La sorprendente storia del mezzaro: dall’India alla Liguria, la mantilla genovese

Una delle cose che mi riprometto di fare, prima o poi nella vita, è andare a Genova, prendermi il tempo per passeggiare con calma tra le vie della città, entrare in un bel negozio e infine comprarmi un mezzaro (con l’accento sulla E).

Cosa sia un mezzaro, i Genovesi in linea lo sanno bene; e se mi conoscono un pochino, forse sanno anche immaginare come mai mi intrighi tanto.
Lascio la parola a Wikipedia, per spiegare che

Il mezzaro o mèere o mèero è un grande quadrato di stoffa in cotone o lino riccamente stampato principalmente con fantasiosi disegni di alberi […] e fiori, con cui le donne liguri si drappeggiavano già nel Duecento.

E che a me – notoriamente appassionata di veli in tutte le salse – piaccia l’idea di un velo così antico nella tradizione ligure, già di per sé, “ci sta”.
Ma la cosa veramente intrigante del mezzaro, a dirla tutta, è un’altra. E sta in quel dettaglio che potrebbe anche esservi sfuggito: “è un grande quadrato di stoffa in cotone o lino, riccamente stampato”.
Non è mica ‘na roba normale vedere della stoffa stampata addosso a una donna del Duecento. In Europa, era virtualmente inesistente la stampa su tessuto: se volevi decorare uno scampolo di stoffa, lo ricamavi, oppure lo tessevi con fili di colore diverso. Ma la stampa su stoffa, signori miei, proprio no. Il primo laboratorio di stampa su tessuto in Occidente apre in Inghilterra verso la fine del ‘600, sicché è davvero incredibile pensare a un capo d’abbigliamento della tradizione ligure medievale (!) che presenta delle caratteristiche di produzione sostanzialmente sconosciute al resto del mondo.
Eppure è così, e anche questo ci dice molto sulla grandezza della città che giustamente s’appella “La Superba”.

Torniamo indietro di un passo: stampa su tessuto. Abbiamo detto che si trattava di una tecnica virtualmente sconosciuta all’Occidente medievale. Non è nemmeno del tutto vero: intorno al Duecento, qualche tentativo era stato fatto nell’area renana, e, verso la metà del Quattrocento, il pittore toscano Cennino Cennini pubblicava un trattato sulla metodologia per stampare su tessuto. Certo è che la moda non prende piede; peraltro, i disegni su stoffa stampati in Europa hanno il brutto difetto di non fissarsi bene sul tessuto: perdono colore, diventano opachi, ‘nsomma, manca il know-how.

Il know-how, invece, ce l’hanno gli Orientali. Il più antico esemplare di stoffa stampata risale al 220 a.C. e viene rinvenuto in Cina, ma, più genericamente, possiamo dire che in tutta l’area circostante erano state sviluppate delle tecniche efficaci per stampare su tessuto. Lo si faceva, sostanzialmente, utilizzando dei timbrini in legno, che, imbevuti del pigmento colorato, venivano posti a contatto con la stoffa. Naturalmente, la qualità del disegno dipendeva dalla perizia e dalla pazienza di quello che preparava il timbro: poteva trattarsi di semplici motivi geometrici monocolori, così come di elaborati disegni ricchi di intrecci da stampare in tonalità variopinte: vere e proprie opere d’arte.

Naturalmente, le seconde erano le più lussuose e le più ricercate.
Ricercate, soprattutto, dagli attoniti Europei, che mai avevano visto qualcosa di simile nelle loro botteghe e non riuscivano proprio a resistere al fascino di certi tessuti così incredibilmente splendidi.

Genova, fin dal pieno Medioevo al centro delle rotte commerciali con l’Oriente, è forse tra le prime città italiane a conoscere questo tipo di tessuti. Li ama, li fa propri, arriva persino a storpiarne il nome: “mezzaro” è una goffa italianizzazione del termine arabo “mizar”, col significato di “coprire”, “nascondere”. Il mezzaro, in effetti, è un ampio velo che viene per l’appunto utilizzato per coprire… qualcosa o qualcuno. Inizialmente, comincia a spopolare all’interno delle case genovesi, con la funzione che oggi diremmo “di copridivano”. Ma, pian piano, la variopinta stoffa colorata conquista il cuore delle donne genovesi al punto tale da indurle a volerlo sfoggiare anche in luogo pubblico. Nascono così dei mezzari particolarmente ricercati fatti di cotone leggero o seta. Le genovesi ci si avvolgono dentro in modo non dissimile a quello in cui le spagnole si avvolgono nelle loro mantillas – davvero: con tanto di pettinino e spilloni per tenere sollevata sul capo la stoffa, esattamente come per le peinetas sivigliane. Insomma: in breve tempo, i mezzari diventano il must-have di tutte le dame della Genova-bene, che orgogliosamente sfoggiano nelle strade il loro variopinto velo floreale.

Cittadina di Genova

Tra il Cinque- e il Seicento, la moda del mezzaro fa boom. L’enorme espansione economica di Genova, i frequenti scali in porto delle navi della Compagnia delle Indie, e infine la fondazione di una Compagnia Genovese delle Indie Orientali nata per poter commerciare più liberamente con l’Estremo Oriente, rendono più agevole l’approvvigionamento di questi quadrati di arte tessile. Nel 1690, nasce il primo atelier di mezzari prodotti direttamente su suolo genovese; ne seguiranno, presto, molti altri. Inizialmente sono gestiti da mercati stranieri immigrati in Italia per cercar fortuna, e ben contenti di tenere viva la tradizione delle loro terre. Ma poi, pian piano, anche i Liguri doc si approprieranno di questa arte, diventata ormai genovese a tutti gli effetti.

Mezzaro

“Vecchia con mezzaro”, Luigi Gainotti, fine sec. XIX

Come per tutti i capi legati alla moda, anche i mezzari seguono un trend ben preciso. Le stampe ripropongono motivi ricorrenti (certo: declinati in modo diverso a seconda del singolo artigiano e stampatore). Di norma, i mezzari presentano un bordo laterale che funge da cornice al campo centrale; di norma, in esso si trovano ricchi motivi a tema floreale, che circondano un elemento pressoché immancabile: un glorioso Albero della Vita.

Come per tutti i capi legati alla moda, anche i mezzari seguono un trend ben preciso. Non è una ripetizione del paragrafo precedente, è che i trend sono più di uno, e quello di cui parlo adesso è uno dei più spietati: man mano che il modello si diffonde, man mano che il prezzo del prodotto cala (e così è, tutto sommato, per i nuovi mezzari made in Genova, più economici e soprattutto privi di quel fascino da lontano oriente) il prodotto comincia ad essere considerato sempre meno stiloso. Se, fino a tutto il Settecento, il mezzaro genovese era il must di tutte le donne della classe alta, nel corso dell’Ottocento comincia a cadere in disgrazia presso le dame dell’aristocrazia. Contemporaneamente, il mezzaro low cost fa la sua comparsa sulle teste delle donne popolane, utilizzato non tanto come elemento iconico e fine a se stesso, quantopiù come scialle per proteggersi dal freddo e come velo per ripararsi dal sole. Anche i disegni si semplificano, un po’ per contenere i costi e un po’ per venire incontro ai gusti semplici del popolino: i raffinati arabeschi floreali lasciano il posto a immaginali di animali, talora caricaturali; fiori e alberi compaiono ancora, sì… ma è tutta un’altra storia, rispetto alla gloria dei secoli passati.

…e poi, naturalmente, gli anni passano, le mode mutano. Se, ancora durante il Ventennio, gli scatti dell’Istituto Luce immortalano donne adornate col mezzaro in certe manifestazioni, come segno di ritorno alle radici, è, banalmente, il cambiamento dei costumi a decretarne l’inesorabile declino. Le donne lasciano nei cassetti i loro vecchi ‘fazzoletti da testa’ e cominciano a coprirsi il capo con il nuovo must del momento: i cappelli. Poi sarà l’era dei foulard alla francese, e poi sarà l’era in cui i capelli nudi delle donne si mostreranno al mondo in tutta la loro bellezza, senza più copricapi a celarli. E insomma: il mezzaro, inevitabilmente, passa di moda, e forse sarebbe ormai caduto nell’oblio se alcuni coraggiosi imprenditori genovesi non avessero tentato, negli ultimi anni, un recupero di questa bella tradizione cittadina.

Un recupero di grande stile, devo dire. Sì, perché il mezzaro ritorna oggi a quello che era in origine: una vera e propria opera d’arte stampata su stoffa, che solo per un caso fortuito si presta anche ad essere usata nella vita quotidiana. E così, con l’appoggio dei più grandi artisti genovesi (un nome tra tutti: Emanuele Luzzati) vedono la luce i mezzari del Duemila: veri e propri quadri su stoffa creati per celebrare – in vario modo, secondo l’inclinazione e i gusti dell’artista – la città di Genova, e la sua Storia. Come diavolo si possano usare oggi nella vita quotidiana, francamente non è chiaro, anche se le loro stesse misure (singolo/matrimoniale) ne suggeriscono un utilizzo come copriletto. E, giuro, prima o poi faccio una follia e mi tolgo lo sfizio di comprarne uno. Sul mio letto, ci starà benissimo!

Fedeli alla tradizione antica e ai topos iconografici dei vecchi mezzari indiani, anche questi mezzari d’artista ripropongono, glorioso, al centro dell’immagine, un superbo Albero della Vita. C’è Genova, maestosa nella sua quiete e fervente nella sua laboriosità, e poi, nel bel mezzo, in posizione dominante, c’è lui: glorioso, l’Albero della Vita, con le radici che affondano in terra e con i rami che svettano verso il cielo, pieni di quei germogli di vita nuova dopo l’inverno, a primavera.

Genova tutta la vita Luzzati

Click sull’immagine per vedere il cortometraggio “Genova, Sinfonia della Città” con cui Luzzati celebra la sua casa (e a cui s’è dichiaramente ispirato per questa opera)

Quella che vedete qua sopra – la Genova del mezzaro di Luzzati – è stata una delle prime immagini che m’è venuta in mente (credeteci o no) quando ho acceso il telegiornale, e, sapendo, mi si è stretto il cuore. Anche perché, quando avremo finito di piangere le vittime di una morte assurda, sarà il momento di cominciare a parlare di quello che attende Genova nei prossimi mesi e anni. I primi articoli sul tema descrivono situazioni (letteralmente) da dopoguerra; su Facebook, fanno una pena infinita certi musei genovesi che ho amato, tutti presi a lanciare il disperato hashtag #VeniteaGenova, perché, se la gente smette di andarci, allora sì che disastro se ne aggiunge un altro.

Ecco: il mio augurio è che Genova possa rifiorire così, come l’Albero della Vita raffigurato nei suoi mezzari: che può anche sembrare malato e in agonia nelle lunghe notti invernali in cui è spoglio.. ma che rinasce a vita nuova in primavera. Più bello di prima, più forte di prima.

Enrico Musenich Roma 1962 Giovane donna col mezzaro delle rose

“Giovane donna col mezzaro delle rose”, Enrico Musenich, 1962

2 risposte a "La sorprendente storia del mezzaro: dall’India alla Liguria, la mantilla genovese"

  1. alegenoa

    Non avevo mai sentito del mezzaro, pur essendo genovese… moderatamente interessante per un maschio.

    Quanto al ponte, ti dico questo: il simbolo delle Autostrade http://2.citynews-udinetoday.stgy.ovh/~media/original-hi/15020677347316/autostrada_simbolo_cartello-2.jpg
    …beh, per me rappresentava il Ponte Morandi. Solo tipo dopo 30 anni, a memoria mia, mi sono accorto che rappresenta un sovrappasso. E ancora adesso ci vedo un pilone di quel ponte, è più forte di me. Era una presenza talmente iconica che è stato un vero shock, al di là delle morti

    "Mi piace"

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