Un minuto di silenzio per Flora Ratisbonne

I Romani conoscono sicuramente questa storia, e penso che anche al di fuori dell’Urbe molti abbiano già sentito parlare della conversione miracolosa dell’ebreo Alfonso, operata nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte.

La sintetizzo brevemente per chi non sapesse di cosa sto parlando: a poca distanza da Piazza di Spagna, esiste ancor oggi una bella chiesa intitolata (appunto) a Sant’Andrea. Oggigiorno, però, i più la conoscono come “santuario della Madonna del Miracolo”. E il miracolo è per l’appunto questo: il 20 gennaio 1842, un commerciante ebreo in vacanza a Roma entrò in chiesa per cinque-minuti-cinque, accompagnando un suo amico cattolico che doveva prenotare una Messa in suffragio per i defunti della sua famiglia. E zacchete, mentre l’ebreo passeggiava lungo la navata, fu letteralmente fulminato “sulla via di Damasco”: la Madonna gli apparve, e da lì fu una conversione-lampo. In capo a dieci giorni, l’ebreo chiese di ricevere il battesimo; a ciò fece seguito un radicale mutamento di vita, che lo portò a morire, molti più anni più tardi, in Terra Santa, in odor di santità. E, soprattutto, in abito talare.

E fin qui, è la storia nota a tutti.
Un po’ meno note sono forse le vicende della “vittima collaterale” di cotanta grazia: sì, perché non tutti sanno che l’ebreo era a un passo dalle nozze, prima che la Madonna decidesse di stravolgergli la vita.

E il fatto che il sant’uomo sia morto sacerdote è indizio del fatto che – se posso fare una battuta – la Madonna dovrebbe quantomeno dare qualche spiegazione a quella povera ragazza che, tutta emozionata, si stava confezionando l’abito da sposa… per poi scoprire che, toh guarda, qualcuno ha cambiato le carte in tavola.

***

Cominciamo questa storia con una premessa doverosa: prima di convertirsi al cattolicesimo, Alfonso Ratisbonne era ebreo più per genealogia che per religione.
Ché uno legge la storia riassunta in due righe sul depliant informativo distribuito in fondo alla chiesa e pensa “ah, ok, guarda un po’ questo ebreo praticante che scopre di botto la venuta del Messia”. No no: alla faccia del praticante! Alfonso se ne infischiava della religione, era un impunito gaudente: fosse vissuto ai nostri giorni, sarebbe stato probabilmente uno di quei ragazzotti supponenti che credono di essere sempre nel giusto, si ubriacano in discoteca, si fanno le canne (e magari anche qualcosa di più pesante) e saltano da un letto all’altro.

Ai fini della nostra storia, non mi è noto se Alfonso fosse mai finito nel letto di un’altra donna… ma di donne ne aveva sicuramente avuta una caterva e non era immune al loro fascino. Anzi: sotto un certo punto di vista, si potrebbe dire che due sono state le ragazze che hanno operato miracoli nella vita di Alfonso; prima ancora di Maria Vergine, era stata la bella Flora a cambiare significativamente Alfonso. “La vista della mia fidanzata”, avrebbe scritto più tardi il convertito, “svegliava in me non so quale sentimento della dignità umana”. Per la prima volta in tutta la sua vita, incontrando Flora, Alfonso s’era innamorato, e per davvero.

Se per caso il titolo di questo articolo vi avesse fatto balzare all’occhio la circostanza per cui i due innamorati portavano lo stesso cognome… beh, non è una coincidenza: Flora, in effetti, era una lontana parente di Alfonso. Una parente “per modo di dire” (era stata adottata quand’era già grandicella, nelle sue vene non scorreva lo stesso sangue del resto della famiglia), e forse anche per questo il parentame non fece ostruzionismo quando Alfonso dichiarò pubblicamente il suo amore per la ragazza.

Oh cielo: non fece ostruzionismo, ma a leggere fra le righe mi verrebbe da dire che non fu nemmeno particolarmente entusiasta.
Tanto per cominciare, Alfonso andava per i ventotto e Flora era una sedicenne. Un po’ di differenza d’età non ha mai fatto male a nessuno, ma dodici anni di differenza cominciano a essere un bel divario; perdipiù, sedici anni sono proprio pochini a prescindere: persino la legge vietava il matrimonio con una ragazza così giovane.

Si aggiunga a questo la preoccupazione per i trascorsi di questo scapolone impenitente, che adesso sembrava aver messo la testa a posto ma che aveva pur sempre passato una significativa porzione della sua vita a fare il tombeur de femmes. I genitori di Flora non erano mica tanto tranquilli, pensando alla loro casta figliola innamorata di un super-macho con trascorsi… che oltretutto non avrebbe potuto sposarla neanche volendo, a cagione della giovane età di lei. Un vecchio proverbio recita che “la paglia vicino al fuoco brucia” e i Ratisbonne, secondo me, volevano evitare un prematuro incendio.

E fu così che Alfonso fu mandato in Erasmus.

Come capitava spesso ai giovani provenienti da famiglie benestanti, Alfonso fu invitato a fare un lungo tour in giro per l’Europa, tutto a spese dei genitori. “Pensa che bello: vedi nuovi posti, conosci nuove culture, impari le lingue, ti sarà tutto così tanto utile per il lavoro; del resto ‘ste cose non potrai mica più farle, quando comincerai ad avere figli. E intanto ti mandiamo al caldo a respirare aria buona; ti prendi questo break, e torni giusto in tempo per organizzare il matrimonio…”.
Chi non accetterebbe? Io avrei accettato!
E infatti Alfonso non se lo fece ripetere due volte e partì per questo lungo viaggio in giro per il Mediterraneo. Prima tappa, la Costa Azzura; meta finale, Costantinopoli.

Ora, voi mettetevi nei panni di ‘sta fidanzata che viene a sapere di punto in bianco che il suo amato, notoriamente donnaiolo, partirà per un lungo viaggio attorno al mondo.
Non so se Flora fosse possessiva, ma ‘nsomma al posto suo io avrei anche cominciato a preoccuparmi: ognuno si merita la fiducia che s’è guadagnato, e Alfonso era pur sempre un gaudente rinomato. Eppure, la ragazza affrontò la questione con una certa dignità e pose ad Alfonso un solo divieto. “Ti prego, ti chiedo solo questo: se vuoi che io sia serena, non andare a Roma”.

‘ndò ha avuto luogo la conversione miracolosa?
Anfatti.
A Roma.

***

Per una duplice ragione, Flora aveva pregato il suo fidanzato di evitare Roma. Punto primo, in quegli anni la città era funestata dalla malaria che costituiva un pericolo sanitario assai concreto; punto secondo, a differenza del fidanzato, la ragazza era un’ebrea praticante animata da un vibrante sentimento anticattolico.
A lei, Roma faceva accapponar la pelle al solo pensiero: c’è quella disgustosa idolatria cattolica, il papa confina gli ebrei nel ghetto, e poi l’ATAC fa schifo, è pieno di guano ovunque, l’albero di Natale della Raggi è ‘na mestizia unica, i centurioni abusivi palpano le turiste…

(Conoscete il pregevole blog “Roma fa schifo”? Io lo amo. È una lettura esilarante).

‘nsomma: una cosa ti aveva chiesto la tua promessa sposa, Alfonso. Una cosa.
Potevi girare tutto il mondo e fare quel che cavolo volevi, solo una cosa non dovevi farle: in nome dell’amore che vi legava, dovevi evitare la città di Roma.
E tu che fai, o uomo dal multiforme ingegno?
Prenoti un treno per Roma e hai pure la faccia tosta di scrivere a Flora che ohibò non hai proprio idea di come tu ci sia finito, nella Città Eterna: “credo di aver sbagliato strada!”, dici testualmente alla pora donna.
(No ma giusto. Tu stai andando a Costaninopoli, sbagli strada, e prima ancora di rendertene conto ti trovi davanti al Colosseo. A me capita di continuo: l’altro giorno dovevo andare al lavoro, ero sovrappensiero, ho sbagliato strada e son finita a Stoccolma)

***

Per la cronaca, la versione ufficiale sarebbe questa: in teoria, il candido Alfonso voleva andare in Sicilia, ma per ragioni non meglio specificate (o che comunque io non conosco) il piroscafo su cui avrebbe dovuto viaggiare si trovò impossibilitato a partire per un imprevisto dell’ultimo minuto. Alfonso si diresse dunque all’Agenzia Viaggi per Palermo per prenotare un posto su un altro vapore, ma ohibò sbagliò strada e finì allo sportello dell’Ufficio Diligenze per Roma.
Ora, non mi è chiaro se ‘sto genio abbia semplicemente detto “mi dia il primo biglietto” senza manco controllare dove stava andando o se, resosi conto di aver perso tre ore in coda allo sportello sbagliato, abbia pensato ‘sai che c’è? A ‘sto punto vado a Roma e Flora se ne farà una ragione’.

Fatto sta che Alfonso arrivò a Roma il 5 gennaio e, nella Città Eterna, soggiornò per un bel po’ di tempo – singolare scelta di autopunizione, per uno che in tutte le lettere a casa continua a ripetere quanto sia ripugnante e antisemita questa orribile città…
Per non parlare poi dello stoico sacrifizio costituito dalla quotidiana frequentazione di quei conoscenti che aveva a Roma e con cui sistematicamente si dava a cene in compagnia. Una barba, pover’uomo; e pensate che il misero Alfonso si trascinò in questa grama situazione per settimane

***

Un amico in particolare, impensieriva l’attonita Flora. Era un certo Gustavo, che era stato compagno di scuola di Alfonso prima di trasferirsi in Italia per lavoro.
E io me lo immagino proprio, Alfonso, tutto serio e compito, che guarda negli occhi la sua fidanzata: “nonnò amore, ma che, te pare? Figuriamoci se, una volta arrivato in Italia, prendo contatto con Gustavo. Amò. Lo so bene che ti sta antipatico. Non lo farei mai”.
Eppure ohibò ecco un altro tragico imprevisto: oltre ad aver avuto la jella di sbagliare strada e finire a Roma, Alfonso ebbe la jella di incontrare casualmente in strada il suo vecchio compagno di scuola.

Mettiamola così: se tutto questo non era un piano premeditato del baldo giovine, la provvidenza celeste non gli sta facendo fare una gran figura come fidanzato.

***

Riassumendo, lo stato è questo: Alfonso, accidentalmente nella Città Eterna, riceve accidentalmente un invito a cena dalla famiglia di Gustavo.
E naturalmente rifiuta, eh!
Prima temporeggia, e poi si presenta a casa di Gustavo per consegnare al maggiordomo un biglietto di scuse con cui esprime rincrescimento per non poter accettare l’invito, ma purtroppo ha dovuto anticipare la partenza.

Accidentalmente Alfonso non parla l’Italiano e il maggiordomo non capisce una parola di Francese. Cosicché, lost in translation, il domestico decide che la cosa migliore da fare con un estraneo che bussa al portone dicendo cose in un idioma sconosciuto sia accompagnarlo in salotto e annunciare al padrone la visita di un ospite.
E così Alfonso si trova lì, a faccia a faccia col Nemico Giurato Della Sua Promessa Sposa: e che ti fa?
Giustamente, accetta di fermarsi a cena.

***

Ma cosa aveva fatto a Flora il povero Gustavo, per meritarsi così tanta diffidenza?
Banalmente, era figlio di un uomo che, da protestante che era, si era recentemente convertito al cattolicesimo. E come tutti i credenti freschi di conversione, era anche particolarmente insistente sul versante apostolato – roba che i Testimoni di Geova ai loro tempi migliori impallidiscono, al confronto.
E infatti, durante la cena, il padre di Gustavo cominciò a tempestare Alfonso di domande, provocazioni e punzecchiature. Non dico che rischiarono quasi di venire alle mani, ma dico (perché lo riportano le fonti) che volarono parole pesanti, anche alla presenza di bambini piccoli. Fino a che, “nel tentativo di rasserenare gli animi” (…o quantomeno, così dicono le fonti) il padre di Gustavo sfidò Alfonso con una piccola scommessa: se davvero riteneva che il cattolicesimo fosse solo una superstizione, accettava di indossare una medaglietta della Madonna?
Se era solo un simbolo come tanti, privo di alcun valore, mica ci sarebbe stato problema alcuno: no?

Secondo me gli animi si rasserenavano meglio con un bicchiere di amaro, ma mi vien da pensare che quella comitiva avesse un tasso alcolemico già abbastanza alto in partenza, visto che Alfonso accettò prontamente la scommessa… per la qual motivazione?
Cito testualmente dagli scritti autografi di Alfonso: “consentii a prendere la medaglia, come una prova autentica che avrei offerto alla mia fidanzata”, perché “quella scena poteva divenire un delizioso capitolo delle mie impressioni di viaggio”.

Hint per mio marito, casomai stesse leggendo: se io ti prego e supplico e scongiuro di non frequentare più quel tuo amico satanista, e tu ci vai a cena assieme, e accetti che lui ti regali dei simboli satanici consacrati durante una messa nera, che poi mi offri giulivo come delizioso ricordo di viaggio, ecco, in verità ti dico: potrebbe non essere una grande idea.

E insomma, da lì succede tutto il patatrac: proprio alla presenza di quella medaglietta miracolosa e benedetta vengono attribuite, tradizionalmente, l’apparizione della Vergine, lo shock di Alfonso e la sua conversione lampo.

***

E la povera Flora, al termine di questa incredibile catena di sciagurati eventi?
Tanto per cominciare, la figliola ricevette, datata 21 gennaio, una lettera così fantasticamente delirante che vale la pena di riportarla per esteso:

Mia carissima,

Tu starai per credermi pazzo. Tre volte io ti ho annunziato la mia partenza per la Sicilia e Malta, e tre volte, senza potermi dare ragione io stesso di quel che accade in me, succede che, sul punto di partire, Roma mi attrae, Roma mi seduce, Roma mi tiene. […] A Roma, senza maestri, senza libri, ho imparato di più in pochi giorni, anzi posso pur dire in poche ore, di quanto potessi imparare in tutta la mia vita, se non vi fossi venuto. Unisci, mia cara, le tue preghiere alle mie per renderne grazie a Dio.
Tu stupisci, mia Flora, del tono serio e religioso della mia lettera. Essa contrasta in modo meraviglioso e prodigioso con le bestemmie d’ogni fatta che ho proferite nelle mie lettere precedenti, logica conseguenza della mia irreligiosità e dell’empia atmosfera in mezzo a cui vivevo. Ebbene, Flora mia, è un miracolo nel vero senso di questo vocabolo; è un miracolo inaudito quello a cui debbo un così repentino cambiamento; è per mezzo di un miracolo che si è riempito il vuoto che c’era dentro di me; è per un miracolo che io sono ora il più felice degli uomini…

Ti ripeto, mia cara Flora, che io non sono pazzo… Te lo giuro, le disposizioni improvvise nelle quali mi trovo, non sono dovute che a un miracolo. […] Questo miracolo tu lo conoscerai; io non voglio parlartene oggi, non perché ti creda indegna di conoscerlo, ma perché occorre che tu sia preparata ad aggiungervi fede…”.

(Firmato) Maria Alfonso Ratisbonne

Ora, voi mettetevi nei panni di una povera ragazza che, avendo passato gli ultimi quindici giorni della sua vita a sentirsi vagamente presa in giro da uno che scrive robe tipo “Roma mi attrae, mi seduce, mi tiene”, adesso riceve dal suo promesso sposo ‘sto biglietto inquietante che parla di miracoli che gli hanno radicalmente sconvolto la vita, epperò non voglio parlartene oggi perché poverina non mi sembri pronta.

In compenso, il miracolo fu descritto con maggior dettaglio al padre della povera Flora, la quale, messa al corrente dei fatti, ebbe l’unica reazione possibile in quelle circostanze. Pensò:

A) ok, questo è impazzito nel senso clinico del termine;
B) alternativamente s’è trovato un’altra, è da giorni che si comporta da idiota nel tentativo di farsi lasciare, e adesso ha pure sganciato la bomba della conversione per darmi il colpo di grazia.

La bomba, per il vero, Alfonso non l’aveva ancora sganciata. In capo a qualche giorno, sempre rivolgendosi al padre di Flora, il miracolato ebbe a scrivere con angelico candore:

io amo [Flora] di sincero amore, come sempre l’ho amata e amerò. Si presentano due soluzioni: o Flora crederà alla verità di quel che le dirò, o non ci crederà. Se essa ci crede, seguirà necessariamente l’esempio mio; si farà cattolica, il nostro matrimonio avverrà ai piedi dell’altare, davanti a Cristo, e la nostra casa, la nostra felicità, l’educazione morale e religiosa dei nostri figli… attirerà gli altri col nostro esempio.

…no gente, sul serio: un minuto di silenzio per Flora Ratisbonne.

Ovviamente la famiglia di Flora replicò ad Alfonso con un laconico “ma tu sei scemo”, o qualcosa suppergiù di quel tenore. E la cosa comica è che Alfonso non si diede manco per vinto: ricevuto lo sconcertato niet da parte della famiglia di lei, ebbe ancora l’ammirevole faccia tosta di insistere e di difendersi: “ti giuro, zio, in nome di quanto vi ha di più sacro, che la mia conversione non ha altra causa che un fatto miracoloso… Ti scongiuro, mio caro zio, non mi negar la mia Flora!…”

La poverina, in tutto quel turbinio di sentimenti che doveva avvolgerla in quei giorni, dovette pure accollarsi lo sgradito compito di prendere in mano carta e penna e di scrivere ad Alfonso per fargli capire che, nonostante le sue insistenze, proprio non era cosa.
E non una sola volta, dovette scrivere al suo amato! “Non ti cullare in una inutile speranza”, gli diceva verso metà febbraio; tre settimane dopo doveva ancora rispondere ad altre insistenze: “ora tutto è cambiato: Alfonso di prima è scomparso; Alfonso di oggi, io non posso seguirlo…”.

Mi è solo di parziale consolazione sapere che Flora, qualche tempo più tardi, andò in sposa a un banchiere ebreo che la portò a vivere con sé a Parigi. Nella città del Louvre, la ragazza, ormai diventata Madame Singer, avviò un fiorente caffè letterario da cui influenzò in maniera abbastanza significativa il fior fiore della cultura francese. Toh, guardate qua, ha addirittura una pagina su Wikipedia: è una che conta. E anzi edito il post per aggiungere che uno dei miei lettori mi ha linkato questo bellissimo articolo che parla proprio di Flora e dello shock che la poverina deve aver provato… ma che soprattutto ha il merito di proporre anche una foto della ragazza, un po’ più in là con gli anni:

flora

E Alfonso?
Beh, il finale della storia lo sapete già. Decise di diventare sacerdote – ammettendo peraltro che uno degli sproni iniziali che lo avevano portato a questa scelta era stato il desiderio di smentire i sospetti della sua fidanzata: no, non si era inventato strane storie di conversione perché si era invaghito di una donna cattolica. E se non poteva avere lei, suo unico e vero amore, almeno poteva dimostrarle di non desiderare nessun’altra al mondo.
Evidentemente non si fece sacerdote solo per quello; ma diciamo che anche questo fu un elemento che ebbe un certo ruolo nelle fasi iniziali del suo discernimento. In una delle sue ultime lettere alla famiglia di lei, scriveva: “se mi si nega Flora, la mia decisione è presa: consacrerò tutta la mia vita a pregare per lei, per voi, e a mortificarmi nel fondo di qualche rigido chiostro”.

…che peraltro, signore che mi leggete: ammettetelo pure voi. Eddai: a suo modo, non è un finale romantico?

9 risposte a "Un minuto di silenzio per Flora Ratisbonne"

    1. Lucia

      Vero, il finale è molto romantico.
      Diciamo che forse forse se Alfonso avesse mostrato un po’ di premure in più anche prima, magari Flora avrebbe perso qualche ettolitro di lacrime in meno, secondo me 😛 Ma del resto, ubi maior… 😉

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    1. Lucia

      Mi piace peraltro il candore con cui inizia l’articolo: “Her fiancé, who was ten years older than she, was also her uncle, a younger brother of her father, and he had offended her and her people in an unforeseen and brutal way

      E come dargli torto? 😛

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    1. Lucia

      …ultimamente sì, con poca convinzione iniziale (e livelli di entusiasmo sotto i piedi tutte le volte che sto per partire), ma la mia vita ha preso una piega strana… e soprattutto ad ampio chilometraggio. Per lavoro (come del resto fosse in parte anche per l’ebreo in missione di public relations per l’impresa di famiglia), ora come ora lo farei 😛

      …ché poi, scherzi a parte, secondo me i grand tour dell’epoca erano molto più rilassanti delle vacanze d’oggi. A me personalmente quello che pesa in un viaggio è il lungo trasbordo, di ore ed ore ed ore, dalla meta A alla meta B, e il fatto di dover fare tutto in fretta una volta arrivato a destinazione. Giustamente, al giorno d’oggi, se vai in vacanza non ti fermi mica tre settimane nella stessa città a guardartela bene bene e con calma.
      Un grand tour ottocentesco, con tappe ravvicinati e lunghissimi periodi di ripresa da uno spostamento all’altro, sarebbe già più godibile per le mie inclinazioni.

      Sempre detto, io, che sono nata nel secolo sbagliato 😉

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