Nel bel mezzo della primavera più piovosa di cui l’umanità abbia memoria, mi trovavo a sfogliare le pagine di un libro dedicato ai santi patroni del giardinaggio, quand’ecco mi sono imbattuta in una notiziola che mi ha fatto strabuzzare gli occhi. Se la pioggia vi sta facendo marcire i raccolti e avete bisogno di qualche giorno di sereno: giardinieri e cittadini di tutto il mondo unitevi, e invocate in preghiera santa Chiara!
Sì, santa Chiara, quella di Assisi. Quella che noi Italiani, tutt’al più, consideriamo la patrona della televisione… e forse nemmeno, ché molte volte, quando i santi sono così famosi, la devozione popolare tende istintivamente a preservarli dal ruolo settoriale di “santo patrono della tal cosuccia”.
All’estero, evidentemente, la gente si fa meno problemi – e così, la gente ha affibbiato a santa Chiara il ruolo di santa da invocarsi per ottenere il bel tempo. Questo convincimento è diffuso un po’ in tutte le aree del mondo che hanno vissuto, nel corso dei secoli, una dominazione spagnola: qualche traccia l’ho trovata nelle testimonianze di blogger dell’America Latina, ma pare che siano le Filippine la terra in cui la credenza è più radicata. Probabilmente, la chiave del busillis sta proprio in un dettaglio legato alla lingua spagnola: in Castigliano, clara è il termine che si usa per indicare un breve periodo di bel tempo che si inframmezza a giorni piovosi.
Come spesso accade, dall’assonanza dei nomi nasce una devozione; in fin dei conti, è la stessa cosa accaduta a Lucia di Siracusa (che, agiografia alla mano, non ha assolutamente nulla a che vedere con gli occhi ma è diventata patrona della vista grazie al suo nome “luminoso”).
E dunque non c’è da stupirsi che Clara, nei paesi di tradizione spagnola, sia divenuta la santa da invocarsi per ottenere una clara, cioè una schiarita. E, per la stessa ragione, è piuttosto comprensibile la devozione ispanica di offrire a Clara, per ottenere una clara, un congruo numero di… claras.
Cioè, di uova. (O, per meglio dire, di bianchi d’uovo, in lingua spagnola. Ma Chiara non è schizzinosa, e, per comodità, accetta pure il tuorlo).
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Se provate a cercare su Google qualcosa tipo “eggs st. Claire”, vi troverete davanti a centinaia di risultati, ivi comprese suggestive immagini come questa: venditori ambulanti che smerciano uova di fronte ai santuari francescani, allo stesso modo in cui in Italia venderebbero collanine con il tau.
La devozione deve avere origini così antiche da perdersi nella memoria popolare: alcuni parlano di una fantomatica famiglia nobiliare che, invocando la fine delle piogge, avrebbe deciso di offrire in dono a un monastero di clarisse un carico di uova, sperando di guadagnarsi così l’attenzione celeste; cosa che in effetti fu. Altre versioni sostengono che, nei secoli passati, le uova fossero un dono molto gradito dalle suore di clausura, che potevano utilizzarle come cibo nutriente e a lunga durata. Altri, semplicemente, si limitano a scrollare la testa ammettendo di non avere idea da dove nasca questa devozione popolare; devozione che a tratte assume addirittura i connotati di superstizione, tanto che in questa intervista a una ex-clarissa filippina il giornalista deve prendersi la briga di chiedere “quindi mi conferma che le suore non hanno alcun potere sulle condizioni atmosferiche?”.
Per la cronaca, la tradizione vuole che le uova da portare in dono alla santa debbano necessariamente essere in numero di dodici e che, al bisogno, possano essere utili anche per portare una metaforica schiarita nella mente di chi si arrovella sul modo migliore per affrontare un problema.
In questo caso, le uova andrebbero tinte con un colore diverso a seconda del settore per cui si invoca un chiarimento. Blu, se si sta per sostenere un esame o una prova difficile; verde, se il cruccio è di natura finanziaria; rosso, se manca il coraggio per fare un grande passo; rosa, se il problema è di natura sentimentale; arancio, se il grattacapo nasce al lavoro.
E poi restano sempre valide le uova al naturale, che, salvo diversa indicazione cromatica, promettono appunto di far cessare le piogge.
Che dite, sarà il caso di provare?
Mal che vada non funziona, ma il parroco potrà mangiarsi una frittata grazie alla nostra disperazio creduloneria.
Eva
In Spagna è molto comune portare uova alle clarisse in particolare perché ci sia bel tempo nel giorno del matrimonio.
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Lucia
Vedi!!
Che belle queste tradizioni, e anche il modo in cui attorno ai santi si modellano usanze sempre diverse da luogo a luogo 🙂
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Laurie
Tentar non nuoce… ci sto! Propongo però di tingere di azzurro cielo: giusto per chiarire (!!) meglio il concetto, ho ancora dei colori che mi avanzano da Pasqua (perché anche dalle mie parti si usa da sempre decorare le uova) 🌞🌞🌞
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Lucia
No no no no.
Io non rischio. No no! Questa cosa di colorarle d’azzurro mi sembra un azzardo.
Poi Santa Chiara, che secondo me c’ha già le idee confuse se si vede arrivare uova da gente italiana, perde tempo a cercare su Google cosa vuol dire ‘sto uovo tinto d’azzurro e intanto a noi quaggiù escono le branchie.
Io mi attengo alla versione standard con uova al naturale, hai visto mai!
😉
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Laurie
in effetti… meglio non rischiare! ma, forse, anche senza uova santa Chiara ci ascolta: il rischio branchie almeno dalle mie parti diminuisce un pochino (ma non voglio dirlo troppo forte!) 🙂
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blogdibarbara
Averlo saputo quell’anno, quando stavo in Alto Adige, che è piovuto – intendo dire tutti i giorni tutto il giorno – tutto aprile, tutto maggio, tutto giugno, tutto luglio, tutto agosto, venti giorni a settembre e quindici a ottobre.
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