Cosa resta dell’amor cortese

Il saggio che Henri-Irénée Marrou, classe 1904, volle dedicare a I Trovatori fu stampato per la prima volta nel 1971. Il che vuol dire che è un testo ormai datato (a tratti così datato da essere esilarante, come quando l’autore ci spiega che i leninisti non sanno apprezzare l’amor cortese). Eppure Marrou scriveva decisamente bene, cioè abbelliva i suoi scritti con immagini così poetiche da far invidia a quelle dei trovatori. E m’è piaciuta l’idea di aprire la chiusura della mia guida all’amor cortese utilizzando la definizione che Marrou volle coniare per indicare l’esperienza poetica dei trovatori provenzali:

Una primavera precoce, con la freschezza dell’aria che conserva ancora un sentore di neve. Ma una primavera a cui non seguirà l’estate.

Sì, perché a un certo punto l’amor cortese scompare: all’improvviso.
O meglio: scompare l’amor cortese cantato dai trovatori, quel casto amore fatto di titubanza e desiderio che si compiaceva di sognare donne irraggiungibili, che si sublimava nell’amore di lontano e che costringeva l’uomo a un rigido percorso di crescita interiore al termine del quale egli sarebbe stato in grado di controllare e indirizzare al bene tutte le sue pulsioni.
Certo: l’amor cortese continuò a esistere anche dopo la decadenza della poesia occitana. Nessuno esiterebbe a definire “amor cortese” la passione che legò Lancillotto a Ginevra, per dirne una. Ma nessuno accetterebbe di mettere sullo stesso piano l’amore carnale e adulterino di Tristano e Isotta con quello castissimo di un Jaufré Rudel, capace di amare appassionatamente una donna che non aveva mai visto in vita sua.

Con la consapevolezza di chi vede l’acqua scivolargli dalle mani e sa di non poter arrestare la sua corsa, Guiraut Riquiet, l’ultimo dei grandi trovatori occitani, scriveva nel 1292:

Sarebbe meglio se smettessi di cantare […] La gente preferisce gustare atti frivoli e ascoltare storielle scandalose. Ciò che era solito ricevere lodi ora è del tutto dimenticato.

Forse Guiraut esagerava. Ciò che una volta era solito ricevere lodi aveva semplicemente cambiato faccia, per restare al passo coi tempi. Vedremo come nell’ultima puntata di

Un Flirt Cortese
Manuale di seduzione per l’uomo medievale
che non deve chiedere mai

Il fatto è che, per dirla con le parole di Henri-Irénée Marrou, “un tale amore non era, non è, ontologicamente vitale”.
Che razza di amore è, un amore che non viene consumato, che è indirizzato a una donna già sposata e che per definizione non va al là del flirt perché in fin dei conti il gioco dell’amore è solo un gioco, come avrebbe detto un qualsiasi trovatore medievale?

Una roba così, per dirla con Marrou,

può essere solo un momento dialettico, un lampo, uno smarrimento che si deve saper trascendere sotto pena di vederlo svanire in illusione: lo dimostra, d’altronde, la storia stessa della poesia dei trovatori.
Breve storia: due secoli, e il secondo è già di decadenza. La loro vena si è ben presto inaridita: non la crociata degli Albigesi, né la conquista francese […], né il terrore o le molestie dell’Inquisizione (come pure è stato detto) l’hanno uccisa; essa è morta del suo proprio esaurimento.

Diciamo che tutti i fattori elencati sopra hanno probabilmente dato una netta accelerata alla chiusura di questo movimento letterario. Ma Marrou ha molta ragione nel dire che il momento letterario si trovava già in una fase di decadenza. La crociata contro gli albigesi e la conquista francese dei regni meridionali crearono un forte squilibrio politico nelle zone in cui operavano i trovatori, spingendo molti di loro alla diaspora. Ma se anche non fosse cambiata la situazione politica nella loro terra, sarebbero stati i mutamenti socio-culturali a rendere inevitabile un netto cambiamento nella poetica dei trovatori, “così come si esaurisce, si purifica o supera se stesso ogni amore adolescente”, osserva Marrou.

***

Più volte, in questi mesi, mi è stata posta la legittima domanda: si sa qualcosa sulla vita privata dei trovatori? Che cosa facevano questi strani tipi, a parte cantare amori idealizzati per donne irraggiungibili?

Curiosamente, è stato calcolato che (per quanto riguarda i trovatori di cui abbiamo notizie biografiche storicamente affidabili), circa un terzo di questi personaggi scelse, a un certo punto, di indossare l’abito religioso e chiudersi in convento. I cistercensi piacevano un sacco a questi VIP dell’epoca: l’abbazia di Dalon accolse Bernart de Venadorn e Betran de Born; Perdigon cercò rifugio nell’abbazia di Silvacane; Folchetto da Marsiglia soggiornò a lungo nell’abbazia di Thoronet, prima di diventare vescovo di Tolosa.
Riguardo a Folchetto di Marsiglia (che, per la cronaca, la Chiesa venera oggi come beato) si racconta un aneddoto che è al tempo stesso eloquente e curioso. Quando il religioso divenne vescovo di Tolosa, e dunque tornò a vivere nel mondo, prese l’abitudine di fare penitenza ogni volta che, camminando per la strada, gli capitava di sentire un giullare che cantava le canzoni che lui stesso aveva composto in gioventù. È un aneddoto piuttosto verosimile, e a suo modo significativo: questi trovatori, una volta entrati in convento, non si dedicarono mai alla poesia religiosa (che pure avrebbe indubbiamente beneficiato della loro arte esperta, colta e raffinata). Varcate le porte del chiostro, questi poeti tacquero. Davvero sembrava che, dopo aver abbandonato gli ideali dell’amor cortese, essi non avessero più saputo o voluto trovare un senso al loro trovare.

***

Non tutti i trovatori si rinchiusero in un chiostro, questo è ovvio.
Molti altri, semplicemente, cercarono fortuna altrove nel momento in cui il crollo delle corti occitane suggerì loro di abbandonare la Francia del Sud per migrare verso regni più saldi e prosperi.

In Italia, la corte di Monferrato fu uno dei principali centri d’attrazione sotto l’egida del marchese Bonifacio († 1207) che ebbe l’onore e il piacere di ospitare Raimbaut de Vaquerais, una delle più grandi star dell’epoca (e in effetti di tutti i tempi, visto che è sua quella che è probabilmente la canzone medievale più famosa in assoluto: Kalenda Maia).

Nelle corti della Francia settentrionale, l’amor cortese arrivò attorno al 1137 come parte del corredo nuziale di Eleonora d’Aquitania (non a caso, nipote di Guglielmo IX, il primo dei grandi trovatori). Ma fu soprattutto Maria de Champagne, figlia primogenita di Eleonora, a radunare attorno a sé un vasto numero di letterati che diedero all’amor cortese nuova forma e nuova linfa. È alla corte di Maria de Champagne che Andrea Cappellano († 1220) vergò il De Amore e che Chrétien de Troyes († 1190 ca.) segnò il futuro della letteratura medievale con due innovazioni dalla portata dirompente.
Uno: iniziò a scrivere in prosa, dando il via al genere letterario del romanzo cortese (e scusatemi se è poco). Due: rielaborò il materiale che arrivava da Oltremanica e che, in forma ancora un po’ confusa, stava cominciando a conglomerarsi per dare origine a ciò che chiamiamo oggi “ciclo arturiano”. Su quel materiale, Chrétien volle lasciare la sua firma… e la lasciò in modo duraturo: fu il primo a coinvolgere i cavalieri della Tavola Rotonda nella ricerca del misterioso Graal, e soprattutto fu l’autore cui va dato il merito di aver inventato il personaggio di Lancillotto (e, come dire… scusatemi se è poco!).

Tra il 1215 e il 1235, gli sforzi letterari avviati da Chrétien videro la loro piena realizzazione, per mano di autori anonimi, nel ciclo del Lancillotto-Graal, un’opera complessa (che sarebbe) dalla struggente bellezza (se non fosse anche un polpettone medievale in sette volumi, dalla lettura francamente un po’ pesante per i canoni d’oggi. Ahimè).
Il ciclo del Lancillotto-Graal fu composto in Francia, ma non gli ci volle molto per far parlare di sé in tutta Europa e contestualmente riattraversare la Manica, andando a influenzare tutta la letteratura che sarebbe stata lì composta da quel momento in poi.

Se, in Inghilterra, gli ideali dell’amor cortese trovarono spazio attorno alla Tavola Rotonda, in Germania furono reinterpretati dalla poesia malinconica dei Minnesänger, che vide il suo periodo di massimo splendore attorno al 1170. Poeti di corte e cavalieri, i Minnesänger, proprio come i trovatori, erano vittime che non avrebbero mai potuto realizzare. E che tuttavia forse non avrebbero nemmeno voluto realizzare per davvero: è raro che nelle loro poesie compaiano ostacoli come la gelosia del marito o l’invidia dei maldicenti, che così tanto avevano angosciato i cantori occitani e che fornivano loro una motivazione pratica alla mancata realizzazione del desiderio. Ancor più dei trovatori, i Minnesänger sembrano amare l’idea stessa d’amore in un sentimento fine a se stesso (…e nel frattempo si dedicano a mille avventure cavalleresche. Immaginiamoceli come una specie di Lancillotto, ma scarso di testosterone. Fu un’esperienza letteraria di singolare sfortuna).

L’amor cortese impiegò un po’ più di tempo per raggiungere la penisola iberica: è vero che la corte di Castiglia cominciò ad accogliere trovatori a partire dal 1150, ma è altrettanto vero che ci vollero altri novant’anni per vedere svilupparsi in Spagna una poesia amorosa capace di staccarsi dalla tradizione occitana per esprimere caratteristiche sue proprie. E furono decisamente assai curiose, le caratteristiche che questa poesia volle darsi: gli schemi e la ritualità dell’amor cortese furono ripresi con sistematica precisione… ma furono indirizzati a una donna un po’ sui generis: la Madonna. Pura tra le vergini e più virtuosa d’ogni altra donna, solo lei veniva considerata degna di un amore che, a buon diritto, poteva ormai trasformarsi in venerazione.

E in Italia?
Abbiamo già citato l’esperienza dei trovatori trasferiti presso la corte del Monferrato; ma la prima forma di amor cortese made in Italy prende corpo nell’Italia meridionale, attorno alla corte di Federico II. Successivamente, in Toscana, i poeti del Dolce Stil Novo cercheranno di mediare tra la tradizione trobadorica e l’innovazione siciliana dando il via a un’esperienza letteraria che somiglia a qualcosa che avrebbe probabilmente potuto scrivere un menestrello occitano che aveva fatto studi filosofici e che stava attraversando una brutta crisi depressiva facendosi un sacco di pare mentali.
E poi naturalmente vennero Dante e poi Petrarca; ma questa è tutta un’altra Storia.

***

E nella Storia di oggi?
Esiste ancora, in qualche modo, nella nostra contemporaneità, qualche rimasuglio o qualche eco di quell’antico amor cortese?

Certamente esiste nella nostra “ritualità” amorosa, quando si dice che un uomo galante è “un vero cavaliere” o quando quel galantuomo offre inconsapevolmente omaggio feudale alla sua donna inginocchiandosi di fronte a lei per chiederle “mi vuoi sposare?”.

Ma l’influenza duratura dell’amor cortese non si limita a qualche gesto formale. Autore del saggio The Making of Romantic Love, William Reddy attribuisce ai trovatori il merito di aver creato l’amore romantico in sé e per sé. Un sentimento che, secondo lo studioso, fino a quel momento non esisteva e che nasce come amalgama in cui coesistono ben dosati l’eros pagano e l’agape cristiana. Suggestiva è pure la lettura fornita da Charles Baladier in Erôs au Moyen Âge: in questo caso, l’autore ritiene che i trovatori crearono tale amalgama con intenzione deliberata, nel tentativo di trasporre sul piano laicale quell’amore-agape predicato dai monaci. In fin dei conti, proprio come l’agape, anche il fin’amor dei trovatori è un sentimento che rende l’uomo migliore e lo spinge a superare se stesso.

In un saggio di recente pubblicazione, The Legacy of Courtly Literature from Medieval to Contemporary Culture, Deborah Nelson-Campbell e Rouben Cholakian raccolgono i contributi di diversi studiosi per analizzare se (e come) l’amor cortese faccia ancora risuonare la sua eco nella letteratura e nella cinematografia moderna.
I saggi sono tutti piuttosto interessanti, ma molto suggestivo è quello a firma di Raymond Cormier, che riallacciandosi alla classica battuta da film, “You Make Me Want to Be a Better Man”, arriva a parlare esplicitamente di Courtly Values Revived in Modern Film.
Numerosi sono gli esempi che l’autore porta a sostegno della sua tesi; e se non turberà nessuno sentir parlare di un revival dell’amor cortese nei cartoni Disney o nei film di ispirazione fantasy, potrebbe forse suscitare più stupore venire a sapere che l’autore ritiene Pretty Woman un perfetto esempio di fin’amor aggiornato al giorno d’oggi. L’evoluzione cui va incontro il personaggio maschile (un avido magnate senza cuore che gradualmente si trasforma in onesto imprenditore grazie al suo amore per la bella Vivian) viene accostato da Raymond Cormier all’evoluzione di cui è protagonista Lanval nell’omonimo scritto cortese di Maria di Francia.
Anche in quel caso il solitario cavaliere – avido, arrivista e con un cuore di ghiaccio – cambierà dopo l’incontro con una donna misteriosa che gli insegnerà ad apprezzare la generosità e la bellezza di donarsi al prossimo. “La gentilezza e l’amore saranno la sua salvezza, proprio come accade a numerosi personaggi maschili della cinematografia moderna” da Casablanca in poi, scrive Raymond Cormier. Il quale, ovviamente, è ben consapevole del fatto che gli sceneggiatori di Pretty Woman non stavano certo pensando al Lanval quando si sono messi a tavolino: l’amore che redime e trasforma l’innamorato nella versione migliore di se stesso è un tema che potremmo definire a buon diritto “universale”; di certo, non è legato all’amor cortese in sé e per sé.
Epperò, è pur vero che è stato l’amor cortese a introdurlo per la prima volta nella Storia occidentale. In una certa misura, è vero che indirettamente siamo debitori ai trovatori ogni volta che pronunciamo frasi sdolcinate sulla linea di “per amor tuo, voglio essere un uomo migliore”.

Firmando l’introduzione al saggio di cui sono i curatori, Nelson-Campbell e Cholakian scrivono che, a loro giudizio, la tradizione medievale dell’amor cortese, ammodernata per riadattarsi al giorno d’oggi,

non si limita ad essere ancora decisamente assai vitale: è una tradizione che, senza ombra di dubbio, ci accompagnerà ancora a lungo. La celebre affermazione di C. S. Lewis secondo cui la nostra idea di amore romantico deve molto all’idea medievale di fin’amor non è la boutade di un accademico di Oxford: è una reale percezione, letteraria e sociologica, che merita d’essere presa in seria considerazione.

5 risposte a "Cosa resta dell’amor cortese"

  1. Paolino

    Leggendo questi articoli, mi è venuto in mente (con un sorrisetto, però 😛 ) che qualcosa di simile è successo a me o potrebbe alla lontana ricordarlo: anni fa, mentre lavoravo con i miei soci (sono socio di una Sas che fa lavori elettrici e in parte anche climatizzazione) alla conversione dal 220 al 230 V di un condominio, ho fortuitamente conosciuto una sarta che aveva il laboratorio in uno dei locali d’affari. Quasi per scherzo ci siamo scambiati gli indirizzi. Siamo insieme da allora, anche se abbiamo il problema di stare in due città diverse.
    Ci sta l’amore da lontano e poteva finire come la pastorella… forse anche altro.
    La mia “eterna fidanzata” era già allora vedova e ha “qualche” anno più di me, questo mi pare che l’amor cortese non lo ha mai cantato. O sì?

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  2. Lurkerella

    Anche nell’amore dei fan per artisti e sportivi rimane una vaga eco di questa idea dell’amore a senso unico, tanto più elevato quanto meno ricambiato, e alimentato dalle virtù dell’amato.

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  3. Elisabetta

    “Un’esperienza letteraria che somiglia a qualcosa che avrebbe probabilmente potuto scrivere un menestrello occitano che aveva fatto studi filosofici e che stava attraversando una brutta crisi depressiva facendosi un sacco di pare mentali”🤣🙌

    Io credo di aver avuto la fase di amor cortesa dai 12 ai 15 anni per un ragazzo della mia scuola che oggi reputo assolutamente improponbile.
    Mi chiedo cosa succedesse a tutti questi menestrelli con la vecchiaia ( loro e quella delle loro dame)… non tutte sono passate a miglior vita come Beatrice o Laura ….

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