Corpse Reviver: il cocktail anti-pandemia

Diamo a Cesare quel che è di Cesare: una donna astemia non è, probabilmente, la persona più adatta in assoluto per improvvisarsi bartender. È però quel tipo di persona che potrebbe ritrovarsi ad avere in libreria un libro dedicato ai cocktail nell’era del proibizionismo. Tipo – che ne so – il libretto Prohibition Cocktails a cura di Denitta Ward.

Che enorme delusione, quel libro.
Enorme delusione per un astemio, intendo: io l’avevo comprato nella convinzione di trovarci ricette storiche per cocktail analcolici. Tutto il contrario: il libro parla delle ricette che andavano in voga durante gli anni del Proibizionismo in quei locali clandestini nei quali si continuava a servire alcool.

Servire alcool durante il Proibizionismo implicava compiere gesta illegali, va da sé.
Eppure, non bastava esser disposti a viver ai margini della legge per poter gustare un buon cocktail come si deve: infatti – ci spiega Denitta Ward – i liquori prodotti da distillerie clandestine erano quasi sempre bevande di qualità scadente, che non potevano competere coi sapori complessi e equilibrati delle bottiglie d’annata uscite da cantine di un certo livello. Insomma: quand’anche si fosse stati disposti a sfidare la legge per portarsi a casa una bottiglia d’amaro, non sarebbe comunque stato consigliabile sorseggiarlo così, in purezza. Molto probabilmente, il confronto col bicchierino “di prima” sarebbe stato impietoso.

Secondo Denitta Ward, fu proprio la bassa qualità di molti liquori clandestini a determinare il rapidissimo boom delle bevande miscelate. Nacque in quegli anni la moda dei cocktail, che (a forza di aromi, dolcificanti, guarniture di frutta e amalgame studiate ad arte) riuscivano a tirar fuori bevande gradevoli anche a partire da ingredienti non eccelsi.
Certo: drink alcoolici miscelati ad altre sostanze esistevano anche prima del Proibizionismo. Ma fu proprio nel 1920, con l’entrata in vigore del Voldstead Act, che la moda dei cocktail fece il boom negli USA.

Casualmente, nel 1920 gli USA stavano affrontando un altro fenomeno degno di nota: l’epidemia di influenza spagnola.
Ed è qui che il mio pezzo entra nel vivo: perché se volete festeggiare l’ingresso nella Fase 2 con il cocktail anti-pandemia per eccellenza… beh: allora dovete assolutamente provare il cocktail col quale i nostri bisnonni tentarono di esorcizzare la paura della spagnola. Il Corpse Reviver.

A dire il vero, il cocktail non nasce in concomitanza con l’epidemia influenzale: la bevanda esisteva già da prima. Con un nome che è già tutto un programma, il Corpse Reviver prometteva di… poter resuscitare i morti: una categoria nella quale potevano anche esser fatti rientrare gli avventori stressati, i ragazzotti debolucci e imberbi, i clienti che finalmente tornavano al bar dopo una lunga malattia. Harry Craddock, che negli anni ’30 era bartender all’Hotel Savoy di Londra, raccomandava di assumere questo cocktail “entro le 11 del mattino” (!) “o tutte le volte che si sente bisogno di energie extra” (avvisando – bontà sua – che “l’assunzione di quattro bicchieri in rapida successione potrebbe far tornare cadavere il corpo precedentemente rivitalizzato”).

E tuttavia: nel periodo immediatamente successivo all’esplosione dell’epidemia, il Corpse Reviver beneficiò di una improvvisa, straordinaria popolarità. Ne parla la storica la storica Catherine Arnold nel suo Pandemic 1918: tra il serio e il faceto, il cocktail veniva pubblicizzato come bevanda capace di tener lontana la malattia e di guarire chi per disgrazia l’avesse contratta.
Ovviamente, si trattava di battute e nulla più, alimentate dal nome stesso del cocktail; insomma: un modo come un altro per esorcizzare la paura. E tuttavia, questa bevuta scaramantica poteva anche nascondere un briciolo di speranza vera: durante l’epidemia di Spagnola, era convinzione comune che l’assunzione di bevande alcooliche potesse proteggere dal contagio. Era, ovviamente, una diceria popolare (che curiosamente ha avuto un revival anche nel corso di questa pandemia!), mai suffragata dalla scienza medica. Ma intanto la diceria circolava, rendendo particolarmente attraenti quei bicchierini ripieni di alcool.
…che se poi venivano riempiti di Corpse Reviver, attraevano ancor di più. Anche perché uno degli ingredienti base del coktail era un liquore francese, ormai fuori produzione, aromatizzato al chinino. E il chinino era all’epoca una sostanza universalmente nota per le sue capacità antifebbrili.

Insomma… capite bene che le caratteristiche di questo drink cominciavano a farsi interessanti. Per la serie “non ci credo, però fa ridere, e comunque non si sa mai” molti dei nostri avi sembrarono decidere che un bicchierino in più non fa mai male. E così, quel cocktail nato in un bar clandestino degli anni ’20 divenne, tra il serio e il faceto, il perfetto drink anti-pandemia.

***

Come dite? Volete la ricetta?
Quella originale, purtroppo, è impossibile a ricrearsi. Ce la tramanda Harry Craddock nel suo The Savoy Cocktail Book, edito nel 1930: il problema è che uno degli ingredienti base era il Kina Lillet, un liquore francese amarognolo dal gusto reso pungente dall’estratto di chinino che lo aromatizzava. Uscito di produzione negli anni ’60, il Kina Lillet fu sostituito dal Lillet Blanc, che ha un sapore marcatamente più dolce.

Insomma: la cattiva notizia è che non riusciremo mai a ricreare il vero Corpse Reviver dell’epoca della spagnola. La buona notizia è che il Lillet Blanc è ancora in commercio… e quindi, ecco a voi la ricetta del cocktail, riveduta e aggiornata. In versione 2020, per così dire!

1 oncia di gin
1 oncia di Lillet Blanc
1 oncia di liquore all’arancia
1 oncia di succo di limone
1 goccio di assenzio

Miscelare tutti gli ingredienti in uno shaker per cocktail. Aggiungere ghiaccio, shakerare bene e versare in bicchiere gelato. Guarnite con una buccia di limone e servite ancora freddo

17 risposte a "Corpse Reviver: il cocktail anti-pandemia"

  1. Elisabetta

    Ahahahahaha
    ” l’avevo comprato nella convinzione di trovarci ricette storiche per cocktail analcolici” ….Il tizio dall’espresione di chi la sa lunga e la maschietta dietro(scesi da auto per traffici sullo sfondo) chiaramente sembrano proprio due borghesi esperti in shirley temple, limonate e spuma……

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    1. Lucia

      😥😥😥

      Hai indubbiamente le tue ragioni.
      Ma io sono una cittadina onesta, non sono abituata a vivere ai margini della legge e nemmeno lo concepisco!
      Dovevano intitolarlo “cocktail ILLEGALI del Proibizionismo” e allora ci saremmo capiti 🤣

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  2. Elisabetta

    A parte gli scherzi, quando iniziò il proibizionismo cosa se ne fecero di litri e litri di liquori, oltre che annate di ottimo vino stipate nella cantine? Eri obbligato a gettarli via?

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    1. Lucia

      🤔
      Questa è una buona domanda.
      Di cui non conoscevo assolutamente la risposta, ma sono andata a curiosare nell’introduzione al mio libro sui cocktail del Proibizionismo, che mi dice questo: la legge sul proibizionismo era stata approvata nel 1919 ma con la clausola che sarebbe entrata in vigore solo nel 1920. Quindi c’è stato un intero anno durante il quale i produttori di alcoolici hanno avuto il tempo di svuotare i magazzini, una operazione che presumo sia stata agevolata dal fatto che la legge consentiva comunque il consumo ad uso personale di alcoolici, a patto che avvenisse in abitazioni private e facendo uso di bevande comprate entro il 1920.
      Quindi penso che i produttori di vino e liquori abbiano avuto una certa facilità a trovare clienti desiderosi di fare ampie scorte 😆

      Anche dopo il 1920, comunque, il commercio non era completamente vietato, cioè: erano contemplati degli specifici ambiti nei quali gli alcoolici potevano ancora essere venduti.
      Il primo caso era quello degli alcoolici (o delle tinture a base alcoolica) vendute a scopo medico nelle farmacie.
      L’altro caso era il vino ad uso sacramentale: una chicca meravigliosa di cui ho raccontato le implicazioni qui -> https://unapennaspuntata.com/2015/01/16/vino-messa-proibizionismo/

      Quindi penso che alcuni dei produttori che esistevano prima abbiano continuato la produzione anche dopo, magari modificando il tipo di prodotto per renderlo conforme alla legge…

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  3. Elisabetta

    Ancora più inquietante, pur essendo quasi astemia, come mai potrei riprodurre questo cocktail proprio ora? Non ho il lillet ma ho il vermouth…e anche l’assenzio….. Sono una sorpresa per me stessa

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          1. blogdibarbara

            Spero che non farai come quella mia amica a cui il principale, di famiglia contadina, aveva regalato una bottiglia di grappa fatta in casa, una roba sublime, paradisiaca, da andare in estasi, e siccome sia lei che la sua coinquilina erano astemie, la usava per disinfettare il bagno. Ho detto ok, questa me la porto a casa io e di disinfettante te ne regalo quattro bottiglie.
            Io comunque non ho mai sanificato niente, mi sono lavata le mani con la stessa frequenza di prima e, sì, ogni tanto mi sfrego gli occhi, occasionalmente le metto anche in bocca, e nonostante la molto veneranda età il virus non mi è corso dietro.
            Comunque se stai solo tentando di sviare il discorso, ti informo che non ha funzionato. 😛

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          2. Lucia

            🤣

            Con l’occasione, anche io voglio precisare che non sono così disperatamente astemia da usare per pulire il bagno i liquori che mi arrivano in casa 🤣 Li uso per aromatizzare i dolci, dove in effetti gradisco molto il sapore di liquore (amo la torta al rhum).

            Certo, se la gente la smettesse di regalarci bottiglie di grappa a Natale sapendo che io sono astemia e che mio marito non ama i super-alcolici e gradisce solo la birra… 🙄

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          3. Elisabetta

            No Barbara , massimo rispetto per cultura contadina e tutto quello che producono le mani dell’uomo. Stavo ovviamente scherzando. Anzi, ho delle bottiglie vintage che medito di vendere, ho scoperto che esiste un mercato.
            Sì, in ogni caso stavo cercando di cambiare argomento, detesto il gin!!!!

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          4. blogdibarbara

            @Lucia: mi viene in mente un programma di tanti anni fa alla televisione in cui andavano delle famiglie con due figli e poi facevano domande ai genitori sui figli e viceversa per vedere quanto fossero affiatati. Una volta c’era la famiglia di un pastore Avventista del settimo giorno; da loro l’alcol non è che sia formalmente proibito, però è disapprovato, e in sostanza loro non ne bevono. Quando a una delle figlie hanno chiesto di raccontare il peggior disastro combinato dalla madre, lei ha raccontato di quando un vicino ha regalato una bottiglia di vino. Cosa fare? Dire hai sbagliato regalo non è cortese, lasciarla lì non ha senso, riciclarla non è simpatico… Finalmente la madre ha avuto l’idea geniale: avete presente quando su una pietanza o dolce versano dell’alcol e poi gli danno fuoco? Possiamo fare così: diamo fuoco al vino, così l’alcol si brucia e noi possiamo bere il liquido ripulito. Quando finalmente sono riusciti a spegnere l’incendio hanno dovuto rifare mezza cucina.

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          5. blogdibarbara

            @Elisabetta: no, il sapore del gin non piace neanche a me, se hai solo quelle rinuncio all’indirizzo, se invece hai anche dell’altro… Casomai se non vuoi darmi l’indirizzo tu, ti do io il mio: abito in un appartamento con vista mare e ho anche una micro-camerina per gli ospiti.

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          6. Elisabetta

            🙂
            La vista sul mare quotidiana deve essere stupenda. Non riesco a capacitarmi , da brava emiliana, di come si possa uscire di casa ed aver il lungomare disponibile per passeggiate… un lusso. Chi invece vive al mare e si ritrova a vivere in una città senza ne soffre moltissimo.

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