affidata, e si preparavano alle tempeste che ormai si vedevano con molta evidenza all’orizzonte.
***
La tempesta, ahimè, non tardò ad arrivare.
Costanzo dichiarò che i vescovi in concilio avevano lasciato Rimini senza ancora aver ricevuto il suo permesso (!!!), e giocò a fare il bambino offeso. Si disse molto amareggiato del comportamento di questi vescovi, che osavano contravvenire a un ordine dell’Imperatore, e si domandò platealmente: ma se questi sciagurati mi disobbediscono così a cuor leggero, che dobbiamo aspettarci da loro? Oggi lasciano Rimini senza il mio consenso; domani, forse, agiranno contro lo Stato?
In effetti era complicato riuscire a perseguitare, per ragioni religiose, una comunità di derelitti che, di fatto, avevano comunque dichiarato di appartenere alla tua religione. Dopo sette mesi di tortura psicologica, okay; però, formalmente, i vescovi cattolici avevano dato il loro consenso a un Credo inequivocabilmente ariano.
Evidentemente sono insinceri; però, come li ammazzi?
Li ammazzi dicendo che sono dei subdoli traditori. Li ammazzi annunciando che ti hanno già disobbedito una volta, chissà cosa ci si può aspettare da certa gentaglia nel futuro, e quindi, per il bene di tutti, questi vescovi vanno esautorati. Sostituiamoli con altri vescovi più fedeli all’Imperatori! Sostituiamoli con vescovi ariani DOC, e diamo loro il permesso di governare la Chiesa come meglio credono.
A leggerlo così non ci si crede, eppure è la realtà. Sulla Chiesa Cattolica si abbatté una nuova ondata di violentissima persecuzione; roba che quelle degli Imperatori pagani erano quasi bazzecole, al confronto…