In queste settimane, molte testate online hanno ricordato come sia stata l’Italia – Venezia in particolar modo – a inventare le quarantene.
C’è, però, un dettaglio che non mi pare di aver letto. E cioè: l’Italia settentrionale ha inventato le quarantene, ma non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo. Le ha detto bene, ma è stata pura fortuna. Come spesso accade per la Scienza, convinzioni sbagliate hanno portato a una scoperta giusta.
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Oggigiorno, noi lo diamo (fin troppo) per scontato. Se una malattia è contagiosa, vuol dire che l’infezione si trasmette attraverso il contatto tra un individuo sano e uno ammalato. Tutt’al più, accettiamo l’idea che la malattia possa trasmettersi anche attraverso contatti indiretti, toh.
Occorre un serio sforzo, a noi uomini moderni, per riuscire ad entrare nella forma mentis dei nostri trisavoli – quelli che non avevano la più pallida idea di cosa fosse un virus e dunque aderivano alla teoria scientifica comunemente accettata a quell’epoca. E cioè, la teoria dei miasmi.
Wikipedia la definisce efficacemente come “una teoria diffusa in campo medico che spiegava l’origine delle malattie infettive attraverso la diffusione nell’aria dei cosiddetti miasmi e delle particelle velenose che provenivano da essi” – particelle che, “per la loro natura ‘appiccicaticcia’, potevano attaccare l’uomo”.
E quando parlo di miasmi, parlo proprio di miasmi: immaginatevi delle zaffate di aria velenosa che si generavano dalle fogne, dalle acque stagnanti o da sostanze marce o ammuffite che venivano conservate in luoghi non areati.
In fin dei conti, quando esplode una epidemia, essa tende a colpire più duramente quelle periferie povere e affamate nelle quali, effettivamente, la muffa, il tanfo e la sporcizia la fanno da padroni. Secondariamente, è anche vero che spesso i malati non hanno un buon odore: può capitare che l’alito si faccia pesante; il vomito e il pus non sono certo profumati.
Insomma: per folle che possa sembrare, gli uomini del Medioevo si erano guardati attorno e avevano fatto due più due, sbagliando i conti. Le malattie – si erano detti – sono probabilmente causate da miasmi fetidi che si liberano nell’aria, si posano sulle vesti, da lì penetrano nei corpi… e, una volta entrati, se ne impossessano.
Ora: capite bene che serve già una buona dose di fortuna per riuscire a imporre una profilassi efficace se la tua idea di contagio è così esotica.
Evidentemente, i Veneziani avevano una gran fortuna.
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Parlo di “Veneziani”, ma sono ingenerosa: a dire il vero, misure di profilassi sostanzialmente analoghe furono adottate, più o meno nello stesso periodo, da numerose città dell’Italia settentrionale: Milano, Firenze e Genova fra tutte. E Venezia, naturalmente.
Siamo nel 1348: l’epidemia di peste divampa incontrollata.
Nel disperato tentativo di contenerla (e, soprattutto, di essere baluardo capace di arrestarne l’avanzata verso il Nord Europa), le grandi città dell’Italia settentrionale istituiscono la carica che diverrà nota come Magistrato della Salute. Al grido di Salus popoli suprema lex esto, le vengono conferiti pieni poteri legislativi, esecutivi e giudiziari.
In ordine cronologico, fu Milano la prima città ad imporre norme draconiane – tra cui la quarantena – per il contenimento dell’epidemia. Se è stata Venezia a passare alla Storia come “la città che ha inventato la quarantena”, ciò dipende unicamente dal fatto che i suoi Magistrati della Salute erano tipi molto energici e decisi. Passatemela: erano un po’ i De Luca della situazione.
Esattamente come avevano già fatto (o stavano per fare) i loro colleghi d’altre zone, i magistrati veneziani stilarono un protocollo che cercava di proteggere la città dal contagio attraverso tre strumenti diversi: lazzaretti, quarantene e cordoni sanitari. Come osserva Frank Snowden nel suo Epidemics and Society, i vari magistrati
andarono a tentoni, prendendo provvedimenti che talvolta erano estremi, spesso comportavano uno spreco inutile di risorse e non di rado erano controproducenti. Tuttavia, entro la fine del diciottesimo secolo, il cammino che avevano intrapreso portò alla prima grande vittoria dell’umanità contro una epidemia.
Dagli e dagli, erano riusciti a contenere (prima) e debellare (poi) la peste bubbonica. Mica poco.
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Accantoniamo per il momento la questione dei cordoni sanitari, che pure sarebbe meritevole di approfondimento, se non altro per le inquietanti somiglianze tra la vita delle povere sentinelle ai confini e quella dei guardiani della notte nei romanzi di George Martin.
Focalizziamoci piuttosto sui lazzaretti e sulle quarantene, due elementi strettissimamente collegati tra di loro. Anche perché – sarà bene chiarirlo subito – il lazzaretto non è, NON È, il luogo in cui rinchiudere gli individui malati.
In caso di emergenza, certamente, può diventarlo. Ma, se lo diventa, vuol dire che qualcosa è andato storto – perché il lazzaretto, in sé e per sé, è la struttura adibita per far trascorrere la quarantena a chi, auspicabilmente sano, chiede di entrare in città. Puro e semplice.
Prendiamo il caso di Venezia – città nella quale la maggior parte degli stranieri arrivava a bordo di una nave carica di merci.
Ebbene: le navi che giungevano da aree considerate a rischio non avevano il permesso di attraccare in porto. Al contrario, erano indirizzate verso l’isola, al largo di Venezia, nella quale era stato edificato un lazzaretto. Lì, i marinai venivano fatti sbarcare e ospitati in apposita struttura… mentre, tutt’attorno alla loro nave, avevano luogo le operazioni veramente importanti per contenere l’epidemia. (Ehm).
In concreto: tutte le merci venivano scaricate, ispezionate, stese al sole all’aria aperta e sottoposte quotidianamente a fumigazione. Subivano lo stesso trattamento gli abiti e gli effetti personali dell’equipaggio: di fatto, la prevenzione di una epidemia si concretizzava in centinaia di abiti stesi al sole e casse e casse di merce di ogni tipo che venivano fumigate a intervalli regolari sulle spiagge veneziane.
Paradossalmente, gli esseri umani tendevano ad essere guardati con minor sospetto. Nessuno, all’epoca, aveva familiarità con il concetto di “tempo di incubazione”. Non tutti i lazzaretti furono rapidi nell’introdurre l’obbligo di isolamento per gli uomini, ad esempio tenendo separati i vari equipaggi che si fossero trovati a fare la quarantena sulla stessa isola. Paradossalmente, in tempi di epidemia, gli ambienti poco areati e gli oggetti venuti a contatto coi malati facevano ancor più paura dei potenziali malati stessi.
In tutto ciò, sorgeva un piccolo problema (a parte il fatto che i Magistrati della Sanità facessero cose insensate, intendo).
Il piccolo problema è il seguente: come forse avrete avuto modo di notare, le persone tendono a non gradire particolarmente l’idea di sottoporsi a quarantena.
Chi è sano, e continua a essere sano, dopo qualche giorno comincia a lamentarsi assicurando di sentirsi perfettamente bene.
Chiunque abbia bisogno di uno stipendio mensile per comprarsi il pane mostra d’essere tendenzialmente riottoso all’idea di starsene forzatamente fermo per settimane mentre un tizio gli affumica gli strumenti di lavoro. Chi ha la (s)ventura di essere un imprenditore, che deve guadagnare per pagare gli stipendi, trova ancor più illogica la situazione: “le mie merci non emettono miasmi, e quanto all’equipaggio avrebbe solo bisogno di una doccia!”.
Peggio ancora, la comunità medica non aveva una idea precisa su quanto dovesse durare questo periodo di fumigazioni all’aria aperta, per essere efficace. Il che è un problema: se stai creando danni economici a qualcuno, privandolo oltretutto delle sue libertà personali, sarebbe quantomeno utile avere una autorità suprema alla quale appellarsi per evitare la rivolta.
La scienza medica, con ogni evidenza, non sembrava in grado di poter svolgere questo ruolo in modo efficace.
E allora, i Magistrati della Salute a chi s’affidarono?
Oh beh: alla Bibbia. Alla religione.
Non prendetemi per scema: non me lo sto inventando. La durata della quarantena fu fissata a quaranta giorni non perché lo avessero suggerito i medici, non perché si stava tenendo conto della durata media di un ciclo di incubazione.
No: la durata della quarantena fu fissata a quaranta giorni per analogia con la durata di una quaresima. Come a dire: se quaranta giorni bastano a ripulire l’anima, è ragionevole presumere che possano essere sufficienti anche per purificare corpi e oggetti infetti.
Frank Snowden mi aiuta a dire l’ovvio nel sottolineare che la durata della quarantena era inoltre
basata sulle Sacre Scritture: nell’Antico così come nel Nuovo Testamento sono frequenti i riferimenti al numero quaranta in un contesto di purificazione: i quaranta giorni e le quaranta notti di diluvio nella Genesi, i quarant’anni passati dagli Israeliti nel deserto, i quaranta giorni che Mosè trascorse sul monte Sinai prima di ricevere i dieci comandamenti, i quaranta giorni delle tentazioni di Cristo, i quaranta giorni che Cristo trascorse coi discepoli dopo la resurrezione, i quaranta giorni di Quaresima.
Rafforzata da queste osservazioni scritturali, prendeva forma la convinzione che quaranta giorni sarebbero stati sufficienti per purificare lo scafo di una nave, i corpi dei suoi passeggeri e la merce trasportata. […] Allo stesso tempo, le risonanze bibliche insite nel concetto di quarantena avrebbero reso più facile accettare il rigore imposto dal protocollo sanitario e sarebbero state di un qualche conforto spirituale per la popolazione terrorizzata.
Lo stesso termine lazzaretto richiamava a un concetto di purificazione. È un errore diffuso – ma pur sempre un errore – pensare che il termine sia nato come calco del Lazzaro evangelico, l’amico di Gesù risorto da morte. I lazzaretti (strutture che, vi ricordo, non erano nate per ospitare gli appestati, “morti viventi” in attesa di un miracolo; anzi, esistevano per alloggiare individui auspicabilmente sani) devono il loro nome a Lazzaro, il medicante della parabola del ricco Epulone. Quello che, dopo una vita di tormenti e di malattia, ebbe il premio della gloria celeste, “alla faccia” del ricco che lo disprezzava.
***
Evidentemente, non è un’idea brillante cercare di contenere una epidemia a suon di citazioni scritturali e richiami alla quaresima. Poteva essere un disastro, e invece andò insospettabilmente bene: quaranta giorni sono un lasso di tempo di gran lunga superiore al periodo di incubazione della maggior parte delle malattie infettive. E – nell’assurdità di voler contenere la peste affumicando derrate abbandonate al sole – è pur vero che quaranta giorni sotto al sole sono sfidanti anche per tutti quei piccoli insetti (tipo pulci, pidocchi, zecche e così via dicendo) che oggi sappiamo essere vettori di molte malattie.
Incredibile ma vero: nel delirio, la cosa funzionò. Solo due volte – nel 1575 e nel 1630 – la peste riuscì a impossessarsi di Venezia dopo l’adozione di queste rigide politiche. Per citare Snowden,
e così, una teoria medica sbagliata, combinata a convinzioni religiose, riuscì a generare un protocollo di tutela della salute pubblica che mostrò d’essere estremamente efficace.
Curiosa, ogni tanto, la Storia, non è vero?
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Non so da quale parte d’Italia mi leggiate e quale sia stata la vostra percezione dell’epidemia, sul finire di febbraio.
Qui a Torino, una buona parte della città si è fermata il Lunedì Grasso. Le scuole non hanno più riaperto dopo le vacanze di Carnevale; nessuna distribuzione di ceneri ha segnato l’avvio della Quaresima, il mercoledì. L’ultima volta che sono entrata al supermercato, ho infilato nello stesso carrello carta igienica e frittelle di Carnevale, un vassoio di bugie e provviste per la quarantena.
È stato surreale, quel Lunedì Grasso, affacciarmi alla finestra e vedere una signora mascherata di tutto punto, con un abito rosso da Carnevale veneziano, fermarsi a chiacchierare (a un metro di distanza) con una vecchina che arrancava faticosamente verso casa trascinandosi dietro sacchi della spesa pieni di scatolame e un pacco di carta igienica formato famiglia. La festa e le provviste, il Carnevale e il Memento Mori: era una scena così perfetta che ho dovuto fotografarla.
Penso che questa Quaresima 2020 resterà per sempre impressa nella nostra storia familiare. Penso che, negli anni, citeremo a lungo questa Quaresima di quarantena.
Che bizzarro scherzo del destino trovarsi a pensare che, storicamente, ogni quarantena ambiva ad essere un po’ Quaresima.
Francesca
“C’è, però, un dettaglio che non mi pare di aver letto. E cioè: l’Italia settentrionale ha inventato le quarantene, ma non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo”.
“Se è stata Venezia a passare alla Storia come “la città che ha inventato la quarantena”, ciò dipende unicamente dal fatto che i suoi Magistrati della Salute erano tipi molto energici e decisi”.
Dal Veneto. Ti confermo il nostro “vizio” che hai ben citato e che si è puntualmente ri-verificato col coronavirus.
Proprio oggi il nostro presidente (di Regione: Zaia) ha risposto per l’ennesima volta alla stessa domanda di un giornalista, ripetendogli la storia – oggi nota a tutti – di Vo’ Euganeo (provincia di Padova, tra i primi focolai dell’epidemia dopo la Lombardia).
Tra l’altro, tutti noi cittadini veneti possiamo confermare la vicenda (perché l’abbiamo seguita nei dettagli fin dall’inizio) che il presidente Zaia al principio non si è mosso “per motivi scientifici”, o perlomeno non _strettamente scientifici_. (Anzi è andato contro le linee guida mondiali, nazionali e perfino regionali, della sua stessa Regione)
È lui stesso che lo ripete ogni volta: solo DOPO ha appreso che c’erano eccellenti motivi scientifici per gestire Vo’ come l’ha gestito (attualmente è un caso citato anche da uno studio di Harvard come esempio virtuoso).
Il motivo per il quale ha ordinato di botto 3000 tamponi per testare l’intero paesino è stata una modalità che gli pareva “doverosa” per assicurare innanzitutto una tranquillità agli abitanti (sarò infettato? Non sarò infettato?) e anche per tutti i parenti, amici, conoscenti e colleghi di lavoro degli abitanti del paesello di Vo’ – i quali saranno stati comprensibilmente terrorizzati (avrò incontrato un contagiato? Che cosa mi accadrà? Che cosa devo fare?). E i paesi vicini a Vo’ ? Dovevano preoccuparsi? Quanto?
Insomma, la cosa che immediatamente venne in mente al presidente fu: tampone a tutti, vai, veloce! – capiamo quello che sta succedendo e poi si vede.
(come è noto, fu criticato aspramente da tutta Italia e da tutto il mondo. Solo i cittadini di Vo’ furono grati. Quasi 70 persone contagiate scoprirono di esserlo, circa la metà della quali non aveva alcun sintomo, stavano benissimo, ma fu giustamente ordinato anche a loro di chiudersi in casa – ché il cibo, i medici e tutto quanto sarebbe stato loro assicurato a casa).
Solo qualche giorno dopo – mi pare circa 10 giorni dopo – il presidente Zaia fu contattato da uno scienziato di Padova – oggi noto a tutti, il prof. Crisanti – esperto di gestione della malaria, un ex cervello in fuga (a Londra), ora operante all’Università di Padova. Oltre a dargli ragione, e con tanti complimenti per la gestione scientifica :), il professore proponeva di continuare l’esperimento (con altri test) per osservare lo sviluppo epidemico a Vo’. Anche perché, il Prof. lo informò e ci informò tutti noi veneti, che una cosa del genere nel mondo non era ancora stata studiata in modo sistematico su un gruppo di 3000 persone dislocate in unico paesino. Un campione di studio e di lavoro ideale.
Da quel momento in poi, il nostro presidente cominciò a spiegarci (conferenza stampa quotidiana) in termini scientifici tutti i perché e i per come. Perché lui stesso li imparò dal professore. Ad esempio: la contagiosità dei contagiati asintomatici.
Ma come ci ha ricordato anche alla conferenza stampa di oggi: “io all’inizio non sapevo niente. Ho solo preso la decisione”.
E noi lo ringraziamo :). Non solo per Vo’.
Dopo aver studiato la questione, infatti, la squadra veneta ha continuato a prendere decisioni, correggendole a mano a mano con le consulenze scientifiche che si moltiplicavano e che ci davano indicazioni.
Quindi… Mi sembra proprio che la storia si ripeta.
“ma non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo. Le ha detto bene, ma è stata pura fortuna.”
Esattamente 🙂
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Murasaki Shikibu
No, non è solo fortuna: è buon senso. La contagiosità degli asintomatici magari non la conosceva da imbastirci su un discorso o da citarla con una normale conversazione, ma direi che ci si arriva con le conoscenze che ti danno alle elementari – io, almeno, ci sono arrivata solo con quelle e non è che sia un genio. Tra l’altro una delle pochissime cose che sapevamo da subito con certezza su quel virus era che un sacco di gente, soprattutto giovane, lo prendeva senza subirne danno alcuno – e sono anzi convinta di essere tra questi, io e qualsiasi insegnante – e forse sarebbe il caso di studiare più a fondo la questione, secondo me. Nonostante soffra di strane allucinazioni a base di cinesi che mangiano topi vivi, Zaia in questa situazione ha dimistrato soprattutto molto buon senso, che è una dote di cui non troppi politici sono dotati ma che fa un gran comodo ai cuttadini che da questi politici sono amministrati.
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Francesca
Ciao, buona Pasqua 🙂
Beh, veramente, penso che di strane allucinazioni soffrano le menti miserevoli che quel giorno specifico (quello dei “topi vivi”) hanno deciso di estrarre mezzo minuto di conversazione da un discorso (di almeno un’ora) di Zaia e così hanno creato appositamente un mezzo incidente diplomatico con l’ambasciatore cinese – il quale, di suo, non sarebbe stato per nulla interessato a guardare una piccola tivù locale trevigiana, facente parte di un network veneto creato negli ultimi anni e che per noi veneti serve come servizio pubblico essenziale e come info necessaria di protezione civile durante le catastrofi, alluvioni, eccetera. E quindi anche adesso. Zaia in tivù non era in visitina di piacere per dare aria alla bocca, ma in pieno lavoro di necessaria informazione alla popolazione mentre eravamo in piena emergenza.
Quel giorno sono stati offesi molti veneti, i quali – può essere che avranno forse le stesse strane allucinazioni – ma avevano capito benissimo ciò che intendeva dire il governatore. Ed era un fatto più pro-cinesi che anti-cinesi.
Il suo errore? È stato – boccone golosissimo per i cacciatori di scandali – l’aver sintetizzato troppo un concetto per poter togliersi di dosso in fretta la domanda del giornalista, e continuare con le questioni operative – ché a noi dei cinesi in quel momento non ci interessava più di tanto.
(a scanso di fraintendimenti specifico: Luca Zaia parlava ovviamente dei cosiddetti wet market e di certi “carpacci” provenienti da macellazione diretta casalinga dell’animale che in Cina ha una certa diffusione. In ogni caso stava rispondendo con una ipotesi, così per dire, una come un’altra, in quei giorni molto duri… e che veramente siamo stati colpitissimi a sentire una frase del genere estratta da tutto il suo contesto e data in pasto all’Italia e al mondo).
Per sapere come mai tanti di noi si sono sentiti così offesi da quella miserevole operazione mediatica, che ha fatto perdere tempo al nostro presidente mentre tanta gente stava soffrendo e morendo negli ospedali (non solo in quelli veneti) e mentre i media e gli intellettuali “nazionali” (e i cabarettisti di tutte le reti televisive) avrebbero potuto fare un vero servizio pubblico (e salvare vite umane!) mandando in onda ciò che Zaia quel giorno aveva spiegato – non certo dei cinesi ma del virus in Italia – in diverse ore di diretta che alternava al lavoro diurno e notturno con tutta la squadra dei sanitari e della Protezione Civile… Beh, ecco, per sapere quanto ci siamo sentiti offesi e indignati qua in Veneto (al di là di qualsiasi appartenenza politica) , potrebbe essere utile conoscere il fatto che negli appuntamenti quotidiani in cui Zaia e tutta la squadra – che vive tutta insieme “in clausura” a Marghera – ci informano sull’andamento e su ciò che dobbiamo fare/non fare giorno per giorno… in questi appuntamenti, ripetutamente, diversi giornalisti hanno tentato inutilmente di far entrare in polemica il presidente. Ebbene? Ebbene in quei giorni, in cui lui e tutta la squadra dormivano circa 3 ore per notte per riuscire ad acquistare mascherine e respiratori e sale di rianimazione e tamponi e reagenti in ogni angolo del mondo, (adesso finalmente dormono circa 5 ore), ma in quei giorni il nostro leghista-governatore ha “abbattuto” parecchi giornalisti parlando solo BENE dei colleghi in difficoltà: Bonaccini, Fontana, e del Presidente Conte, e di Boccia (che qualche scivolatina l’ha fatta pure), e di chiunque strano giornalista allucinato gli implorasse una mezza polemica.
Un bel giorno, dopo i famosi topi, arriva perfino uno che lo provoca sul federalismo… E Zaia che ti risponde? Ti risponde con decisione (della serie “lasciatemi stare che io devo lavorare”) : “quando l’ultimo paziente Covid del Veneto sarà dimesso dall’ospedale, allora tornerò ad occuparmi del federalismo”.
E che cosa fanno subito dopo i cari giornalisti? Lo mandano in onda al tiggì nazionale coi titoli: “Zaia vuole il federalismo!”, come se si stesse occupando di federalismo nei momenti più difficili dell’epidemia.
Perciò. Per evitare queste allucinazioni giornalistiche e per comprendere come mai uno con quel “buon senso” e capacità governativa non può essere contemporaneamente uno che soffre di allucinazioni, consiglio (a chi fosse per caso interessato alla gestione veneta del problema coronavirus) di vedersi le registrazioni delle dirette quotidiane che si trovano sulla pagina Facebook pubblica di Luca Zaia.
Non per fare una facile propaganda (io non so neanche chi voterò alle prossime elezioni a meno che non si ri-presenti Zaia), ma veramente credo che se i giornalisti dei media nazionali avessero diffuso seriamente delle informazioni molto importanti dell’ultimo mese e mezzo provenienti dal “modello veneto” , forse questa sarà una mia presunzione, ma credo che avrebbero potuto aiutare davvero altre amministrazioni e magari anche singoli cittadini italiani che non sapevano bene che cosa stesse accadendo… e come comportarsi nella confusione generale.
Il fatto di puntare sulla creazione della “macchietta leghista” ha veramente danneggiato tutti. Ancora mi ricordo che in televisione certi “dottorini” prendevano in giro i nostri scienziati di Padova… che erano (e sono) i consulenti di Zaia – e perciò andavano presi in giro.
Adesso che sono citati da Harvard e dalle più quotate riviste scientifiche… non li possono più prendere in giro.
Ma quante vite si sarebbero potute salvare adottando le buone pratiche di chi evidentemente, numeri alla mano, stava fermando l’epidemia? Anche solo rallentare un’epidemia significa salvare centinaia di vite.
Riguardo il colpo di fortuna iniziale di cui si parlava 🙂 , guarda che se tu vai a rintracciare il video su Facebook della data in cui avevo scritto il commento qua sopra: è Zaia stesso che spiega tutta la storia.
Certamente la base organizzativa della nostra sanità già c’era prima; certamente Zaia ha la sua laurea veterinaria e una qualche idea dei virus ce l’ha; e certamente dopo il primo “colpo di fortuna” si è continuato in modo ragionato e sistematico, non certo affidandosi al caso fortunato… Ma quel fatto lì è stato proprio così: non basato sulle linee guida degli scienziati italiani e dell’OMS di quel momento, bensì andandoci contro, di testa propria. D’accordo con altre 2 o 3 teste della sanità veneta.
Se poi tu dici che – in QUEL momento – avevi lo stesso buon senso di Zaia… beh, complimenti a te, e sicuramente al “president” avrebbe fatto piacere saperlo visto che in quei giorni già tanto terribili per tutti noi è stato attaccato senza pietà in tutti i modi da tutta Italia e da ogni trasmissione e dottorino televisivo.
Rimane vero che, in qualche modo, ho sentito anche altri “intellettuali” dire questo, cioè che nell’affrontare l’epidemia si è come riprodotto lo schema della celebre antica Serenissima Repubblica… Che evidentemente qualcosa sapeva, su qualcosa era organizzata, su qualche altra cosa ha avuto fortuna o tanta grazia di Dio, e ha fatto lavorare queste cose insieme.
Ma mica è finita. O continueremo a fare bene o ci ritroviamo dentro peggio di prima. Eventualmente: aiutiamoci tutti quanti e lasciamo stare gli show sui topi 🙂
Buona Pasqua
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klaudjia
I giornalisti devono vendere i propri pezzi e creare uno scandalo dove non c’e. Qualche anno fa mi ricordo un titolo a piena pagina ” Per la Cassazione è lecito prendere a schiaffi la moglie”. Commentando una sentenza della Suprema Corte che, attenzione, dichiarava che un singolo schiaffo non integra il reato di maltrattamento in famiglia (reato che presuppone una esecuzione continuata nel tempo) ma il reato di percosse ed eventualmente di lesioni personali e varie conseguenze in sede civile sulle quali non mi dilungo. Ora, siccome credo che i giornalisti siano in grado di comprendere la differenza tra le due cose è evidente la loro malafede, così come nel caso di Zaia. Il problema è che il “popolino” non ha voglia di analizzare un testo magari lungo 10 minuti di lettura. Meglio saltare al collo del malcapitato di turno!!!
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