Una pozione magica custodita senza le dovute cautele finì col segnare la fine di Tristano e Isotta, soggiogati da un amore peccaminoso e impossibile.
Una serie di atti magici utilizzati con maggior criterio, uniti a una buona conoscenza del diritto canonico, permise a Cligès e Fenice di coronare il loro sogno d’amore.
Ma non crediate che le due coppiette di cui ho parlato la settimana scorsa siano state le uniche ad aver beneficiato di incantesimi e magie correlati a vario titolo alla loro storia d’amore.
Al contrario! Secondo Tara Williams, “magia” e “amor cortese” vanno quasi sempre a braccetto, nella misura in cui “i prodigi causati dalla magia forniscono un metodo efficace per mettere alla prova le virtù dei protagonisti in un contesto extra-ordinario”: il prode cavaliere s’è comportato bene nella vita di ogni giorno, ma il suo atteggiamento sarà altrettanto impeccabile quando si troverà di fronte a un drago? O meglio ancora: il sentimento tra i due amanti è sempre stato molto forte, ma riuscirà a restare saldo anche quando si tratterà di dover resistere alla tentazione di una fata seduttrice? “Come risultato finale”, scrive Tara Williams, “la magia appare molto spesso nei testi in cui l’amor cortese è una tematica centrale”, assumendo invece una posizione di minor rilievo in romanzi o chanson de geste in cui la love story è un elemento di contorno, ma non il fulcro stesso della storia.
“Ma allora”, potrebbe chiedersi a questo punto l’uomo medievale che sta consultando questo manuale di seduzione all’insegna dell’amor cortese, “se ho un mago a libro paga, posso efficacemente utilizzarlo per conquistare o rinsaldare quell’amore che sogno?”.
In effetti sì, amico medievale, a giudicare dagli scritti degli autori di romanzi. Ne parleremo oggi in una nuova puntata di
Un flirt cortese
Guida di seduzione per l’uomo medievale
che non deve chiedere mai
A voler ridurre il rapporto tra magia e amor cortese in grandi macrocategorie (necessariamente un po’ approssimative), si potrebbe dire che, nei romanzi d’amore medievali, il ricorso alle arti magiche può avere cinque funzioni-base.
1. Fa sì che l’amore possa esistere, facendolo nascere o permettendogli di crescere nonostante eventuali ostacoli
Tristano e Isotta sono il caso eclatante: i due poverini non si sarebbero mai innamorati se non fosse stato per un filtro d’amore. Ma, a vario titolo, la magia segna il destino di molte altre coppie dei romanzi medievali.
Guigemar, determinato a trovare l’amore, ricorre in un lai di Maria di Francia a una singolare agenzia matrimoniale che si concretizza nella forma di una barca incantata: lasciata alla deriva e mossa dalle correnti, essa lo condurrà magicamente là dove si trova la sua anima gemella.
Uther di Pendragon riesce a concretizzare il suo amore per Ygraine solo quando Merlino utilizza le sue arti magiche per far assumere all’uomo le sembianze del marito della donna (che, ovviamente, non sospetta nulla e passa la notte con lui, finendo col rimanere incinta).
Nel Yonec, una giovane dama viene data in sposa a un marito (giustamente) geloso, che (evidentemente, avendo già capito il tipo di donna che s’è portata in casa) decide di murarla in un’alta torre per evitare d’essere tradito. Ma ecco: nottetempo, la giovane dama vede posarsi sul davanzale della finestra un bellissimo astore, che di lì a poco si rivelerà essere tutt’altro che un volatile. L’astore assume infatti le sembianze di un certo Muldumarec, che già da tempo amava segretamente la donna e che s’è risolto infine a ricorrere alle arti magiche pur di avere una chance di farla sua. Curiosamente, la dama rifiuta le avances temendo che il suo spasimante sia in realtà un demone giunto per tentarla: Muldumarec assume allora le sembianze della donna e fa chiamare il cappellano di palazzo domandando di poter ricevere l’Eucarestia. Quando lui si comunica, svaniscono in un colpo tutti i dubbi della castellana: ormai certa che il suo spasimante non sia un’entità infernale, la donna decide evidentemente che dannarsi l’anima con un essere umano è ok accetta di concederglisi senza riserva alcuna.
2. È effettivamente una tentazione che i protagonisti dovranno evitare
Contemplando la protagonista del Yonec che s’abbandona al suo amore adulterino reso possibile dalla magia, qualcuno si potrebbe anche domandare: “ma non è che in effetti quella era davvero una tentazione?”.
Non sembrerebbe pensarla così l’autrice della storia, Maria di Francia, che in tutti i suoi romanzi fu sempre molto indulgente nei confronti dell’amore extraconiugale. Ma l’autrice sembrerebbe voler dire che, se è ammissibile usare la magia per rendere possibile un amore puro e ingiustamente ostacolato, esistono altri contesti in cui il ricorso alle arti magiche equivale al barare con viltà.
Ne è ben consapevole il protagonista di Les Deux Amants, altro romanzo uscito dalla penna di Maria di Francia: il giovane, follemente innamorato di una principessa che lo riama, deve superare una prova di forza per guadagnare la mano di lei. Si tratta d’una prova dura, pressoché impossibile, come dimostra la pila di cadaveri dei cavalieri che s’erano cimentati prima di lui nell’impresa. Il ragazzo avrebbe dalla sua una pozione magica capace di moltiplicarne le forze, che infatti si mette in tasca prima di intraprendere l’impresa: e tuttavia, decide di non usarla perché doparsi gli sembrerebbe scorretto nei confronti di chi prima di lui ha tentato l’impresa senza avvalersi di trucchetti. Il ragazzo farà la stessa fine dei cavalieri che lo avevano preceduto, ma… oh, quanto grande mostrerà allora d’essere il suo onore!
Sfoggiando un masochismo non minore, Blanchefleur rifiuta di indossare un anello magico che le porge il suo amato Floris. E dire che un tocco di magia non ci starebbe male, per risolvere la situazione imbarazzante in cui si trovano i ragazzi: essi sono appena stati scoperti a letto dal promesso sposo di lei, un tipo non particolarmente incline al perdono. L’anello magico di Floris sarebbe la soluzione a ogni problema (infatti, rende invincibile chiunque lo indossi favorendone la fuga dalle situazioni più disperate), ma Blanchefleur rifiuta sdegnata quell’escamotage: in fondo, lei era consapevole dei rischi cui andava incontro quando aveva deciso di amare il ragazzo pur essendo fidanzata. E, in ogni caso, non sarebbe mai stata disposta a salvarsi grazie a quel trucchetto, nella consapevolezza di star privando il suo amato di quella preziosa protezione magica.
In questo caso, il rifiuto sarà salvifico: un cavaliere che ode la conversazione tra i due innamorati è colpito dalla purezza del loro sentimento e intercederà per loro di fronte al promesso sposo di Blanchefleur. La correttezza coraggiosa e l’altruismo della giovane verranno infine premiati: la ragazza sarà libera di sposare l’uomo che ama.
3. Ha la funzione di mettere alla prova il sentimento tra i due innamorati
Di fronte alla prontezza con cui Floris e Blanchefleur sono pronti a cedersi vicendevolmente l’anello magico, nessuno potrebbe avere dubbio alcuno: i due ragazzi si amano davvero d’amore sincero.
Evidentemente la maga Lunet nutriva qualche dubbio in più, circa la natura del sentimento che la legava al cavaliere Yvain. Infatti, la donna gli dona un anello magico simile con poteri simili a quelli posseduti dall’anello di Floris… con un distinguo: l’anello funzionerà solamente fintantoché Yvain le resterà fedele e nutrirà per lei un amore sincero.
Nel momento in cui Yvain, dopo una battaglia, torna a casa più morto che vivo, e i suoi compagni d’arme spiegano che il poverino è stato corcato di botte da un nemico, diventa evidente a Lunet che l’amore del cavaliere si è affievolito. Riprendersi l’anello magico sarà a quel punto un gesto di umiliazione pubblica da operare di fronte a tutta la corte: la magia ha reso evidente ciò che la menzogna sarebbe forse riuscita a celare.
In altri casi, la magia (o per meglio dire: l’interazione del protagonista con un personaggio che appartiene a una razza magica) permette di dare una concretezza soprannaturale alla tipica minaccia femminile “tu puoi fare qualunque cosa ma questa proprio no, e se scopro che la fai lo stesso io ti giuro che me ne vado”.
Ebbene, non c’è possibilità di mediazione se la minaccia proviene da un’entità fatata, come quella che Partenopeus de Blois incontra nel corso delle sue avventure. Il cavaliere si innamora, riamato, della bellissima Melior, che gli si concede di buon grado ma ad una condizione: per il primo anno e mezzo, lui non potrà mai cercare di guardarla quando loro sono soli nel loro talamo (ché la bellezza sovrannaturale del corpo di Melior renderebbe evidente al cavaliere che la sua amante è in realtà una fata. Una fata evidentemente intenzionata a confidare il suo segreto solo a un uomo di cui sa di potersi fidare perché ha mostrato di saper mantenere una promessa).
Ma, ahilui: Partenopeus infrange il divieto e Melior, magicamente, gli scompare letteralmente da davanti agli occhi tornando senza appello in quel regno delle fate il cui accesso è precluso agli umani. Regno in cui, immagino, avrà avuto modo di sfogarsi con una vasta schiera di consimili nella stessa situazione, ché la letteratura medievale è piena di storie di questo tipo. La mia preferita è quella dell’elfa Inchiquin, protagonista di alcune ballate irlandesi, che evidentemente condivideva con me quella misantropia di fondo per cui le porte di casa si spalancano solo di fronte a pochissimi fidati. E infatti, l’elfa permette a suo marito di fare qualunque cosa tranne portarle gente in casa, ché lei non è tipo da gradire ospiti. E quando il marito infrange il divieto, lei sparisce per davvero, sdegnata per l’affronto (empatizzo moltissimo e ti sostengo ridendo, sorella).
4. Consente di mettere alla prova la nobiltà d’un cavaliere
Alzi la mano chi di voi bacerebbe un drago. Nel Lanzelet, romanzo tedesco del XII secolo, il povero Lancillotto lo fa per davvero, compiendo un estremo atto di coraggio di fronte al drago che lo fronteggia minaccioso e gli pone questa assurda sfida.
Lancillotto posa le sue labbra su quelle del drago con la certezza di venire incenerito di lì a poco. Con sorpresa di tutti, in realtà salta fuori che il bestione ce stava a provà per davvero: il drago era in realtà una bellissima ragazza che era stata imprigionata nel corpo di un mostro. Il “bacio del vero amore” non era ancora stato inventato, sicché il mago che aveva colpito la ragazza con quella maledizione aveva fatto riferimento al “bacio audace” di un cavaliere come unico rimedio per spezzare la magia. Insomma, Lancillotto conquista la sua bella (e, cavallerescamente, salva un’indifesa da un destino orribile!) solo perché il suo cuore intrepido non l’ha fatto indietreggiare neppure di fronte a quella sfida. Là dove ogni ostacolo terreno è già stato superato, è la magia a diventare il vero banco di prova per il cavaliere.
Storia quasi identica, ma con una maledizione più articolata, è quella che compare nel Lybaeus Desconus, una specie di “romanzo di formazione” che segue le avventure intraprese da Gingalain nel tentativo di affermare la sua valentia e di scoprire i suoi veri natali (egli, infatti, non conosce il nome di suo padre). Dopo innumerevoli avventure che permettono al cavaliere di mostrare al mondo il suo coraggio, sarà la magia a sciogliere il nodo che fino a quel momento era rimasto irrisolto, cioè la questione della sua discendenza. Trovandosi di fronte a una donna-drago, Gingalain accetterà coraggiosamente di baciarla. A quel punto, non solo la dama diventerà sua ma gli svelerà inconsapevolmente le sue origini: gli spiega infatti che la maledizione sarebbe stata spezzata solamente dal bacio audace di sir Galvano “o della sua discendenza”. E poiché Gingalain non è di certo il famoso cavaliere al servizio di re Artù, non ci vorrà molto intuito per capire come possa esser stato possibile che il suo bacio abbia spezzato la maledizione.
5. Banalmente: sta lì come elemento di contorno, per strizzare l’occhio al lettore che ne sa
E sarà il caso di ricordarlo: i lettori dei romanzi cortesi erano, mediamente, intellettuali eruditi e colti. Cioè, gente che sicuramente aveva una buona dimestichezza, se non proprio con le “arti magiche” in senso stretto, con quella che alcuni storici definiscono “scienza occulta”.
E qui mi spiego.
Oggigiorno, noi siamo giustamente portati a definire “superstizione” (se non “magia”) quella che sappiamo non essere “scienza” (o tutt’al più “religione”). Esempio banale: il cornetto rosso portafortuna che oggi molte persone indossano per scaramanzia è appunto un oggetto che noi definiremmo “superstizioso”, giacché sappiamo che a livello scientifico non ha alcun potere.
Ecco, benissimo. Ma quello che sappiamo noi oggi, uomini del terzo millennio, non era noto ai nostri antenati medievali, che davvero credevano che un cornetto rosso di corallo avesse delle proprietà benefiche: il corallo – si diceva – conteneva alcune sostanze capaci di portare benefici in chi lo indossa sufficientemente a lungo.
Ovviamente non è vero, ma c’è voluto un po’ di tempo per capirlo. Nel frattempo, ciò che la mentalità moderna considera “magia” o “superstizione” era all’epoca ritenuto un dato di fatto, così noto e incontestato da fare capolino persino dei testi medici.
Ebbene: se qualcuno avesse la pazienza di rileggersi un po’ di romanzi cortesi prestando attenzione a questo dettaglio, noterebbe che essi sono costellati di pietre preziose, cui vengono frequentemente attribuite delle proprietà magiche. Incastonate (oltre che, ovviamente, nei gioielli) nelle armature, nelle else delle spade, nei finimenti dei cavalli e persino nel mobilio e negli oggetti di arredo, le pietre preziose invadono la narrazione veicolando spesso i poteri più disparati.
Ma il pubblico medievale aveva una comprensione di questi elementi magici molto più profonda e sfaccettata di quella che possiamo avere noi moderni. Vale a dire: quando noi leggiamo che il Prete Gianni, chierico e re di una terra lontana, dormiva in un letto a baldacchino nel quale erano stati incastonati mille zaffiri, possiamo avere tutt’al più una reazione sulle linee di “woah, doveva essere assai ricco!”.
Il lettore medievale, invece, avrebbe ridacchiato sotto i baffi, con la consapevolezza che persino quel santissimo monarca doveva avere qualche problemino nel tenere a bada la carne: nel Medioevo, infatti, era noto a tutti che gli zaffiri allontanavano i pensieri impuri e promuovevano la castità in chi se ne circondava. Evidentemente, il purissimo monarca era casto sì… ma era anche uno a cui piaceva vincere facile, calcolando che di notte si circondava di pietruzze magiche che avrebbero fatto passare la tentazione anche a un animale in calore.
O ancora: gli oggetti magici che Yvain, Gawain, Perceval e Horn ricevono in dono da benevole protettrici, affinché il potere delle pietre in esso contenute possa proteggerli dalle ferite in battaglia… beh, erano oggetti realmente esistenti! Perlopiù, venivano creati incastonando il diaspro e il balasso nelle armature dei guerrieri e nelle else delle loro spade: la gente era davvero convinta che queste sostanze fossero in grado di aumentare il coraggio e prestanza fisica di chi le teneva vicine, un po’ come noi penseremmo di un farmaco dopante somministrato all’atleta che sta per scendere in gara.
E si potrebbe andare avanti così con moltissimi altri esempi: ché davvero i romanzi cortesi erano costellati di piccoli accenni come quelli che ho citato. Oggi, easter eggs che solo uno studioso è in grado di cogliere; in passato, elementi di conoscenza condivisa capaci di “fare colore” o, in alcuni casi, di poter addirittura suscitare il riso (come nel caso del letto tempestato di zaffiri usato da uno che evidentemente ci teneva davvero molto a rimanere casto).
Noi oggi la definiamo “magia”, ma in realtà queste erano all’epoca conoscenze scientifiche ritenute degne di fede da parte di ogni intellettuale che avesse mai avuto la ventura di analizzare un lapidario nel corso dei suoi studi universitari. Passatemi la battuta: a noi sembrano elementi magici degni di un romanzo fantasy, ma sotto un certo punto di vista, nel Medioevo, la gente viveva davvero in un mondo pieno di “magia” fantasiosa!
Un po’ di bibliografia sparsa per chi volesse approfondire
Middle English Marvels. Magic, Spectacle and Morality in the Fourteenth Century di Tara Williams
King Arthur’s Enchantresses: Morgan and Her Sisters in Arthurian Tradition di Carolyne Larrington
A Lapidary of Sacred Stones. Their Magical and Medicinal Powers Based on the Earliest Sources di Claude Lecouteux
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