Ebenezer Scrooge aveva un cuore così freddo che trasudava gelo ovunque egli andasse: “la sua bassa temperatura se la portava sempre addosso”, scrive Dickens, “al punto che l’ufficio diventava gelido al suo ingresso persino durante i giorni canicolari”.
Una abilità notevole, non v’è dubbio. Una abilità di cui però, col passar dei secoli, s’è persa la portata: sì, perché (si potrebbe chiedere il lettore moderno) che caspita è un giorno canicolare?
Già noti nelle poleis greche e nell’Antica Roma, e tenuti in gran considerazione dai medici moderni che li avevano conosciuti grazie alla mediazione dei monaci medievali, i giorni canicolari erano (per dirla sinteticamente) i giorni più caldi dell’anno. Erano insomma i giorni in cui la terra veniva sottoposta alle sferzate di quella che ancor oggi definiamo “la canicola”.
In quei giorni, la “stella del cane” (così come la chiamavano gli astronomi greci: un concetto su quale torneremo avanti), sorgeva in contemporanea col sole: un malsano allineamento astrale che si riteneva avesse il potere di scagliare sulla terra un sacco di jatture. Non si limitava infatti a determinare un improvviso e intollerabile aumento della temperatura: mentre s’alzava la colonnina di mercurio, scendevano sulla terra miasmi malsani, se non addirittura veri propri spiriti maligni. I cani e gli animali selvaggi rischiavano di impazzire, risultando improvvisamente aggressivi e rabbiosi; vacillava anche la stabilità mentale delle donne, che cadevano preda di insaziabili appetiti sessuali. Quel che è peggio: gli uomini non potevano nemmeno approfittarne, essendo spossati da una insopprimibile stanchezza.
Globalmente, tutti quanti – maschi e femmine – erano particolarmente cagionevoli e soggetti all’insorgere di nuove malattie. Peggio ancora: la gente si ammalava, ma le cure mediche tentate in quel periodo erano quasi inevitabilmente destinate a fallire (un po’ come accadeva, secondo la tradizione medievale, nei giorni egiziani). Anzi: sarebbe proprio stato il caso di non amministrarle di partenza, salvo gravi urgenze che richiedevano interventi non rimandabili: troppo alto era il rischio di imprevisti, effetti avversi o infezioni post-operatorie su pazienti che venivano sottoposti a terapie in quei giorni fatali.
Va detto: è probabile che questa curiosa convinzione medica fosse motivata da timori plausibili e reali (compatibilmente con le conoscenze dell’epoca). Per la medicina galenica, il corpo umano era composto da quattro umori (caldo e freddo, secco e umido) che dovevano essere in perfetto equilibrio tra di loro, per permettere al paziente di godere di buona salute. Ma – come scriveva ad esempio nel 1729 l’autore di The Husbandman’s Practice, un manualetto inglese di economia domestica – nei giorni canicolari fa così caldo che “i corpi degli uomini, a mezzanotte, sudano quanto fanno normalmente a mezzogiorno”.
Se la temperatura esterna è così alta da far aumentare in maniera significativa la componente calda all’interno del corpo umano, va da sé che l’instaurarsi di una qualche malattia è pressoché assicurato, secondo la logica della teoria dei quattro umori. E, a fronte di un così grande scompenso, anche il dosaggio dei farmaci o l’intensità di un salasso vanno attentamente ricalibrati rispetto a quanto suggerito ‘normalmente’ dai testi medici: va da sé che il rischio di sbagliare è significativamente alto. Meglio lasciar perdere e rimandare a tempi migliori quelle terapie che paiono procrastinabili.
Ma quali sono esattamente questi tempi migliori?
Vale a dire: quando iniziano e quando finiscono questi temibili giorni?
Difficile a dirsi, e per più di una ragione. Innanzi tutto, gli Antichi Greci, che per primi avevano introdotto questo concetto, indicavano col nome di “stella del cane” almeno due astri diversi: Sirio (nella costellazione del Canis Maior) e Procione (nella costellazione del Canis Minor). E nessuna delle fonti spiega con precisione quale fosse esattamente l’astro da prendere in considerazione per il calcolo di questi giorni.
E che i nostri antenati avessero idee poco chiare lo si nota dalle buffe oscillazioni che il periodo canicolare ha avuto sul calendario, attraverso i secoli. Gli Antichi Greci parlano a lungo di questi giorni maledetti, ma sono anche i più vaghi nell’indicare esattamente la loro durata; si ha l’impressione che li facessero iniziare attorno al 19 luglio, ma su quando li facessero finire non abbiamo indicazione alcuna. Nell’Antica Roma, era indicato come “periodo canicolare” quel lasso di tempo che andava dal 3 luglio all’11 agosto; nel Medioevo, gli infirmari dei monasteri evitavano di praticare salassi da metà luglio fino a inizio settembre.
Su alcuni calendari liturgici del XV secolo, sono state trovate glosse marginali che riportano l’indicazione di “giorni canicolari” nel lasso di tempo che va dal 7 luglio al 5 settembre. A partire dal XVI secolo, i giorni maledetti cessano d’essere citati nei testi a uso liturgico ma iniziano a comparire con sempre maggior frequenza nei testi a uso medico, grazie al rinnovato entusiasmo per l’antichità classica che s’andava diffondendo in quel periodo.
È proprio nel Rinascimento che i giorni canicolari cambiano data per l’ennesima volta e vengono fissati in quel lasso di tempo che va dal 19 luglio al 20 agosto. L’ultima modifica arrivò attorno al Settecento, quando qualcuno si rese conto che l’adozione del calendario gregoriano doveva necessariamente aver spostato in avanti quelle antiche date della tradizione classica: fu stabilito così che il 30 luglio fosse il primo giorno di canicola, e che il periodo funesto si sarebbe protratto fino al 7 settembre incluso.
E credetemi: si trattava d’un periodo funesto per davvero. Come sintetizzava alla metà del Cinquecento l’intellettuale Pietro Messia nella sua Selva di varia lettione, in quei giorni maledetti
si accendono tanto i vapori, e raggi solari, e similmente la forza di essa propria [la stella del cane, NdR] che causa notabile alterazione e calore, sopra la terra, nel mare e universalmente in tutte le cose; il che nota Plinio diligentissimo nel secondo libro, Avicenna nel quarto; e anco Ippocrate nel quinto. Aforismo vieta e comanda, che, mentre il Sole và per quella costellazione, niun’huomo si deba purgare, per essere tempo pestifero e di cattivi effetti cagione, i quali sono così evidenti e certi che tutto il mondo li conosce.
E li stimarono molto gli antichi auttori, e segnalatamente lo dimostra Plinio in diverse parti, dicendo che in quella stagione il vino si altera e turba, e che i pesci in alcune parti del mare vanno sopra acqua, i cani si infermano di rabbia. Medesimamente Columuella dà per consigli che i pastori delle pecore siano avvertiti di pascere il lor bestiame, in questi giorni canicolari, prima che sia il mezzo giorno, conducendolo da Levante verso Ponente, acciocché habbia il Sole dalle spalle, e al tardi lo indirizzino da Ponente verso Levante, perché non habbia mai il Sole in faccia, essendo per quanto dicono in quei giorni molto dannoso. Negli huomini anco cagiona sì gran danno che afferma Giulio Firmico che quelli che nascono nella stagione e nel giorno che esce quella Stella fuor con Sole riescono huomini di mala inclinatione, audaci in commetter gran delitti, superbi, e crudeli, furiosi, e di gran danno, vantatori, sediziosi, e temuti.
Rimedi suggeriti per preservarsi dagli effetti funesti di questi giorni maledetti?
Meh. Non c’era un granché da fare, se non cercare di stare al fresco e aspettare pazientemente che passasse la canicola.
Esiodo, che nelle Opere e i giorni aveva descritto in questi termini i giorni canicolari,
Quando poi sboccia il fiore del cardo, e d’un albero in vetta
l’armonïosa cicala, dal fitto vibrare dell’ali
spande l’arguto trillo, del caldo è la grave stagione.
Son molto pingui allora le capre, dolcissimo il vino,
tutte lascivia le femmine, gli uomini tutti fiacchezza,
perché l’astro di Sirio debilita teste e ginocchia,
e per il caldo, la pelle viene arida e secca.
suggerisce ai suoi lettori questa linea d’azione:
Abbi allora
entro una roccia ombrosa riparo, abbi vino di Biblo,
una focaccia, carne di capre, e non siano in caldo,
carne di manza pasciuta nei boschi, e non abbia figliato,
e di capretto nato primíparo; e bevici sopra
limpido vino, all’ombra seduto, ben sazio di cibo,
rivolto il viso verso la brezza di Zefiro fresca,
verso una polla tersa perenne che sgorghi dal monte.
Che mi sembra pur sempre una buona linea di condotta per sopportare l’arsura estiva, in fin dei conti.
E per approfondire oltre, qualche cenno sui giorni canicolari si trova anche in: Magic and Medieval Society, di Anne Lawrence-Mathers e Carolina Escobar-Vargas, edizioni Routlege, e in Religion and the Decline of Magic. Studies in Popular Beliefs in Sixteenth- and Seventeenth-Century England di Keith Thomas, edizioni Penguin
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Alberto Vivenzio
L’ha ripubblicato su Il sito di Alberto.
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