Questo articolo potrebbe facilmente aprirsi con una dichiarazione pruriginosa: wè raga, abbiamo trovato una raccolta di lettere d’amore che un vescovo medievale indirizzava a delle suore!
In effetti, la raccolta di lettere c’è per davvero. Contiene la bellezza di 256 poesie amorose composte da Balderico di Bourgueil, monaco benedettino, a lungo abate del suo monastero e poi, a partire dal 1107, vescovo di Dol. I suoi carmi d’amore, ispirati alla poesia classica, cominciano a essere composti quando Balderico era già monaco e sono indirizzati a una varia umanità di dame: alcune sono probabilmente donne mai esistite, personaggi immaginari cui l’autore indirizzava i suoi sforzi letterari; altre sono invece state identificate con certezza, nella persona di alcune suore conosciute dal pio abate.
E fin qui, la storia sarebbe gustosa ma non strana.
In fin dei conti – mi direte – che c’è di così assurdo nel pensare che un monaco possa prendersi una sbandata per una religiosa? Chissà quanti casi simili sono successi nella Storia; evidentemente, Balderico sarà stato molto bravo a tener nascosto il suo vizietto in maniera tale che questo non gli pregiudicasse la possibilità di far carriera.
Ecco, il problema è proprio questo: Balderico non li ha tenuti nascosti manco per scherzo, i suoi amori. Le sue poesie galanti non sono giunte a noi per qualche fortuita scoperta di carte destinate al macero: le sue poesie galanti sono giunte fino a noi perché Balderico s’è preso la briga di raccoglierle in una raccolta antologica da destinare al grande pubblico, di cui fra l’altro curò la redazione quand’era già diventato abate.
Detto brutalmente: ma che gli diceva il cervello?
Quale abate sano di mente decide di ammettere di fronte al grande pubblico di aver corteggiato decine di suore, peraltro senza ravvisare colpa alcuna nel suo comportamento e anzi vantandosi compiaciuto della sua performance letteraria?
La risposta è così semplice da essere scontata: un abate che conosceva a fondo l’amor cortese. O, per meglio dire: un abate che conosceva a fondo il primo amor cortese, quello che s’andava lentamente sviluppando nel meridione del Paese proprio nelle decadi in cui Balderico scriveva le sue poesie. Era un amor cortese molto diverso, totalmente disincarnato, ben lontano da quel sentimento adulterino che di lì a poco avrebbe cominciato a inneggiare al tradimento extraconiugale à la Lancillotto e Ginevra. Era un amor cortese che, per essere veramente degno di quel nome, doveva essere un amore puro e angelicato, privo di ogni pulsione carnale.
Ne parliamo oggi in una nuova puntata di
Un Flirt Cortese
Guida di seduzione per l’uomo medievale
che non deve chiedere mai
(e che non so fino a che punto sarà felice di leggere queste pagine, ma: amico medievale, così è. Stacce).
Tanto per capire di cosa stiamo parlando, proporrei di cominciare leggendone una, di queste famose lettere d’amore dell’abate Balderico (di cui si può trovare una selezione nella raccolta Lettere amorose e galanti edita da Carocci a cura di Manuela Sanson). Tra le tante, vi propongo la poesia Costanza, ti amo appassionatamente, indirizzata a una suora che viveva con buone probabilità nell’abbazia di Notre-Dame di Ronceray. Scrive Balderico alla fanciulla:
Leggi: tutto quello che c’è qui è stato scritto da una mano amica. […] Ciò che questa lettera fa risuonare è poesia d’amore, e al tocco della lettera non si nasconde alcun veleno. La mia pagina non è stata imbrattata dal sangue della Gorgone, né Medea accompagna la mia opera. Non temere l’Idra, non sospettare la Chimera quando la nuda mano toccherà il nudo foglio. Tu puoi srotolare la mia lettera in tutta sicurezza e tranquilla riporla al tuo seno. […] Io non posso mai, Costanza, dimenticarti. La tua bellezza non mi permette di dimenticarti. Potrei più facilmente, Costanza, dimenticarmi di me stesso, che costringermi a dimenticarti. E so che tu, Costanza, non potresti mai dimenticarmi, per rendermi lo stesso nostro patto d’amore. Oh, perché la natura e Dio non ci hanno legati, in modo che nessuno dei due possa dimenticare l’altro? Credimi (e davvero voglio che tu lo creda, e che lo credano i miei lettori): mai mi ha spinto verso di te un amore impuro. Voglio che la verginità ti sia compagna di vita, non voglio che in te sia distrutta la castità. Tu sei una vergine, io sono un uomo; io sono giovane, tu lo sei di più. Giuro per tutto ciò che esiste: non voglio essere per te un uomo; non voglio essere per te un uomo, né che tu sia per me una donna. Le parole e il cuore rafforzino il nostro sentimento; si uniscano le anime, ma rimangano separati i corpi. Sia pudico il mio comportamento quanto è giocosa la mia penna. Credimi (e davvero voglio che tu lo creda, e che lo credano i miei lettori): mai mi ha spinto verso di te un amore impuro. Né la lascivia né il desiderio di un amore impuro hanno sconvolto il mio cuore e il mio animo; è stata la tua cultura a suscitare il mio sentimento; è stata la tua Musa a legarmi indissolubilmente a te. L’eloquenza della tua lingua è così viva che ti si potrebbe credere una Sibilla: anzi, tu lo sei per me. La stella di Venere dai due nomi non brilla così chiara quanto brillano i tuoi occhi splendenti; quando guardo i tuoi capelli, penso che l’oro sia meno biondo; il collo è più bianco del giglio e della neve appena caduta. I denti sono più candidi dell’avorio e del marmo di Paro. Sulle tue labbra spira una grazia piena di vita: esse sono un po’ tumide, dal calore e dal colore di fuoco, ma ambedue graziosamente proporzionate. Le tue tenere gote sono più belle delle rose: esse sono coperte di bianco e di rosso e di ogni bellezza. E per dire rapidamente della forma del tuo corpo: è all’altezza di tale volto. Tu potresti far discendere dal cielo il sommo Giove, se fosse vero il mito greco di Giove: per te, in qualunque forma si sarebbe presentato, e così il suo tempo ti avrebbe fatto vivere nei secoli. Ma qualunque cosa tu faccia, chiunque tu possa sedurre: io, per te, non sono diviso in parti. La carne e le viscere non si eccitano davanti a te; io ti amo appassionatamente e senza inganno. Con passione ti amo: tutto intero amerò te tutta intera; te sola stringo nel profondo della mia anima. È dunque chiarissimo che questo genere d’amore non ha un sapore qualsiasi, ma eccezionale: perché è esso stesso un amore eccezionale, non accompagnato da lascivia né offuscato da una passione illecita. Continuo ad amare la tua verginità, ammiro la purezza del tuo corpo. Non voglio che il tuo spirito sia violato a causa mia nemmeno per poco; sarebbe allora vana la mia speranza, sarebbe vano il sentimento. Ho descritto la tua bellezza in questa poesia perché essa riveli la bellezza dei tuoi costumi. Una vergine in fiore mostri fioriti costumi, in modo che fiorisca ancor più l’animo del suo corpo. […] E se qualcuno mi rimprovera di averti scritto in termini troppo giocosi, ebbene io non sono un uomo serioso: tutto quello che faccio è un gioco. La natura generosa mi ha reso giocosa la vita e un’ispirazione benevola mi ha dato costumi gioviali. Ma qualunque cosa io dica, le mie azioni conservano il pudore; regnano in me un cuore puro e un’anima pudica.
‘nsomma. Messa così, effettivamente, non sembrerebbero esserci margini di ambiguità: l’amore cantato da Balderico è così profondo ma così disincarnato da essergli sembrato evidentemente degno d’albergare anche nel cuore di un religioso. E va fatto notare che Balderico non era nemmeno l’unico a pensarla in questi termini: dopo tutto, il nostro corteggiatore con la tonsura fu nominato vescovo quando la sua raccolta di poesie d’amore era già nota a tutti.
A noi sembra assurdo. Ma, evidentemente, all’epoca era ritenuto normale che un religioso potesse dedicarsi a un esercizio letterario come quello del gioco d’amore, offrendo a donne di alta erudizione una divertita serie di schermaglie intellettuali, che giammai avrebbero portato le due parti a consumare carnalmente la loro passione.
Di passione carnale, in effetti, non c’è proprio l’ombra, nelle poesie che Balderico indirizza alle sue amate. Emerge in compenso una fascinazione intellettuale, un ‘mi piace giocare con te perché sei una donna colta e di spessore, ma sia ben chiaro che tutto questo è solo un gioco’.
Ma allora, è veramente questo l’amor cortese?
Aveva ragione Balderico, e sono Lancillotto e Ginevra a non aver capito un tubo?
L’amor cortese dovrebbe essere un sentimento casto e disincarnato, che solo a un certo punto ha iniziato ad andare a schifio col passar dei secoli, sporcandosi di tinte peccaminose e adulterine?
Beh, in effetti sì.
In effetti, l’amor cortese delle origini (quello cantato dalle primissime generazioni di trovatori che si sono dedicati al genere) appariva proprio in questa forma: un’attrazione intellettuale modellata secondo gli schemi della servitù feudale, che poteva dire d’esser giunta a perfezione solamente nel momento in cui il cavaliere innamorato mostrava d’aver raggiunto il totale controllo delle sue pulsioni accettando d’abbracciare in tutto e per tutto la castità.
È ben strana questa visione dell’amore: diciamolo.
È strana ma non priva di una sua logica interna, diciamo anche quello per onestà intellettuale: “puoi essere sicura che il mio amore è puro perché non ti chiedo nulla in cambio, nemmeno il tuo corpo” è pur sempre una affermazione con un certo potenziale seduttivo, se la indirizzi alla persona giusta.
Certo: dev’essere la persona giusta. Che ne so: magari una donna con delle fisse strane, che vive professando un netto dualismo tra materia e spirito. Una fanciulla che guarda al mondo materiale come a una gigantesca trappola per la sua anima: anima che riuscirà a guadagnare la salvezza solo nel momento in cui saprà liberarsi dalle pastoie della carne. Una dama a cui magari il sesso fa abbastanza schifo, e che conseguentemente rifiuta l’idea di sposarsi arrivando financo a disprezzare quei fessi che invece si uniscono in matrimonio.
Come dite? “Eh, ma stai descrivendo una donna che sta fuori come un balcone”?
O anche: “c’era davvero gente che ragionava così, nel Medioevo”?
Oh, ce n’era un mucchio, sol per quello: erano i catari, eretici cristiani la cui dottrina diceva esattamente tutte le cose di cui sopra. Ve n’erano parecchi, quasi tutti stanziati nella Francia meridionale, zona in cui la dottrina albigese s’era diffusa a macchia d’olio a partire dalla seconda metà dell’XI secolo.
Cioè, esattamente nel periodo in cui si sviluppava il concetto di amor cortese.
Rilancio: esattamente nello stesso periodo e nelle stesse zone in cui si sviluppava il concetto di amor cortese.
Non è possibile che sia una coincidenza; gli storici lo dicono senza mezzi termini. Citando ad esempio quanto scrive Annarosa Mattei nel suo ottimo L’enigma d’amore nell’Occidente medievale,
tra le idee [dei catari] e quelle espresse dai trovatori provenzali si possono notare effettivamente straordinarie affinità, nonostante non sia facile provare un rapporto di derivazione diretta per la scarsità della documentazione. Anche i catari parlano di libero amore ritenendolo incompatibile con il matrimonio, ma – proprio come suggerisce Andrea Cappellano al suo giovane amico Gualtieri nella cosiddetta reprobatio amoris (riprovazione dell’amore), con cui conclude il De amore – esaltano soprattutto la castità e l’amore spirituale, incidendo profondamente sulla nuova sensibilità delle donne, collocate per la prima volta su un piano di parità rispetto all’uomo. Il tema d’amore e l’immagine della donna, celebrati nel grande canto cortese, non sarebbero, in questo senso, da intendersi nel solo significato letterale ma, secondo l’ipotesi dello studioso Denis de Rougemont, dovrebbero essere interpretati come uno schermo allegorico, una sorta di modo criptato di parlare di conoscenza, di filosofia e teologia, attraverso simboli e codici condivisi.
Accennavo qualcosa di questo universo mentale nello scorso capitolo di questo “manualetto per seduttori medievali”. Nella logica dell’amor cortese delle origini, l’unico sentimento che val la pena di perseguire è quello dell’amor coral, l’amore del cuore (…evidentemente contrapposto all’amore della carne?). Il cavaliere che si pone alla cerca di questo tesoro sa che potrà ottenerlo solo attraverso un itinerario interiore di elevazione spirituale che metterà alla prova il suo valore, il suo senso di misura e la sua capacità di dominare le pulsioni fisiche. Per dirla con le parole di Annarosa Mattei, in questo scenario la donna desiderata “svolge un’azione pedagogica nei confronti del cavaliere che ha scelto di amarla percorrendo un cammino di rigenerazione interiore”: è lei che regge le fila del gioco, è lei che sposta sempre più in là la soddisfazione del desiderio, è lei che alza ogni giorno di più l’asticella per permettere al suo amato di crescere nella virtù.
Nei versi che la trovatrice Azalaïs de Porcairagues compone nell’XI secolo in onore di Raimbaut d’Orange, emerge serena la granitica certezza che l’uomo è ormai giunto al termine del suo cammino di elevazione spirituale:
Ho un amico di gran valore
che su tutti signoreggia,
non ha cuore ingannatore
e il mio amore ben ricambia. […]
Bell’amico, di buon cuore,
uomo nobile e cortese,
io mi metto in vostra balia,
non mi fate oltraggio.
Giungeremo molto presto
al momento della prova
e io lì mi metterò
alla mercé di voi, signore.
Perché avete giurato,
e io ne ho fiducia,
che mai mi chiederete
di cadere nell’errore.
E, per quanto Azalaïs non lo dica apertamente, la trovatrice avrebbe certamente avuto ogni diritto di prendersi il merito di quella crescita interiore: “la donna, concedendosi o negandosi, ha la facoltà di nobilitare il suo spasimante trasformandolo in perfetto om cortés”. Il che, fra l’altro, costituisce una significativa innovazione rispetto alle modalità con cui il sentimento d’amore era stato descritto fino a quel momento.
Nei primi dieci secoli di Storia cristiana, nessuno s’era mai sognato di parlare di un amore romantico da vivere in una coppia uomo-donna, che conduce a Dio perché disincarnato e vissuto al livello di puro spirito. Per il cattolicesimo, o facevi voto di verginità (ma a quel punto dicevi addio al romanticismo) oppure ti sposavi (ma a quel punto consumavi il matrimonio e facevi figli).
Nella cultura classica, era esistito sì il concetto di amore platonico come via di perfezione spirituale, ma il ruolo della donna non era di così gran rilievo: non era quasi mai la donna, in sé, a diventare la guida spirituale dei suoi casti discepoli.
E invece, secondo la logica dell’amor cortese, è proprio la dama a educare e nobilitare il suo uomo. Merlino sarebbe rimasto un lussurioso pieno di donne, se il suo amore per Viviana non l’avesse costretto a cambiare in meglio; Cligès sarebbe probabilmente caduto nel peccato di adulterio, se non fosse stata Fenice a prendere in mano le regole del gioco; Raimbaut non avrebbe mai potuto vantarsi di aver amato Beatrice “senza alcun aiuto e senza aver mai stretto il suo corpo nudo”, se la donna gli si fosse concessa in una facile conquista.
Questa è una novità del tutto inedita, per la mentalità dell’epoca.
Così come è inedita l’idea che si possa amare una persona senza provare il desiderio di consumare carnalmente tale amore: in quest’ottica (cioè nell’ottica in cui se è vero amore non si batte chiodo) diventa anche comprensibile la tolleranza con cui la società dell’epoca guardava a questi flirt extraconiugali. Alla fin fine, il flirt era nulla più che una profonda intesa intellettuale, finalizzata alla crescita spirituale di un castissimo discepolo.
Naturalmente, per afferrare questo concetto bisogna conoscerne approfonditamente i presupposti. Se, nelle corti della Francia meridionale, gli ideali dell’amor cortese erano così diffusi da essere accettati senza difficoltà alcuna, il resto del mondo era quantomeno perplesso di fronte a una moda di cui non riusciva a capacitarsi. Scrive Annarosa Mattei:
Non solo il Nord del Paese, più conservatore e ortodosso, giudica scostumati i comportamenti del Sud, ma soprattutto la Chiesa considera preoccupante il fenomeno, interpretandolo come un segnale d’irriverente distacco dai precetti morali e religiosi della tradizione.
E in effetti, se pensiamo al modo in cui il concetto di amor cortese sarebbe degenerato in poche decadi arrivando all’esaltazione del tradimento extraconiugale…
Eppure, nonostante le critiche che gli piovevano addosso da più parti, l’ideale dell’amor cortese casto e disincarnato
resta comunque a lungo il tratto culturale distintivo e dominante delle corti francesi del Sudovest, dove fiorisce in un ricco repertorio di temi, forme poetiche, canto e musica che, in vari modi, si espande rapidamente in gran parte dell’Europa del tempo.
La chiave di tutto risiede proprio in quel “si espande in vari modi”.
Ché il concetto di amor cortese influenza a lungo la letteratura occidentale… ma è un amor cortese diverso da quello cantato originariamente dai suoi primi interpreti: è la relazione clandestina di Ginevra e Lancillotto, è il sentimento angelicante del dolce stil novo, è la passione frustrata cantata dai minnesänger della Germania. È ancora, e indubbiamente, amor cortese, ma tratteggiato con sfumature ben diverse rispetto a quelle che l’avevano caratterizzato alle sue origini.
È un amor cortese 2.0, se vogliamo porla in questi termini.
Mi direte: e che ne fu dell’amor cortese versione 1?
Non a caso, scompare quasi all’improvviso negli anni della crociata contro gli albigesi. Che, come sempre capita in questi casi, non fu solamente una battaglia tra eretici e ortodossi: la guerra santa proclamata nel 1208 permise ai signori feudali del Nord della Francia di fare ciò che probabilmente sognavano già da tempo – coalizzarsi contro i feudi del Sud, che stavano cominciando a diventare vicini di casa troppo ingombranti. Che fossero anche feudi nei quali si stava diffondendo l’eresia catara fu un comodo bonus aggiunto per il re di Francia, che (dapprima con i suoi eserciti crociati; successivamente, con l’utilizzo di accorte politiche matrimoniali) riuscì ad assoggettare l’intero territorio sotto il suo potere. Ottenendo, di fatto, non solo la scomparsa dei catari, ma anche la scomparsa di quelle corti occitane che avevano fatto punto d’onore del loro mecenatismo a favore delle arti.
A quel punto, come fa notare Annarosa Mattei,
i riti della fin’amor, attraverso i mille girovagamenti dei trovatori verso la Francia del Nord, l’Italia, la Germania, la Spagna, si trasferiscono altrove. Tra pesanti rimozioni, nostalgici rimpianti e divertite rievocazioni, rischia di affievolirsi e trasformarsi la forza dissacrante della lirica d’amore originaria che aveva animato le corti occitaniche, segnando una svolta nella storia della cultura europea.
Vero è che per i trovatori di modesta estrazione sociale il viaggio era sempre stato parte integrante della professione. Certamente però la crociata contro gli albigesi segna una tragica cesura con la tradizione di mecenatismo, lusso e raffinatezza che aveva consentito ai signori di Tolosa, Poitiers o Narbona di promuovere i riti e la poesia della fin’amor, favorendo la nascita di una nuova cultura.
Struggente, malinconica e rassegnata è la poesia che nel 1292 Guiraut Riquiet compone sotto il titolo di Be·m degra de chantar tener, spesso considerata l’atto di epilogo della poesia amorosa occitana.
Sarebbe meglio se smettessi di cantare
perché il canto ha bisogno di allegria,
e invece l’inquietudine m’opprime al punto tale
che soffro per tutte le cose attorno a me,
ripensando alle mie angustie passate,
fissando sconvolto il presente violento
e temendo ciò che ci riserverà il futuro. […]
Perché nessun mestiere è meno stimato a corte
della bella arte del poetare;
la gente preferisce gustare atti frivoli
e ascoltare storielle scandalose.
Ciò che era solito ricevere lodi
ora è del tutto dimenticato:
il mondo è stato tutto barattato
per la superbia e la malvagità
dei cosiddetti cristiani, lontani dall’amore
quasi quanto dalle leggi del Signore.
William Paden, uno dei più acuti commentatori della poesia di Guiraut, ebbe a dire che il nostro amico (evidentemente di simpatie marcatamente anti-cattoliche…) “ebbe la sfortuna di durare più a lungo del tempo in cui si apprezzava ciò che lui aveva da offrire”.
In effetti, la moda dell’amor cortese casto e disincarnato era svanita in un soffio, come una bolla di sapone che improvvisamente esplode. Da quel momento in poi, l’amor cortese si sarebbe evoluto nelle forme che meglio conosciamo oggi. “Storielle scandalose” ripiene di “atti frivoli”, avrebbe probabilmente detto Guiraut scuotendo il capo.
ilnoire
Sopravvisse alla sua utilità
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Lucia
Beh, ed ebbe modo di evolversi in tante forme decisamente utili per il nostro divertimento 🙃
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ilnoire
Esatto 😛
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NeuroFaithy - Cervello e Fede
E Freud muto! 😀
A parte gli scherzi, ci sarebbe molto da scrivere in merito… ad oggi mi ricordano gli Amish, come corrente ufficiale. Sbaglio? C’è comunque da dire che molti non lo professano in pubblico, ma infondo la pensano così. E in parte questo si è anche riflesso, nel tempo, specialmente sulla figura femminile: o è assolutamente casta, senza desideri o è una “facilina”. Le cose però, fortunatamente, stanno cambiando.
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Lucia
Eh, sul modo in cui l’amor cortese si è riflesso sulla figura femminile esiste un libro di Georges Duby dedicato a I peccati delle donne nel Medioevo. Adesso la faccio semplice, ma l’autore dice (fra le altre cose) che nell’Alto Medioevo, quando pensavi alla “donna peccatrice” per eccellenza, in genere ti veniva in mente un’assassina, un’infanticida, una che ammazza il figlio non voluto o che avvelena il cibo del marito.
Lo shift da assassina a donna seduttrice che porta l’uomo alla perdizione con le lusinghe della carne sembra arrivare più avanti, più o meno in concomitanza coi secoli in cui si diffonde l’amor cortese. Quindi un legame con l’idea persistente di donna “che o è casta o è una facilina” potrebbe esserci davvero, chissà.
Per gli Amish… meh: onestamente non saprei 🤔 Posto che non conosco bene la teologia degli Amish, ma non so se li accosterei ai Catari. Tendenzialmente quelli fanno un botto di figli, già solo quello basterebbe a far inorridire un Cataro 👀
Direi che le dottrine catare più che altro sopravvivono nei vari gruppetti neo-gnostici che ogni tanto spuntano or qua or là. Anche se concordo assolutamente con te sul fatto che un larvato (e probabilmente inconsapevole) gnosticismo 2.0 serpeggia anche in certi ambienti cattolici (e, aggiungerei pure, durante la pandemia s’è fatto notare bello forte 😂).
Secondo me è una reazione moderna alla moderna esaltazione della carnalità che va di moda attualmente nella società occidentale. Tipo: “siccome il mondo ci dice che l’unica cosa che conta è il corpo, e noi sappiamo che il mondo sbaglia, allora per stare sul sicuro facciamo l’incontrario e diciamo che il corpo conta poco o niente e bisogna pensare solo allo spirito”, con tutte le sfumature del caso. Ne parlavo tempo fa in un articolo ad argomento spirituale circa il digiuno quaresimale (che viene spesso disprezzato dai cattolici al grido di “digiunare dal cibo non serve a niente, sono ben altri i sacrifici davvero graditi a Dio”):
https://unapennaspuntata.com/2019/03/06/senso-digiuno-the-catholic-table/
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NeuroFaithy - Cervello e Fede
Ho letto solo adesso, mea culpa! Concordo su tutto!
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Umberta Mesina
Ahem… scusa, Lucia, se mi permetto, dato che non sono una storica: quanto sono attendibili e documentate questo genere di ricerche e di conclusioni?
Non dico altro perché non voglio sembrare spocchiosa, ma questa tesi non mi convince granché.
U
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Lucia
Ma che scusa! 😀
Eh… “documentate” non lo sono tantissimo (lo ammettono anche gli storici che le portano avanti) nel senso che di fonti storiche scritte non ce ne sono moltissime; per capirci, non c’è il manoscritto del trovatore che ti dice “io sono cataro e in virtù di questo mi sono inventato questa nuova forma di poesia per convertire le masse”. Più che altro, le fonti scritte forniscono indizi a sostegno della tesi: ad esempio, vedi che nelle corti provenzali in cui operava il tal trovatore era anche pieno di catari, quindi provi a farti una idea del quadro utilizzando questi piccoli tasselli del puzzle.
Però, nonostante la scarsità di documentazione, sono tesi che vengono tendenzialmente prese in considerazione e accettate dalla comunità accademica. O meglio: le tesi di Denis de Rougemont (lo studioso è citato en passant nel brano della Mattei che anche io citavo) sono ormai considerate obsolete.
Lui aveva proprio creduto di poter leggere nell’intera poesia trobadorica un “parlar nascosto” in cui si usava la tematica amorosa come scusa per trasmettere insegnamenti religiosi, in una comunicazione di stampo esoterico tra iniziati. Ecco: questo sembra decisamente eccessivo, e la comunità accademica ha rifiutato una tesi così estrema, dando però a Rougemont il merito di aver evidenziato una serie di similitudini e punti di contatto che però effettivamente esistono e verosimilmente non esistono a caso.
Mentre ti cercavo un po’ di bibliografia recente sul tema, mi sono imbattuta su Google Books in un capitolo di Cistercians, Heresy and Crusade in Occitania, 1145-1229, Preaching in the Lord’s Vineyard, un saggio stampato dalla casa editrice dell’Università di York e scritto da Beverly Mayne Kienzle, insegnante di Storia del Cristianesimo Medievale a Harvard (per dire: una persona di spessore :-P).
Ecco, lei riassumeva così la questione:
E qui in Italia, nel libro che ha scritto assieme a Marina Montesano sull’inquisizione, Franco Cardini osservava che è “paradossale ma non strano (anzi, del tutto logico) che l’austero credo dei catari si diffondesse e avesse successo proprio, soprattutto, nelle ricche e gaie terre di Provenza e di Linguadoca, quelle dei trovatori e dell’amor cortese. Se la peosia occitanica esaltava l’adulterio e l’amore libero dagli schemi e dagli obblighi coniugali, ponendosi in urto dounque con la Chiesa, nelle raffinati e gioiose corti dove risuonavano i versi erotici dei trovatori gli austeri ‘perfetti’ ricevevano buona e rispettosa accoglienza e molti si convertivano alla loro fede”.
Più che una questione puramente teologica (come era secondo Rougemont) è probabilmente una questione di contesto socio-culturale. Se devi “vendere” libri rosa in un contesto dove (sparo percentuali a caso) il 60% del tuo target è manifestamente cataro e un altro 30% ha comunque una buona conoscenza delle idee che sono di moda in quel momento, ti vien bene proporre delle storie d’amore che cantano un sentimento del tutto disincarnato.
Cioè: se stai scrivendo per gente di quel tipo, di sicuro non ti metti a esaltare le gioie del piacere sessuale né men che meno il conforto di un affettuoso amore coniugale. I trovatori scrivevano in quel contesto socio-culturale e quindi si sono dati a una produzione letteraria che andava incontro a quello che la gente dell’epoca poteva gradire.
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Umberta Mesina
Ho sognato ‘sta roba tutta la notte. (Mai più aranciata di sera, mai più!)
Ti ringrazio, sei stata gentilissima a cercarmi del materiale.
Volevo giusto chiederti se almeno qualcuno avesse preso in considerazione l’ipotesi contraria, che cioè la diffusione del catarismo fosse venuta dopo la poesia cortese, ma vedo da quelle pagine che qualcuno c’è.
Sono d’accordo con te che un autore scrive anche ciò che può vendere meglio. Di solito non si limita a quello, se ha vitto e alloggio più o meno assicurato. Posso credere che l’ammirazione – anche meritata – per certi aspetti della vita catara abbia stimolato un certo tipo di scrittura, ma questo non è lo stesso che esserne l’origine. La poesia cortese potrebbe essere nata a causa della gran presenza di catari senza nascere dai catari, no?
Ciò che non mi convince, in realtà, è la “psicologia”
A naso, se ai catari faceva tanto orrore il mondo, opera del demonio, che se ne facevano di poesie e corti e ricchezze? Non avrebbero dovuto essere anch’esse robe da scansare? A meno che non fossero i peggiori ipocriti della storia… io non ce li vedo proprio, dei catari convinti, a poetare per divertire le corti, foss’anche l’amore più casto del mondo. Allo stesso modo non ci vedrei Calvino o Cromwell o i Padri Pellegrini; ma sinceramente non ci vedrei neanche la Comunità di Sant’Egidio, per rimanere al cattolicesimo ortodosso e attuale. Hanno tutti altre preoccupazioni nella vita.
L’idea di de Rougemont, di una origine catara, sembra più un’ipotesi dovuta alla necessità di giustificare una posizione assunta a priori (cioè giustificare il basso status delle donne tanto esaltate nella poesia).
Seguire quella sua intuizione senza avere documenti, solo considerando una coincidenza di tempi e luoghi, mi pare quantomeno spericolato! Relazione sì, concordo; ma quale sia… mi pare che le probabilità “psicologiche” a favore dell’origine catara siano scarse.
E’ vero però che forse le mie idee sui catari sono poco esatte.
Quando l’altra volta li avvicinai agli Amish (che storicamente e teologicamente non c’entrano niente) era perché pensavo che anche i catari fossero delle piccole comunità, presenti soprattutto tra le popolazioni rurali, che li ammiravano per la povertà e la morigeratezza. Invece parrebbe che fossero la maggioranza della popolazione e che andassero forte tra borghesi e aristocratici.
Se esistono testi sicuramente catari, si potrebbe fare della ricerca per comparazione linguistica, ma immagino che non ce ne saranno molti, vero?
Ah, quasi dimenticavo. L’altra volta su Tolkien non sono stata precisa. In realtà scrisse che la tradizione cavalleresca è “prodotto della cristianità (e tuttavia tutta un’altra cosa dall’etica cristiana)”. Io sono rimasta sconcertata dalla quantità di sotterfugi che hai descritto nelle ultime settimane!
Grazie ancora.
Umberta
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Lucia
😃
Oggi sono un po’ di corsa e non ce la faccio a rispondere a tutte le tue osservazioni, però passo al volo per scrivere due righe riguardo ai catari in generale. Perché in effetti sì, può darsi che tu – come molti – abbia una idea dei catari un po’ “idealizzata” rispetto alla reale verità dei fatti. Nell’immaginario popolare, i catari sono quei purissimi e perfettissimi asceti con un totale distacco dalle cose del mondo che praticavano l’omicidio rituale, andavano in giro con una macilenta aura di santità e si lasciavano morir di fame.
Ma in realtà la società catara era MOLTO più complessa, e ho sorriso quando ho letto che li hai ipoteticamente definiti “i peggiori ipocriti della Storia” perché l’accusa di ipocrisia veniva mossa loro molto d frequente anche dai loro contemporanei 😛
In realtà, era anche ragionevole che il loro stile di vita avesse molte sfaccettature perché la religione catara era di tipo iniziatico. Cioè, non tutti i fedeli arrivavano a raggiungere lo stesso livello di perfezione, ed era perfettamente normale che chi era all’inizio del suo cammino di fede conducesse uno stile di vita molto meno austero di chi si poneva invece come guida spirituale.
I catari “duri e puri” a cui pensi tu erano in realtà una ristrettissima minoranza: quelli che all’epoca, in seno alla chiesa catara, erano definiti “i perfetti”. Si entrava nella schiera dei perfetti dopo una specie di battesimo che si chiama “consolamentum”, a seguito del quale in effetti si era tenuti a condurre uno stile di vita di estremo rigore.
Ma i perfetti NON rappresentavano assolutamente la totalità dei catari: la maggior parte dei catari era composta dai normali “credenti”, che erano persone che conducevano una vita tutto sommato ordinaria, pur concordando a livello intellettuale su quanto predicato dalla chiesa catara.
Cioè: che il mondo fosse tutto un tranello di Satana, te lo dicevano pure loro e con convinzione; però, non erano (ancora?) arrivati al livello in cui si sentivano pronti ad abbandonare tutti i loro beni, o la loro famiglia, per entrare nella schiera dei perfetti.
Purtroppo questa differenza fondamentale non viene mai chiarita a sufficienza sui libri di scuola o nei documentari TV di divulgazione storica. Epperò è importante: è come se noi pretendessimo di descrivere lo stile di vita del cattolico medievale basandoci sulla lettura delle Regole monastiche. Ma, no: le Regole monastiche descrivono lo stile di vita di un gruppo molto ristretto (ed elitario, se vogliamo), di cattolici.
All’atto pratico, in certe zone della Francia meridionale, il catarismo era davvero la religione dominante, che aveva sostenitori in ogni fascia sociale e anche nell’aristocrazia. Era pieno di catari che vivevano a corte in mezzo al lusso, e sappiamo almeno di due famiglie signorili (i conti di Foix e i signori di Mirepoix) dalle quali erano usciti alcuni “perfetti” (cioè i catari duri e puri), il che ci porta ragionevolmente ad assumere che anche tutto il resto della famiglia aderisse alla stessa fede, e anche con un buon grado di decisione e intensità. Eppure stavano a corte, in mezzo al lusso, a godere delle loro ricchezze, etc etc.
Quindi sì, è una realtà davvero molto sfaccettata e complessa. Manco a farlo apposta, giusto qualche giorno fa è apparso su Club Theologicum un articoletto che mi è parso fatto molto bene e che ha sotto anche un po’ di bibliografia. Consiglio molto, perché secondo me dice tutto e in poche righe!
https://clubtheologicum.wordpress.com/2021/07/28/i-catari-breve-anatomia-di-uneresia-catarismo/
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Umberta Mesina
Ti ringrazio. L’avevo letto, infatti, ed è per questo che mi sono resa conto che probabilmente la mia idea era sbagliata. Ora devo capire da dove mi viene.
U
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Murasaki Shikibu
Dunque ci sarebbe stata una variante catara dell’amor cortese, ed era una variante iniziatica.
E’ una teoria interessante, e il meno che si possa dire è che permette di riempire un buon numero di buchi riguardo al periodo – che non è un periodo culturalmente facilissimo da capire, un po’ per i danni dovuti alla crociata, e un po’ perché i catari, almeno quelli di classe sociale alta, amavano molto i misteri misteriosi.
Un post davvero molto interessante, grazie ☺️
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Lucia
Grazie a te! 🙂
Sì, diciamo che la teoria della variante *iniziatica* dell’amor cortese adesso tende ad essere considerata con un po’ di dubbio dalla critica. O meglio, le tappe dell’amor cortese erano sicuramente basate sul cammino di iniziazione del cavaliere, quello sì; che però le poesie fossero scritte a simboleggiare allegoricamente l’iniziazione cristiana dei catari, questo è accettato con meno consenso, ad oggi (come si legge ad esempio nella nota bibliografica che riportavo sopra a Umberta).
Però, che la cultura catara abbia influenzato pesantemente il primo amor cortese: questa è cosa quasi certa. Quindi sì, l’amor cortese ha la sua variante catara 😀
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