La vera storia di Karl Kurz, l’eremita ucciso dalla troppa popolarità

AAA eremita part-time cercasi. Con ogni probabilità, avete già letto la notizia del giorno: se siete disoccupati e alla ricerca di un impiego sicuro nel settore pubblico, prendete in considerazione il bando pubblicato dal comune di Saalfelden am Steinernen Meer (Salisburgo) per un posto part-time da eremita.

Titoli richiesti: salda fede cattolica, buona conoscenza del Tedesco (indispensabile per impartire perle di saggezza ai numerosi pellegrini che raggiungono l’eremo ogni giorno), ottima tenuta psicologica… ma soprattutto buone gambe: il più vicino negozio di alimentari dista mezz’ora di cammino e dovrete tornare a casa coi sacchi della spesa superando un dislivello di 300 metri in mezzo ai boschi. In cambio, il comune mette a disposizione un eremo seicentesco senza acqua corrente, senza riscaldamento, senza impianto elettrico, senza segnale telefonico… però con un bel quadro di san Giorgio alle pareti. Si lavora part-time da aprile a novembre (anche perché d’inverno si morirebbe di freddo, non in senso metaforico) e non è previsto alcuno stipendio da parte del comune. Le elemosine dei pellegrini, però, sono numerose. Candidature entro il 15 marzo al parroco di Saalfelden: mi raccomando, giovani, non siate choosy e approfittate dell’occasione!

Questo è suppergiù il contenuto del comunicato stampa diffuso dal comune di Saalfelden. Alcune testate hanno deciso di accompagnarlo con una notizia di colore, giusto per testimoniare che quella di eremita può anche essere una vita avventurosa: narrano le cronache di un eremita di fine anni ’60 che, proprio a Saalfelden, fu coinvolto in una sparatoria nel bel mezzo del suo eremo, mentre stava recitando i vespri.

Oh, gente: capite che questa è roba mia. Una sparatoria in un eremo seicentesco a 1400 metri di altitudine in mezzo ai boschi delle Alpi austriache è materia troppo ghiotta per non suscitare la mia attenzione. Ho voluto capirci di più, ho spulciato di link in link, sono finita su quotidiani d’epoca che ricostruiscono nei dettagli la vicenda… e adesso sono in grado di raccontarvi la storia dell’eremita Karl. Che, credetemi, merita un sacco!

Ritratto fotografico di Karl l'eremita
Ritratto fotografico di Karl, l’eremita

Karl era un commerciante in pensione quando, nel 1967, aveva deciso di concorrere per il posto da eremita nel comune di Saalfelden. Probabilmente lo affascinava la sfida di questo detox totale; sicuramente vedeva l’eremo come una chance per maturare nella fede, assecondando la sua naturale inclinazione alla preghiera e alla vita ritirata.
Due anni più tardi, nell’inverno del 1969, Karl – ormai diventato eremita comunale – decide di far fruttare i suoi mesi lontani dall’eremo dando al mondo testimonianza cristiana. E così accetta di partecipare alla trasmissione televisiva Was bin ich (“Cosa sono io”), che intervista ospiti dalle esperienze di vita fuori dal comune.

Oh, povero Karl. Come si vede che sei un eremita autodidatta e che non hai mai fatto gavetta in un Piccolo Noviziato. Se tu avessi mai ascoltato un maestro dei novizi (…o se tu avessi sfogliato, tipo perché fai l’archivista, le inquietanti storielle con cui un tempo i novizi preadolescenti venivano terrorizzati circa i pericoli del mondo…) avresti saputo benissimo che questo è un grosso, GROSSO sbaglio. Un buon eremita non accetta MAI un’ospitata in televisione.

E invece, ‘sto eremita con la faccia da Babbo Natale che vive sperduto in una capannuccia sul cucuzzolo dei monti va in televisione e, non sorprendentemente, fa immediatamente boom di ascolti. Tutti quanti (dai cattolici hardcore legati alla tradizione, giù giù fino ai fricchettoni hippie alla ricerca di vite alternative) sono conquistati da questo bizzarro personaggio e dai suoi modi affabili e accattivanti. L’estate 1970 vede un decisivo incremento di pellegrini, tutti in fila per scalare il monte fino alla casupola in cui vive il saggio: è probabilmente il periodo di maggior gloria di Saalfelden, mentre su Karl piovono gloria, popolarità, preghiere (…e anche un numero di offerte decisamente più alto del normale).

E veniamo ora al ferale 29 settembre 1970: accomiatati i pellegrini, rimasto solo nel suo eremo, Karl suona l’Ave Maria e poi si chiude in preghiera per recitare i Vespri.
Immaginatevi, vi prego, la bucolica scenetta: il vecchio eremita, la lunga barba bianca, i suoi occhi saggi, il suo saio scuro e liso. Immaginatevi l’eremo seicentesco, il quadro di san Giorgio alle pareti, l’anziano religioso chino sull’inginocchiatoio mentre sussurra piano sul breviario…
…e poi otto colpi di pistola che mancano per un soffio ‘sto povero cristiano.

Un cecchino sta sparando a Karl attraverso la finestra: vetri infranti, proiettili che si conficcano nel legno e rimbalzano sui mattoni, schegge, odore di polvere da sparo e ovviamente urla disperate e sconvolte. Immagino che non sia mai piacevole scoprire che uno sconosciuto ti sta sparando addosso, ma di sicuro non ti aspetti di ritrovarti in mezzo a un film d’azione se sei un eremita che vive sperduto sul cucuzzolo di un monte. Karl, in preda al panico, corre al campanile e comincia a suonare le campane a distesa, continuando così finché una pattuglia della polizia non bussa alla sua porta intuendo che dev’essere successo qualcosa di grave.
Il cecchino ovviamente è introvabile, fuggito chissà dove attraverso i boschi, ma si scopre che ha lasciato una firma. Attraverso la finestra rotta è stato gettato un sasso attorno al quale è avvolto un foglio con un messaggio: “Per adesso solo un avvertimento; in futuro, sarà troppo tardi”.

Oh, gente, giuro che non sto scherzando: sembra la trama di un film di basso livello, ma è tutta Storia con la S maiuscola.

Immaginate con che spirito Karl se ne sia andato a letto quella sera, unico essere umano nel raggio di (parecchie decine di) chilometri, dopo essere stato oggetto di un tentato omicidio e di una esplicita minaccia di morte.
Immaginate con che spirito il pover’uomo prese atto del fatto che, nei giorni successivi, lettere minatorie furono recapitate anche al sindaco di Saalfelden, al parroco del luogo e alla polizia locale. Se, con le autorità laiche, il cecchino si limita a una minaccia di morte, con le autorità religiose tenta per buon conto anche un omicidio “morale”: Karl viene accusato di aver sfruttato l’ondata di popolarità imponendo ai pellegrini un biglietto di 20 scellini per visitare l’eremo. Nei giorni successivi, il religioso perde dieci anni di vita ricevendo lui in persona un’altra lettera minatoria, in cui il cecchino gli preannuncia l’imminente arrivo di “un colpo allo stomaco e due pallottole nel ginocchio”.

Karl è ormai sull’orlo di una crisi di nervi: è stanco, agitato, sospettoso, sempre sul chi va là, ha crisi di panico e scoppi di rabbia incontrollabile; per la prima volta dall’inizio delle indagini, gli inquirenti cominciano ad avere difficoltà nel rapportarsi con lui. I mass media, che avevano (comprensibilmente) seguito questa storia fin dal principio, cominciano a dipingere Karl come una specie di paranoide ripiegato su se stesso. Da pacioso eremita vittima di un criminale, Karl diventa un potenziale sospetto: non è che è tutta una colossale montatura organizzata dal religioso stesso, al solo scopo di far parlare di sé? Del resto, sembra che Karl abbia saputo far fruttare bene la popolarità che aveva guadagnato con quella famosa ospitata TV…

Le minacce continuano, l’opinione pubblica è ormai apertamente schierata contro il mitomane: il 15 ottobre 1970, dopo le due settimane più lunghe della sua intera vita, Karl si presenta sconsolato al comando di polizia di Saalfelden per rilasciare una denuncia. Si auto-accusa di aver inscenato tutto quanto per ottenere popolarità, proprio come i giornalisti avevano intuito, e contestualmente comunica alle autorità locali la sua decisione di lasciare immediatamente l’eremo. Lo abbandona poco dopo, col cuore straziato: l’estremo gesto è tagliarsi la lunga barba da monaco. La sua vita è finita – purtroppo, anche in senso letterale: Karl viene ritrovato morto pochi giorni più tardi, suicida, riverso sulle rotaie del treno.

Fine della storia?

Ma neanche un po’: Karl era appena stato portato al camposanto, che una lettera anonima informava il comando di polizia che l’eremita di Saalfelden si era accusato ingiustamente. Non era lui ad aver inscenato l’agguato e le minacce; e a riprova di ciò che stava affermando, l’anonimo (evidentemente il cecchino stesso) annunciava di aver nascosto otto proiettili nella cappella dell’eremo. Poco ma sicuro, proiettili furono effettivamente rinvenuti negli esatti luoghi indicati dall’informatore.

A quel punto le indagini ripresero con una certa frenesia, anche perché l’intera vicenda
– stava diventando realmente inquietante;
– e pure imbarazzante per le forze dell’ordine;
– aveva già prodotto un morto;
– perdipiù innocente;
– perdipiù suicida;
– e soprattutto non si vedeva una fine a questa drammatica catena di eventi.

Sguainando una vera e propria task force, le forze dell’ordine riuscirono (dopo sette anni di indagini, dicasi sette anni) a risalire a un potenziale sospetto. Si trattava di un piccolo criminale del luogo che – a quanto si scoprì con un certo shock durante le indagini – si era candidato, anni prima, come eremita, ma era stato rifiutato a causa dei suoi trascorsi penali. Al posto suo, era stato scelto proprio Karl: un rifiuto che il criminale non aveva mai buttato giù e che lo aveva fatto ribollire di rabbia nel momento in cui l’eremita aveva raggiunto popolarità nazionale grazie alla famosa comparsata in TV.

E Karl?
Il povero vecchietto, con ogni evidenza, non aveva retto alla tensione psicologica e aveva deciso di farla finita. ‘Basta, confessiamo tutto: diciamo ai giornalisti che hanno ragione loro e che io sono un mitomane alla ricerca di attenzioni, così finalmente mi lasceranno in pace. Che si chiuda il sipario su questa storia’ avrà probabilmente pensato, prima di rilasciare la sua falsa confessione. Prima di togliersi la vita.

Karl in una sua rara fotografia su Internet (e con watermark: teniamocela così...)
Karl in una sua rara fotografia su Internet (con watermark: teniamocela così…)

(Gente, magari penserete che mi sono inventata tutto… ma invece giuro che è la pura verità! Davvero!)

14 risposte a "La vera storia di Karl Kurz, l’eremita ucciso dalla troppa popolarità"

    1. Lucia

      …non un granché, credo, nel senso che ha confessato il crimine a inizio ’77 ed è morto nell’80. Non so quanti anni avesse all’epoca dei fatti e non so nemmeno se sia stato in prigione in quei tre anni, ma… sarebbe comunque stato breve.

      Che storia, sì, sembra uscita da una puntata di Black Mirror, per chi conosce la serie… 😶

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    1. Lucia

      L’ultimo se ne è andato via lo scorso novembre dopo solo un anno di prova, dicendo che lì non è vita ed è pieno di pellegrini caciaroni che vengono su e ti bussano alla porta tutti sudati dopo l’escursione e vogliono far parole con te e pretendono consigli, e non è vita per un eremita con tutta ‘sta gente che viene a rompere le scatole, peggio che stare sulla metro A all’ora di punta in un giorno di blocco totale della circolazione.
      LOL 😀

      A parte le reprimende dell’ultimo, che è andato a fare l’eremita in un posto più ritirato, gli altri, sì, hanno avuto vita più tranquilla 😉

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  1. marinz

    Bellissimo racconto anche se molto triste… da giallista avevo immagino che fosse qualcuno che voleva prendere il suo posto non uno che era stato rifiutato 😛

    Ma quindi ogni anno c’è un bando per partecipare? Immagino però che uno diventato eremita poi lo sai per alcuni anni

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    1. Lucia

      C’è un bando tutte le volte che si libera il posto: come dicevo sopra, l’ultimo eremita se n’è andato a novembre e adesso il comune deve trovarne un altro. Ma in teoria, una volta che diventi Eremita Comunale, sei assunto a tempo indeterminato. In epoca recente c’è stato l’eremita Richard che ha occupato la chiesetta per qualcosa tipo dieci anni.
      L’ultimo, come dicevo sopra, è rimasto solo un anno, rassegnando poi le dimissioni a causa della vita troppo caotica in quello specifico eremo (ma LOL!!)

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      1. Lucia

        Ma in effetti citando tua moglie dici una cosa a cui ho pensato anch’io.
        Pare che il comune negli ultimi anni stia avendo crescenti difficoltà a trovare eremiti di ricambio tutte le volte che il posto rimane vacante, e in effetti lo capisco: le condizioni di vita sono davvero estreme (non tanto per la solitudine ma proprio per le difficoltà logistiche, es. dover attraversare i boschi anche solo per arrivare al pozzo d’acqua), e posso ben immaginare che per un uomo solo possa essere troppo.
        Ma a giudicare dalle foto, l’edificio è enorme, e sembra decisamente in grado di ospitare una piccola comunità (tipo marito e moglie, o un piccolo gruppetto di eremiti che però si danno man forte vivendo assieme e aiutandosi nelle incombenze pratiche).

        Chissà se non ci hanno mai pensato.
        Si aprissero a piccole comunità di due-tre eremiti secondo me avrebbero più candidature.
        Forse ci tengono ad avere un eremita-eremita completamente solo 😐

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      2. alegenoa

        Eddai… un conto è andare a trovare un eremita che vive in condizioni estreme, altro sarebbe farsi una scampagnata e incontrare una famigliola che vive in montagna… si metterebbero a parlare del più e del meno…

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      3. Lucia

        Beh, io farei molta fatica a definire “famigliola che vive in montagna” una coppia marito-e-moglie che vive in un eremo a 1400 mt di altezza in mezzo al nulla, in condizioni un po’ meno estreme dell’eremita single solo per il fatto che se ti piglia un colpo c’è qualcun altro che se ne accorge.
        E anzi io credo che le conversazioni da fare con questa coppia di “sposi eremiti” potrebbero anche essere di grande spessore, perché immagino che il matrimonio appaia sotto una luce tutta nuova, se lo si vive così in certi contesti. Secondo me potrebbe essere una interessante variazione sul tema, foriera di non pochi frutti spirituali.

        Invece se parliamo di generiche abbazie / pievi / etc. affidate a famiglie, capisco cosa intendi. Vero che in qualche modo certe strutture si devono mantenere, però penso che davvero in certi casi si rischi l’effetto “cascina in campagna”.

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  2. marinz

    Però eremita-eremita part-time… cioè sei eremita solo quando sei là… magari in futuro si apriranno … conosco famiglie che hanno preso in carico un santuario per alcuni anni (a Cernusco sul Naviglio) se non ci sono “vocazioni” alcune strutture devono essere gestite in qualche modo

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    1. Lucia

      Più che altro perché in posti simili essere in due (o più) aiuterebbe anche. Se le condizioni di vita sono troppo estreme per un unico signore magari già anziano (sali e scendi dal bosco anche solo per andare a prender l’acqua al pozzo), essere in due può già essere utile per alternarsi nelle incombenze pratiche.

      Chissà dove alloggia l’eremita per i mesi in cui non può stare nell’eremo, peraltro! Mantenere una casa propria, ma disabitata per mesi, solo perché d’estate ti va di fare l’anacoreta senza stipendio, non è nemmeno per tutti… 🙂

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