Vademecum della perfetta dama di compagnia

“Chi l’avrebbe mai detto”, commentava qualche tempo fa un mio lettore: “salta fuori che quello di dama di compagnia era uno dei mestieri più pericolosi al mondo, nel passato”.
L’osservazione mi aveva colpita perché in effetti è molto vera: il mio blog pullula di tristi storie di dame di compagnia che hanno fatto una brutta fine quando hanno deciso di rimanere fedeli alla loro signora caduta in disgrazia.

Sono aneddoti che sorprendono, probabilmente perché noi abbiamo una idea distorta di quello che davvero era una dama di compagnia. La nostra mentalità ci porta a immaginarla come una specie di domestica d’alto rango: eppure sbagliamo, nel ridurla a cameriera privata per nobildonne. La dama di compagnia era molto di più, come spero emergerà da questo pratico

Vademecum della perfetta dama di compagnia

che oggi vado a presentare.
Con una doverosa premessa: come noterete, farò riferimento alle dame di compagnia della corte inglese in età Tudor, per la valida ragione che trattano proprio quest’epoca i due libri che ho adottato a mo’ di bibliografia: Ladies in Waiting from the Tudors to the Present Day di Anne Somerset e Ladies-in-Waiting: Women Who Served at the Tudor Court di Victoria Sylvia Evans. Evidentemente, ciò che valeva alla corte di Enrico VIII poteva essere interpretato in maniera un po’ diversa in altri Paesi o in altre epoche… però diciamo che, gira e rigira, il ruolo di una dama di compagnia era grossomodo questo, tra tardo medioevo e prima età moderna.

1) Per l’amor del cielo, non è una domestica!

D’accordo: è pur vero che la dama di compagnia era al servizio di una nobildonna, ma non per questo sarebbe giusto definirla una servitrice in senso stretto. Per capirci: se il nostro metro di paragone è la cameriera Anna al servizio di lady Mary in Downton Abbey, sarà meglio precisare che le dame di compagnia sono su tutto un altro piano – sono in un altro universo proprio.

Essere scelta come dama di compagnia di una signora di un certo rango equivaleva all’occupare un ruolo di grande prestigio sociale, che portava a essere onorate e riverite dagli altri membri di palazzo. Spesso provenienti dalla media aristocrazia, o introdotte a corte dall’alto funzionario cui erano andate in spose, le dame di compagnia erano quasi sempre nobildonne altolocate, abituate a essere trattate col rispetto che si confà a signore di un certo rango. Basti pensare che, quando la dama di compagnia si trasferiva a palazzo per iniziare il suo lavoro, portava con sé le sue domestiche di fiducia; e quasi tutte le corti regolamentavano il numero massimo di servitù consentita, per evitare sovraffollamenti.
Alla corte dei Tudor, il numero massimo di servitù permessa ammontava a quattordici persone per ogni dama di compagnia, per la cronaca. E direi che già questo dice tutto.

2) Se la fai entrare nel tuo entourage, sarai tenuta a prenderti cura di lei per sempre

…quantomeno: se non vuoi passare alla Storia come la nobildonna peggiore di sempre.

Era cosa nota a tutti, che le dame di compagnia fossero da considerare alla stregua di una “famiglia estesa”. Sicché, si presumeva che una nobildonna dotata di una morale al di sopra dei limiti della decenza avesse cura di occuparsi delle sue dame di compagnia con la stessa premura che avrebbe usato per una sorella o per una figlia.
In questo senso, Caterina d’Aragona fu un caso dolcemente eclatante. Quando rimase vedova dopo la morte del suo primo marito, e di conseguenza vide ridimensionare drasticamente il numero dei domestici a sua disposizione, insistette per tenere con sé tutte le sue dame di compagnia e ne pagò di tasca sua il mantenimento. E le dame ripagarono tanta lealtà, scegliendo liberamente di restare vicine alla loro signora anche quando la regina cadde in disgrazia e perse il favore di Enrico VIII, dando loro facoltà di farsi una vita altrove se lo desideravano.
Caterina, dal canto suo, non si limitò a portare con sé in esilio le donne che vollero restare al suo fianco, ma le tenne vicine anche nel suo cuore: dal letto di morte, dettando le sue ultime volontà, supplicava Enrico VIII di voler pagare la dote nuziale alle sue dame ancora nubili. E davvero dobbiamo immaginare che potesse nascere una amicizia vera, tra donne che – in fin dei conti – avevano trascorso assieme l’intera vita!

3) Deve essere una donna di estrema fiducia

A dir la verità, non era solo questione di amicizia. Era anche questione di responsabilità morale: quando una dama di compagnia prendeva servizio, si sottoponeva a una vera e propria cerimonia nella quale giurava solennemente fedeltà imperitura alla sua signora. Sulla carta, venir meno alla parola data sarebbe stato inconcepibile, anche in termini di rispettabilità sociale: la dama che avesse infranto quel voto di fedeltà sarebbe come minimo andata incontro allo sdegno disgustato dei benpensanti.
Naturalmente, questo non vuol dire che tutte fossero leali sempre; ma vuol dire che lo scandalo era veramente grande, quando il fattaccio aveva luogo.

E che una dama di compagnia dovesse essere una donna degna di fiducia era un concetto perfettamente chiaro a tutte le parti coinvolte. Tra i tanti requisiti della perfetta dama di compagnia, uno e uno solo era quello su cui nessuno era disposto a transigere: doveva essere una donna degna di fiducia cieca.
Per esempio, non era infrequente che a candidate di nobili natali si preferisse una donna dalle origini più umili, che s’era conquistata nel corso del tempo la fiducia della sua signora. Frequentemente, le regine e le nobili d’alto rango decidevano di far entrare nel proprio entourage fanciulle provenienti dalla loro famiglia d’origine: non era favoritismo, come potremmo pensare, ma era il triste segno del fatto che la donna non aveva amiche di cui era certa di potersi fidare ciecamente (mentre un parente proveniente dall’alta aristocrazia, in genere, non ha interesse a distruggerti politicamente).

E facevano bene, queste nobildonne del passato, a usare molta cautela nella scelta. Sentinelle, confidenti e consigliere, le dame di compagnia finivano inevitabilmente col guadagnarsi un fortissimo ascendente sulla loro signora, arrivando talvolta a influenzarne le decisioni in materia politica, amorosa e di educazione dei figli.

4) Se piace anche a tuo marito, tanto meglio

…ma, per capirci, la cosa non è indispensabile.
Descritto il grado di amicizia, lealtà, intimità e fiducia che si veniva a creare tra una signora e la sua dama di compagnia, una cosa diventa evidente: è doveroso che sia la diretta interessata a selezionare le donne che entreranno a far parte del suo entourage. A una nobildonna si potrà anche imporre chi sposare, ma nessuno oserebbe imporle di chi essere amica.

Sicché, salvo casi particolari, era la signora a scegliere liberamente le sue dame, selezionando tuttalpiù le sue prescelte tra una rosa di papabili che le erano state suggerite dai consiglieri o dai genitori. Ma non era né necessario né consueto consultarsi con l’entourage di corte; sottoporre i nomi al marito era tutt’al più un atto di cortesia, così come era cortesia da parte del marito approvarli senza fare storie.
Di norma (e quindi escludendo il caso di poverette che si trovavano a vivere in ambienti realmente tossici) la scelta delle proprie dame di compagnia era uno dei pochi frangenti in cui la donna aristocratica poteva muoversi con la massima discrezionalità.

5) Dev’essere una donna di buoni costumi

Certo, esistevano dei requisiti-base che ogni dama di compagnia doveva rispettare. Sopra ogni cosa, doveva essere una donna di buoni costumi (il che vuol anche dire che sarebbe stata scartata a priori qualsiasi persona che fosse stata coinvolta in un qualche scandalo, anche suo malgrado). Il vademecum per le dame di compagnia che nel 1525 entravano al servizio della principessa Mary Tudor raccomandava loro di adottare “un comportamento pieno di solennità, onorevolezza e virtuosità. Che esse adottino sempre la massima discrezione nell’eloquio, nelle movenze, nel comportamento e nel loro modo di porsi verso il prossimo, usando umiltà, reverenza e modestia, i tre requisiti indispensabili per questo ruolo”.
Nel 1537, essendosi aperta una nuova posizione per una dama di compagnia alla corte inglese, il funzionario John Husee scriveva a una donna che riteneva potesse essere interessata al ruolo, spiegando che la candidata perfetta sarebbe stata tenuta a mostrarsi “austera, assennata, discreta, modesta e opportunamente mesta”. Insomma, l’anima della festa.

6) Ma la sua moralità dev’essere tutto sommato sacrificabile

È lo stesso Husee a precisare che tuttavia la vita quotidiana d’una dama di compagnia non è esattamente quella che ci si aspetterebbe da una donna di buoni costumi. Con onestà, il funzionario sottolinea infatti che “la corte è un coacervo di orgoglio personale, invidia e scandali, corredato da facile disprezzo e costante derisione”. Mettiamola così: non è esattamente il luogo in cui una madre di famiglia avrebbe avuto piacere di mandare una ragazzina sulla cui educazione aveva investito tante speranze.
Se il ruolo di dama di compagnia era indubbiamente prestigioso, non tutte le fanciulle sarebbero state disposte a rischiare tutto pur d’occupare un ruolo nel quale era assai concreto il rischio di essere invischiati in macchinazioni e trame (o, peggio ancora, di dover scendere a compromessi pur di guadagnare il favore di chi contava a corte).

7) Se è già cresciuta a corte, tanto meglio

Se non altro, perché conosce già l’ambientino e non si traumatizza.

Mi direte “eh: ma chi è che cresceva a corte, se non i nobili d’alto rango?”.
Beh: in realtà, a corte cresceva un sacco di varia umanità: ad esempio, i figli degli alti dignitari cui era stato concesso l’usufrutto di qualche stanza in cui alloggiare la loro famiglia. Inoltre, era consuetudine abbastanza frequente che la medio-bassa aristocrazia tentasse di inserire i suoi figlioletti alla corte dei potenti non appena essi raggiungevano l’età della ragione.

Lo si faceva con lo stesso spirito con cui, a distanza di qualche secolo, l’aristocrazia avrebbe cominciato a mandare i giovani rampolli in collegi d’élite. Insomma, si cercava di far sì che i propri figli potessero crescere al fianco di coetanei dello stesso rango, in un ambiente protetto nel quale avrebbero ricevuto un’educazione adeguata al loro futuro ruolo. In effetti, i ragazzini che venivano accolti a corte avevano la chance d’essere seguiti da uno stuolo di precettori pronti a insegnare loro le lingue straniere, la danza, l’arte del combattimento e della caccia. Per le ragazze, erano predisposti dei veri e propri corsi di economia domestica per spiegare loro il modo migliore di dirigere una tenuta nobiliare. 

Per la piccola nobiltà, chiaramente, era preziosa l’opportunità di piazzare a corte i propri figli. Per la grande nobiltà (cioè, per quelli che a corte ci vivevano), non era poi così male avere uno stuolo di bambini che si intrattenevano a vicenda in un’ala dedicata del palazzo: in fin dei conti, quei bimbetti erano… le dame di compagnia dei principini, se me la passate. Anche gli eredi al trono meritano di avere amici d’infanzia, in fin dei conti.

8) Deve saper parlare molte lingue

Era una skill molto importante, e direi anche “per ovvie ragioni”, calcolando che le nobili di più alto rango (cioè: le aspiranti regine) erano solite andare in spose a re di nazioni estere.
Di conseguenza, lo studio delle lingue straniere era un must per qualsiasi dama che aspirasse a un matrimonio importante; e la stessa abilità era richiesta anche alle donne che avrebbero dovuto far parte del suo seguito. Se non altro, per una banale ragione logistica: la principessa andata in sposa a un re straniero sarebbe stata certamente felice di continuare a parlare la sua lingua madre con le donne del suo entourage… dalle quali, com’è ovvio, ci si aspettava anche che fossero in grado di comunicare nell’idioma che normalmente si parlava a corte.

Ma non solo. Uno dei principali ruoli della dama di compagnia era quello di intrattenere i funzionari, gli ambasciatori, gli alti dignitari che via via venivano ospitati a corte per ragioni di diplomazia. Nel corso dei ricevimenti che periodicamente si tenevano per accogliere ospiti importanti, le dame di compagnia erano cooptate al fine di animare la serata: si presumeva insomma che sarebbero state proprio loro a danzare, chiacchierare e scherzare coi funzionari in trasferta di lavoro, dunque privi di una accompagnatrice.
In quei frangenti, uno dei più grandi vanti di una corte era quello di poter presentare ai suoi visitatori uno stuolo di dame capaci di conversare con gli ospiti stranieri utilizzando agevolmente la loro lingua madre: questo sfoggio di erudizione non mancava mai di impressionare funzionari e ambasciatori.

A tal proposito, Anna Bolena costituisce l’esempio perfetto. Figlia di un diplomatico della corte inglese che frequentemente svolgeva missioni all’estero, la ragazzina aveva appena dodici anni quando fu mandata in Erasmus, per così dire, alla corte fiamminga e poi a quella di Francia. Quando ritornò in Inghilterra dopo quel periodo di “studio” all’estero, Anna padroneggiava ormai il Francese alla perfezione – e più volte, nella prima fase della sua vita, si disse certa di poterlo considerare il più grande asset a suo vantaggio.

9) Il suo scopo principale è fornire intrattenimento di livello

Non solo alla signora cui s’accompagna, ma – come s’è visto – anche ai membri della sua corte. Il che vuol dire che le dame di compagnia venivano selezionate (o avevano carriere particolarmente sfolgoranti) anche sulla base dell’offerta che potevano mettere a palinsesto.
Le donne che vivevano alla corte di Enrico VIII, per esempio, sapevano che, nelle feste di palazzo, erano particolarmente apprezzate quelle dame in grado di poetare o di suonare strumenti musicali, visto che il re stesso coltivava queste passioni. In altre corti, poteva capitare che fosse un bel canto quello capace di calamitare tutta l’attenzione; in altre corti ancora, poteva darsi che l’abilità da esercitare sopra tutte fosse quella di ben danzare.
Insomma: le dame di compagnia erano soprattutto e innanzi tutto delle abili intrattenitrici.

A titolo di curiosità: capitava di tanto in tanto che alcune di loro decidessero di puntare sulle loro doti da cabarettista. Non era infrequente che le signore possedessero un giullare personale, ovverosia una dama dotata di particolare humor, il cui compito era quello di spingere al riso le altre donne. Ruolo di grande prestigio (se non altro, perché era indice di una particolare confidenza con la nobildonna), spesso poteva essere utilizzato anche in ottica politica: la dama che ricopriva questo ruolo riceveva spesso suppliche da parte di altri cortigiani, affinché, con la scusa dello scherzo, portasse all’attenzione della sua signora questioni che in realtà erano serie e delicate, e magari troppo spinose per essere segnalate apertamente.

10) E soprattutto: dev’essere bella!

Va da sé: ho appena detto che uno dei compiti della dama di compagnia è intrattenere la corte nel complesso, dare degna accoglienza ai funzionari esteri, danzare e cantare per suscitare l’ammirazione pubblica… vorrete mica che tutti questi compiti fossero affidati a una performer talentuosa ma ciospa?

Ahimè, è la triste legge dello spettacolo. Come direbbe qualcheduno, “anche l’occhio vuole la sua parte”: da che consegue che uno dei requisiti richiesti a una dama di compagna era quello di avere un bel visino e un corpo grazioso. O comunque, “se non definibile ‘di bell’aspetto’, dovrà quantomeno non essere brutta”, come scrissero i genitori di Caterina d’Aragona pubblicando una richiesta di lavoro per la dama di compagnia della loro figlia.

Fortunatamente, come abbiamo visto, nessuna si sarebbe basata solamente sull’aspetto fisico per selezionare le proprie dame di compagnia. Ma… mettiamola così: in caso di dubbio tra due donne, quando l’analisi del CV non era dirimente e le due candidate erano a parimerito, era quasi inevitabile che l’aspetto fisico finisse con l’essere l’elemento determinante per decidere a chi effettivamente affidare il ruolo.
Triste ma vero, temo che questa sia una grande costante della Storia!

14 risposte a "Vademecum della perfetta dama di compagnia"

    1. Lucia

      Credo che a certi livelli esistano ancora, a dire il vero. So che Elisabetta di Inghilterra ne ha almeno due, di cui era stato scritto che avevano trascorso l’intero periodo lockdown assieme alla regina e al principe Filippo.
      Fra l’altro, in questo periodo di Covid, hanno assunto anche una rilevanza pubblica fuori dal normale, nel senso che con una certa frequenza hanno accompagnato la regina nelle sue uscite pubbliche (non essendo ovviamente soggette alle norme di distanziamento che devono/dovevano rispettare altri membri della famiglia reale, visto che loro vivono già con la regina 24h/24).

      Ad esempio, una delle sue dame di compagnia s’è affacciata dal balcone assieme alla regina durante il Rememberance Day e un’altra l’ha accompagnata in macchina il giorno del funerale del principe Filippo, pur senza entrare in chiesa per non “rubare” ai parenti i pochi posti a disposizione.

      https://www.heart.co.uk/news/royals/queen/lady-in-waiting-susan-rhodes/

      Non so però se le royals più giovani abbiano delle dame di compagnia propriamente dette. Probabilmente il ruolo si sta evolvendo in un più generico “assistente alla persona”.

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    2. Lucia

      (Si vede che seguo con passione le vicende delle famiglie reali? 😛 In effetti, sono l’unica concessione che faccio al gossip: le vicende dei VIP non mi interessano ma quelle delle famiglie reali – tutte, non solo quella inglese! – mi appassionano abbastanza. Credo che a incuriosirmi sia proprio il modo in cui questi personaggi cercano di rimanere al passo con i tempi pur essendo eredi di una tradizione secolare piena di storia e di protocollo. Seguirli è il mio guilty pleasure 😛)

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        1. Lucia Graziano

          Eh, mi sa che è entrata in servizio quando era più o meno coetanea della regina (anche giustamente, chi è che si prende una dama di compagnia di novant’anni?) e lì è rimasta 😅

          Così a naso, eh. Non conosco i dettagli, però…

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  1. klaudjia

    Comunque il lavoro di dama di compagnia era al alto rischio. Parecchie volte seguivano la dama sul patibolo/esilio/violenze varie ed eventuali. Mi vengono in mente i fedelissimi servitori degli zar, fucilati insieme a loro e quasi mai riportati nei libri di storia

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