“Il corallo è una pietra, ma in realtà finché vive in acqua è una pianta” scriveva Marbodo di Rennes (che, poverino, non ne aveva imbroccata una). Autore, nel 1096, di un Lapidario edito in traduzione italiana dalle edizioni Carocci, il vescovo di Rennes argomentava: “quando viene strappato dalle reti dei pescatori, o tagliato col ferro aguzzo, a contatto con l’aria diventa duro e impietrisce. Prima era di colore verde, poi, seccando, diventa rosso scuro”.
Ma la cosa più interessante, ai fini di questo articolo, è ciò che Marbodo dice dopo: “dal corallo si traggono gioielli adatti a molte persone, dato che lo si ritiene giovevole a chi lo porta”: infatti, “allontana fulmini, tifoni e tempeste dalla nave, dalla casa o dal corpo, a seconda di dove lo si porti”.
E non è un caso che (se ci fate caso) il corallo sia uno dei materiali che più frequentemente vediamo comparire nei gioielli medievali indossati dalle nobildonne (e dai loro illustri pargoli) nei quadri che fanno bella mostra di sé al museo.
Quella che a noi potrebbe sembrare una credenza superstiziosa (“il corallo allontana i fulmini e preserva dalle malattie”) all’epoca era considerata una vera e propria credenza medica, perfettamente in linea con la scienza ufficiale del tempo: “effettivamente sì, tenere un rametto di corallo a contatto col corpo può prevenire molte malattie”, assicuravano fior fiore di medici tra i più stimati.
Medici tra cui, evidentemente, doveva anche esserci il pediatra di Gesù Bambino, a giudicare dalla significativa quantità di dipinti in cui il divino pargoletto è ritratto proprio così: con un rametto di corallo al collo.
Ma qual era il problema di salute di cui soffriva il divino infante? O quantomeno: qual era la malattia che la Vergine voleva risparmiargli ad ogni costo?
Presto detto: se la Sacra Famiglia era allineata agli usi e costumi della famiglia-media medievale, possiamo agilmente presumere che, quando posava per i pittori con un ramoscello di corallo al collo, Gesù Bambino fosse alle prese coi fastidi della dentizione. La Vergine voleva risparmiargli il fastidio della febbre – e, più genericamente, preservarlo da tutte le malattie tipiche dell’infanzia.
Far indossare al bambino accessori di colore rosso aveva un valore preventivo: si riteneva che oggetti di questo colore, a contatto con il corpo, potessero preservarlo dalle emorragie, da tutte quelle malattie esantematiche che causano eruzioni rosse sulla cute e, più genericamente, anche dalle vampate di calore causate da un febbrone da cavallo. Di nuovo debbo ripetermi: sarebbe scorretto definirla una superstizione. Era una teoria ritenuta valida, o quantomeno plausibile, anche dagli scienziati e dalla classe medica. Persino il celebre chirurgo Henri de Mondeville, non esattamente un credulone avvezzo a dar credito alle ciarle delle contadine, riteneva che vi fosse del vero in questa teoria: in base al principio per il cui il simile scaccia il simile, suggeriva di avvolgere i bambini in panni rossi almeno nella fase acuta della malattia e non disdegnava neppure l’idea di modificare la loro dieta introducendo nelle loro pappe cibi di colore rosso, come ad esempio lenticchie e zafferano.
E le famiglie più benestanti non esitavano a prendere alla lettera questo suggerimento. Osserva Chiara Frugoni nel suo bellissimo Vivere nel Medioevo: “il neonato fin da subito dichiarava con l’abbigliamento la classe sociale di appartenenza: fasce di canapa, dunque di colore scuro, se nato in una famiglia povera, bianche e rosse o del tutto rosse se nato in una famiglia aristocratica. A volte un ulteriore telo rosso avvolgeva da ultimo il neonato”.
Quando vediamo in un quadro un Gesù Bambino medievale avvolto di panni rossi, la facciamo un po’ troppo facile nell’affermare che il pargoletto è rappresentato così in omaggio alla sua regalità celeste. Certamente vi è anche questa simbologia, che si associava però a una realtà molto più “terra a terra”: ogni madre medievale avrebbe volentieri avvolto il figlio in una tunichetta rossa, se le sue disponibilità economiche le avessero consentito di sostenere la spesa per procurarsi quella stoffa pregiata.
Maria e Giuseppe, evidentemente, avevano un buon conto in banca: o così almeno credevano i pittori medievali.
Che infatti non si contentano di vestire di panni rossi il divino pargoletto, ma lo viziano con un lusso ancora più costoso: gli appendono al collo dei rametti di corallo, come da migliore tradizione nelle famiglie aristocratiche. Talvolta, infilano nella stessa collanina anche dei denti di lupo, un altro elemento tradizionalmente utilizzato al fine di agevolare la dentizione, giusto al fine di rendere chiaro qual era effettivamente il disturbo del bimbetto in quel momento. Sì, perché se indossare oggetti di colore rosso era una panacea per tutti i mali, si riteneva che il corallo (nato, secondo il mito, dal sangue sgorgato dal collo di Medusa dopo la sua decapitazione) garantisse una protezione particolarmente forte contro tutte quelle patologie che interessavano la testa.
E va da sé: nel caso di un infante, è chiaro che sono i dentini in crescita a essere la più frequente fonte di fastidio nella zona di cui stiamo parlando.
Nel suo Growing Up in the Middle Ages, Paul Newman si prende la briga di passare in rassegna degli inventari di beni posseduti da neonati italiani del XV secolo, redatti prima che il bambino abbandonasse (con tutto il suo corredino) la casa di famiglia per essere mandato a balia fuori dalla sua abitazione. Dall’analisi di queste carte, emerge evidente che ogni famiglia che fosse stata in grado di sostenere la spesa cercava in tutti i modi di procurare al suo figliolo un rametto di corallo: un elemento che infatti ricorre frequentissimamente negli inventari dei piccoletti.
Le carte, tra l’altro, ce ne forniscono anche una descrizione dettagliata: quasi sempre, il corallo era montato su un anellino d’argento dentro al quale si faceva passare un nastrino di stoffa per trasformare il pendente in una collanina, oppure in una sottile fibbia per stringere in vita la tunichetta. Quasi sempre, i coralli erano lavorati fino a renderli perfettamente lisci: un dettaglio importante, anche perché si metteva in conto che il bambino potesse portare alla bocca il suo corallo per utilizzarlo come ciuccio o (per l’appunto) come oggetto da mordicchiare in cerca di sollievo durante la dentizione.
In età moderna, le famiglie più ricche cominciarono a far incastonare il corallo in piccoli sonaglini d’argento, con tanto di campanelle per il divertimento del piccino. Ma ahimè: la credenza non era destinata a durare, ché la rapida evoluzione della scienza medica rese dolorosamente chiaro che il corallo non influisce in alcun modo sulla salute dei bambini e di certo non ha il potere di tener lontane le malattie.
Il rametto rosso da portare al collo o da incastonare nei sonagli sopravvisse ancora un po’ per una questione di gusto estetico: andava di moda, mettiamola così.
Poi, pian piano, anche la moda cambiò, con la mutevolezza che da sempre la contraddistingue. E del corallo anticamente utilizzato ad uso medico non restò che una lontana eco nel cornetto rosso portafortuna che molti Italiani amano ancora portare al collo.
Talvolta, anche le superstizioni apparentemente più insensate hanno una lunga Storia alle loro spalle.
Dolcezze
Aggiungo il mio soldino alla tua storia: mio padre, nato non nel Medioevo, ma nel 1929, ha nelle sue foto da bimbetto nudo una bellissima collana di corallo di Sciacca. Lo so, nonostante la foto sia , ovviamente, in bianco e nero, perché quella collana oggi ce l’ho io. Mia nonna mi raccontò che il corallo era apotropaico. E sì, distingueva i bambini di famiglia agiata.
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Lucia
Ma grazie mille per il tuo soldino!!
Mi dicevano in effetti su Facebook che in alcune famiglie è ancora d’uso anche oggi, regalare gioiellini di corallo ai bambini piccoli, così come tradizione… 🙂
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Angelo Oliboni
Resoconto molto interessante. Complimenti
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Roberta
Qui da noi in Abruzzo passava di madre in figlia,o,con le debite diatribe,da suocera a nuora,la collana di corallo rosso con grani a scalare lisci o sfaccettati,la cui grandezza e lunghezza dipendeva dal patrimonio della famiglia
Era la collana della sposa,della festa,e il chicco centrale,chiamato casco,a volte era grande come una noce
Ho visto purtroppo famiglie litigare e dividere la collana,addirittura fare tagliare il casco per avere parti uguali
I nostri bambini fino a non molti anni fa portavano sul bavaglino la spilletta con i coralli,o anche il braccialettino
Oggi trovi il cornetto,magari un po’ nascosto,ma stai sicuro che c’è
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mariluf
Non c’entra molto con il corallo, ma mi hai fatto ricordare che quando io ero bambina ed ho avuto il morbillo, era usanza schermare le lampade con carta velina rossa, per accelerare l’eruzione e abbreviare così il corso della malattia…Mi pare che il medico non avesse fatto commenti: probabilmente non causava nessun danno. Grazie, ciao!
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Lucia
😰
Uh mamma mia, non causava nessun danno finché il calore della lampadina non incendiava la carta velina, mi vien da dire. A me sembra una cosa pericolosissimissima, mi vien l’ansia solo a pensarci 😅
(Ma io ho un po’ la fissa delle candele incustodite, degli elettrodomestici che si surriscaldano, cose così. E’ anche un po’ una mia fissazione).
Grazie mille per questa testimonianza interessantissima! Non c’entra molto col corallo ma c’entra tantissimo col post, e non avrei mai immaginato!
La zona di questa credenza era il Piemonte, giusto?
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