Problemi di insonnia? Mannò: forse, dormi solamente come un antico

Una affermazione che potrebbe far storcere il naso: e che, adesso salta fuori che ‘sti pazzi del passato avevano addirittura un modo antico per dormire?
Beh, in effetti sì – e se ci pensiamo a mente fredda, la cosa non dovrebbe neanche stupire più di tanto. Nei secoli passati, la gente non viveva mica in appartamenti dotati di illuminazione artificiale. Certo: candele e lampade a olio non mancavano, ma non erano neanche esattamente a buon mercato; la gente cercava di centellinarle, non le sprecava inutilmente se non ce n’era bisogno.

Ma allora: in un contesto in cui, dopo il tramonto del sole, non si vede un tubo e le normali abitazioni non offrono grandi possibilità di svago, cosa diamine dovrebbe fare una brava persona, stanca dopo una giornata di lavoro?
La risposta mi sembra ovvia: dovrebbe mettersi a letto per godersi il meritato riposo.
E così, infatti, faceva, ficcandosi sotto le coperte il prima possibile.

***

Qualche anno fa, nei siti dedicati alla divulgazione storica, ha suscitato un certo scalpore il saggio monumentale che Roger Ekirch ha dedicato alla storia del sonno nei secoli. Distinguished Professor alla Virginia Tech, Ekirch ha riassunto nel suo At Day’s Close: Night in Times Past il frutto di ricerche pluri-decennali che abbracciano per intero il vasto arco cronologico che va dall’antichità alla tarda età moderna. Forte dell’analisi di una miriade di fonti, e danzando agilmente tra storia, antropologia e ricerca medica, Ekirch giunge a quella conclusione neanche-troppo-sorprendente di cui dicevo in apertura. E cioè: in Times Past, per citare il titolo del suo libro, la gente aveva un modo di dormire che era completamente diverso rispetto a quello che adottiamo noi oggi.

Era innanzi tutto una questione di orario, come accennavo. Fare le ore piccole era privilegio dei ricchi, cioè di quelle persone che potevano permettersi di spendere parecchi soldi per illuminare le loro case fino a tarda a sera… e che (dettaglio non meno importante) avevano uno stile di vita che rendeva effettivamente desiderabile il fatto di andare a letto tardi.
Vale a dire: tipicamente, i ricchi non arrivano a sera portandosi sulle spalle quel carico di stanchezza che accompagnava invece un popolano stanco per una giornata di lavoro. Secondariamente: un palazzo d’un certo livello offriva sicuramente ai suoi abitanti mille svaghi di vario tipo, con cui poteva effettivamente essere piacevole intrattenersi fino a tardi.

Ma che dire, invece, della gente normale?
Che dire di un onesto lavoratore che, la sera, rincasava stanco dopo una giornata faticosa e desiderava solo buttarsi a letto per godersi il riposo dei giusti?
Giustamente se lo godeva (mica era un masochista!) andando a letto poco dopo aver cenato. Tendenzialmente, entro le 21:30 o le 22:00 al massimo la maggior parte della gente era già sotto le coperte – per quanto Ekirch ci tenga a sottolineare che l’orario della messa a letto poteva variare (e sensibilmente!) in relazione al periodo dell’anno. Nei mesi invernali, quando il sole tramontava presto (e, oltretutto, faceva un freddo boia) si cercava se possibile di infilarsi sotto le coperte ancora prima; in estate, quando le ore di luce aumentavano, era frequente prolungare il periodo di veglia.

Per amor di semplicità, diciamo che indicativamente la gente andava a dormire attorno alle 21:30 in media.
E fin lì, niente di troppo strano… ma la stranezza sta per arrivare. Tutte le fonti in nostro possesso (ed Ekirch ne sciorina a centinaia) ci permettono di affermare che gli antichi dormivano secondo quel modello che oggi è noto come “sonno bifasico”.
Vale a dire: non facevano un’unica tirata di otto ore consecutive, dormendo ininterrottamente dalle 21:30 fino al momento di svegliarsi. Al contrario: andavano a dormire molto presto, riposavano per circa quattro ore, poi si svegliavano spontaneamente attorno alle due di notte o giù di lì, e restavano vigili per circa un’ora o due. Dopodiché, come se fosse la cosa più normale del mondo, tornavano a letto per godersi una seconda tranche di sonno.

Badate bene: non stiamo parlano di pietosi casi di insonnia collettiva. Questo pattern di sonno, che a noi sembrerebbe una jattura, era anticamente la normalità assoluta. Che dormire in due fasi diverse fosse la cosa più normale del mondo si rifletteva addirittura nel linguaggio. Analizzando fonti documentarie e narrative provenienti da tutto l’Occidente, Ekirch fa notare che ogni lingua aveva sviluppato una distinzione tra il “primo” e il “secondo sonno”.

Uno degli esempi eclatanti è Sancio Panza, personaggio caratterizzato da tanti aspetti caricaturali tra cui – evidentemente – non si può non citare quello per cui “il bravo scudiero dormiva ordinariamente un sonno solo dalla sera fino al mattino”. Una abitudine evidentemente fuori dal comune che a più riprese suscita lo sdegno sconvolto di Don Chisciotte (il quale, invece, abbisognava solamente del primo sonno, cioè dormiva non più di quattro ore a notte, restio a concedere più di tanto ai bisogni della natura).
Anche Boccaccio usa frequentemente le forme “primo” e “secondo sonno”; e anzi le utilizza in senso temporale, per indicare quelle porzioni della notte in cui avevano luogo le due fasi del sonno. Nella prima novella della nona giornata, il protagonista è pregato di recarsi sulla tomba di Scannadio “in sul primo sonno” (ovverosia: prima dell’una); nella terza novella della quinta giornata, il povero Pietro se la vede brutta trovandosi costretto a passare la notte appollaiato sopra una quercia – e come se non bastasse, ecco “in sul primo sonno venir ben venti lupi” ad accerchiare il suo rifugio. Ed è ancora lunga, prima che arrivi l’alba; sarà una notte di tormento, per il tapino.
E che dire poi di Nelly Dean, il personaggio di Cime Tempestose, che un bel dì viene buttata giù dal letto “nel cuor della notte, mentre ero immersa nel primo sonno”, per accogliere gli sfoghi della signora Linton che, come se niente fosse, le entra in camera da letto con l’intenzione di far due chiacchiere?

Non so che tipo di persone siate voi – ma se una mia amica mi entrasse in camera da letto nel cuor della notte per sfogarsi con me dei suoi problemi, rischierebbe assai probabilmente di beccarsi un abat-jour in testa. Ma il punto è proprio questo: la signora Linton non stava facendo niente di strano, per quell’epoca. Probabilmente aveva avuto un po’ troppa fretta nel bussare alla porta di Nelly, trovandola ancora addormentata; ma a parte quel dettaglio relativo alla tempistica, non aveva fatto nulla di poi incivile.

In quel periodo di veglia collettiva tra il primo e il secondo sonno, la gente non se ne stava certamente a letto a rigirarsi sotto le lenzuola e a fissare il soffitto. Anzi: c’era una lunga serie di attività che potevano esser svolte in quel lasso di tempo!
Era socialmente accettabile, innanzi tutto, alzarsi dal letto e scambiar due chiacchiere con le altre persone che erano in casa. Quando il clima lo consentiva, poteva anche venir voglia di sgranchirsi le gambe in giardino. Se ci si rendeva conto che anche il vicino di casa era in piedi a godersi il fresco, non c’era nulla di più normale che bussargli alla porta per scambiare convenevoli attorno alle due di notte.
I libri di preghiere sono stracolmi di preci da recitare nel cuor delle tenebre. E quando leggiamo che, nei monasteri, i religiosi si riunivano attorno alle due di notte per recitare coralmente il Mattutino, faremmo meglio a non lasciarci impressionare più di tanto: a noi moderni sembra un sacrificio ascetico; per loro era, banalmente, un buon modo per occupare il tempo in un orario in cui si era svegli comunque.
Probabilmente, pregava per i fatti suoi anche la gente comune, nell’intimo della sua casetta. Quasi sicuramente, molti meditavano sui sogni appena fatti. Le massaie si mettevano in piedi per fare piccoli lavori domestici che non abbisognassero di troppa luce (che ne so, impastare il pane; andare a mungere la mucca). Intellettuali e letterati accendevano invece un moccolo di candela e approfittavano frequentemente di quel lasso di tempo per mettersi a tavolino e scrivere qualche cosa.
Ancor più piacevole l’occupazione notturna delle coppie che stavano cercando di avere un figlio: si riteneva che i rapporti sessuali consumati nel cuor della notte fossero particolarmente fertili (…e significativamente più godibili), sicché i medici consigliavano con decisione di sfruttare in tal modo quel lasso di tempo.

Ecco: i medici. Già che ci siamo, soffermiamoci un po’ di più sul loro ruolo in questa Storia, giusto per sottolineare un concetto che evidentemente Roger Ekirch vuole ribadire con particolare urgenza. Lo ripeto ancora una volta: non si trattava di tristi fenomeni di insonnia collettiva. Quello che sto descrivendo era il normale modo di dormire.
Anzi: l’autore fa notare che l’insonnia sembra essere una malattia moderna, che comincia a essere trattata nei testi medici solo a partire dal XIX secolo inoltrato. Prima di quella data, era raro che un medico si trovasse a dover trattare un paziente con un disturbo del sonno. Per carità – capitava, ogni tanto, ma era una stranezza tale da dover essere messa agli annali: l’autore cita ad esempio il caso di un certo Pierre de Béarn, gentiluomo trecentesco che accusò disturbi del sonno dopo un evento traumatico (uno scontro con un orso gigantesco nel quale il cavaliere aveva rischiato di soccombere).
Ma, salvo casi rari e eccezionali, i disturbi del sonno non sembravano impensierire i medici del passato. Si direbbe che (nonostante le case fredde, i giacigli scomodi, le camere da letto sovraffollate e le mille fonti di disturbo che sicuramente derivavano dalla presenza di topi, insetti e latrati del bestiame…) i nostri antenati dormissero mediamente meglio di noi, che pure ci armiamo di materassi ergonomici, pasticche di melatonina e dispositivi per il white noise.

***

Le cose cominciarono a cambiare, gradualmente, durante la prima rivoluzione industriale.
Il primo vero punto di svolta fu la presenza di illuminazione artificiale esterna: nel 1667, Parigi fu la prima città del mondo a illuminare artificialmente le sue strade. Lille e Amsterdam la seguirono a stretto giro; entro la fine del secolo, almeno una cinquantina di altre grandi città europee avevano preso l’abitudine di illuminare a giorno le proprie strade.
Se questo dettaglio cominciò a influenzare impercettibilmente il riposo delle persone che vivevano in città, ben più percettibile fu, nell’arco di qualche decade, la rivoluzione nei ritmi sonno-veglia che fu imposta a tutti gli operai dal neonato lavoro in fabbrica.

Ma, a dire il vero, sarebbe riduttivo metterla banalmente in questi termini. In una società in profondo cambiamento come fu quella settecentesca, anche il sistema di valori mutava. L’operosità e il dinamismo erano diventati i nuovi diktat; la pigrizia e il perdere tempo s’erano trasformati nei grandi peccati laici. “L’uccello mattutino cattura il più bel verme”, recitava in quegli anni un proverbio che era un po’ l’omologo di quello nostrano, per cui il mattino ha l’oro in bocca. Nel XIX, cominciarono addirittura a formarsi in giro per il mondo delle Early Rising Associations che propagandavano il risveglio precoce come mezzo attraverso il quale far fiorire la società e prosperare l’economia.

Roger Ekirch cita un testo medico del 1829 nel quale si invitano le madri a far dormire i neonati in un’unica tirata notturna, sconsigliando anzi il pisolino in quanto pratica fortemente dannosa (e latrice di mille vizi in età adulta). E, pian piano, con gradualità, lo stesso fenomeno cominciò ad abbracciare anche il mondo degli adulti.
Sempre più di frequente, la gente si trovava a lavorare in luoghi che erano fisicamente lontani dall’abitazione, con conseguente dispendio di tempo da dedicare al pendolarismo. Inevitabilmente, chi lavora lontano da casa rincasa più tardi: meno male che il costo delle candele s’era abbassato significativamente; l’illuminazione artificiale, ormai presente anche nelle abitazioni più modeste, rendeva possibile posticipare l’orario della messa a letto. Insomma: pian piano, si cominciò ad andare a letto più tardi, senza che ciò facesse slittare in avanti l’orario della sveglia mattutina (che anzi: per alcune categorie di lavoratori, cominciò a “suonare” prima ancora). Il periodo dedicato al riposo fu compresso in un’unica sessione di circa otto ore consecutive, nelle quali il sonno si appesantì e si fece probabilmente più profondo di quello goduto dai nostri progenitori. Insomma: era nato il modo di dormire che tutti noi adottiamo ancor oggi.

***

A titolo di curiosità, Ekirch cita nel suo saggio uno studio condotto nel 1992 da Thomas Wehr per conto del National Institute of Mental Health degli U.S.A. Sette volontari in buono stato di salute che non avevano mai sofferto di disturbi del sonno furono fatti vivere in un ambiente privo di illuminazione artificiale, che sprofondava nell’oscurità completa per quattordici ore al giorno. Nella prima fase dell’esperimento, si osservò che i volontari andavano a letto molto presto e dormivano per circa undici ore consecutive, probabilmente per compensare un debito di sonno accumulato precedentemente. Ma nell’arco di circa tre settimane, tutti i partecipanti avevano spontaneamente adottato quel ritmo di sonno bifasico che Ekirch ha così ben descritto per le società pre-industriali: i volontari andavano a letto presto, si svegliavano spontaneamente dopo circa quattro ore, restavano svegli per due o tre ore e poi tornavano a letto per altre quattro ore di sonno.

In una società come la nostra, gravata da un crescente problema di insonnia, questo esperimento fece un certo scalpore: la gente cominciò a chiedersi se non fosse il caso di tornare allo “stato di natura”, per adottare quei ritmi di sonno che evidentemente ci sono più consoni. Ekirch storce sempre il naso quando gli viene posto lo stesso interrogativo: gli pare una domanda di lana caprina, stante che ormai la società è cambiata e che sarebbe quantomeno bizzarro ricominciare a dormire sul ritmo medievale ma conducendo la vita di un uomo del Duemila.
Però, lo storico si diverte a lasciare qualche parola di incoraggiamento a quei derelitti che, pur vivendo nel Duemila, si trovano involontariamente a dormire come un medievale, gravati da quella fastidiosissima forma di insonnia che si manifesta con risvegli nel cuor della notte e con successiva difficoltà di ri-addormentamento.

Spiacevolissima situazione, dice Ekirch non senza una certa solidarietà: eppure, amici insonni, pensate che il vostro sonno è storicamente più normale del sonno di chi invece riposa in una tirata unica.
Insomma, dice lo storico: non sentitevi sbagliati. Non siete anormali, siete solo preindustriali.

18 risposte a "Problemi di insonnia? Mannò: forse, dormi solamente come un antico"

      1. Elisabetta

        1.Avere un’idea del passato e poi scoprire un fatto sconvolgente che ribalta quest’idea.

        2. Pensare di dover interrompere il sonno, anzi addirittura senza sveglie e orologi, per lavorare….credo che io semplicemente avrei dormito 10 ore e bona.

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        1. Lucia

          Sul punto 1: ribaltare le idee che la gente ha sul passato è la mia missione 😎😂

          Sul punto 2… beh ma sai, non è che fosse un dovere: è che la gente si svegliava proprio, di suo. Cioè: non è che uno si dovesse alzare dal letto per andare a mungere la mucca alle tre di notte; è che tanto eri già sveglio di tuo, e di riaddormentarsi non se ne parlava, quindi a ‘sto punto tanto valeva ottimizzare il tempo e portarsi avanti col lavoro, in modo da essere più liberi nel corso della giornata.
          A me, fortunatamente, capita di rado di svegliarmi di notte e di non riuscire più a riprender sonno per un paio d’ore, ma ogni tanto (molto raramente) capita. E in effetti anche io, quando mi capita, mi sveglio completamente e faccio cose (in genere, mi metto a leggere un libro). Quindi a me non fa strano che gli antichi approfittassero di quel lasso di tempo per svolgere attività varie: in fin dei conti, già che sei sveglio… 😛

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  1. vogliadichiacchiere

    Che sollievo . . . propagherò questa idea in famiglia! 🙂
    Visto che io ho questo tipo di sonno, nelle 2 ore circa in cui non dormo, a volte cerco di riordinare le cose in giro. Purtroppo tutti si lamentano che disturbo il loro sonno. Così resto a rotolarmi, delicatamente, nel lettone o leggo dal telefonino, così non devo accendere abat jour! 😀

    Che notte grama per noi, dormienti nel modo antico! 😉

    Ciao, Fior

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    1. Lucia

      🙂

      Leggevo che Ekirch, in una intervista, rispondendo a una domanda sul tema suggeriva a chi ha ancora questo tipo di sonno di approfittare delle ore di veglia per alzarsi dal letto, andare in un’altra stanza della casa cambiando posizione (es. seduto su una poltroncina comoda) e svolgere attività che richiedano poca luce, e soprattutto non includano la luce fredda dei dispositivi tipo cellulare etc.
      Lui suggeriva se non sbaglio di mettersi in poltrona con un libro “bello da leggere, ma non particolarmente avvincente” e di leggerlo alla luce bassa di un abat-jour con luce calda.

      Poi son consigli che lasciano il tempo che trovano ovviamente, tra l’altro lui è uno storico, non un medico 😉

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  2. mariluf

    Affascinante post!!!!! per certi versi mi piacerebbe ritornare senza preoccupazioni al modello preindustriale… Potrebbe servire magari per chi lavora a computer… Ma diventa difficile conciliarlo con i ritmi del resto del mondo. Grazie sempre!!!!

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    1. Lucia

      Ovviamente diventa difficile, pressoché impossibile, conciliarlo con i ritmi del resto del mondo. Ma io sono sempre stata dell’idea che il modello “standard” di sonno che va grossomodo da mezzanotte alle sette del mattino non sia necessariamente quello migliore per tutti.
      Io ad esempio riesco ad essere molto produttiva fino a tarda sera (vuoi farmi lavorare fino a mezzanotte passata? Senza problemi, rendo al massimo) e in compenso ci metto parecchio tempo a carburare al mattino, specie se mi sveglio quando lo dice la sveglia.

      Aneddoto: ho scritto la mia tesi di laurea tra luglio e agosto, in un periodo in cui avevo già finito tutti gli esami e non avevo alcun tipo di impegno a parte, appunto, scrivere la tesi di laurea. Ero volutamente rimasta sola soletta per due mesi nella mia casa da fuorisede per potermi dedicare allo studio; non avevo familiari con cui convivere; i miei amici di università erano tutti quanti a casa loro. Insomma, ero piuttosto isolata dal resto del mondo e quindi non avevo il problema di dover conciliare i miei orari con quelli del resto dell’umanità.

      Pian piano, nell’arco di due mesi, il mio ritmo sonno-veglia si era assestato così: lavoravo con massima soddisfazione e produttività fino a mezzanotte, l’una. Dopodiché stavo sveglia ancora un’oretta guardando qualche qualche telefilm in TV o leggendo un libro, per “staccare” prima di andare a letto. Andavo a dormire attorno alle due di notte, mi svegliavo spontaneamente attorno alle dieci e mezza del mattino, mi facevo le mie cose, e mi rimettevo a lavorare sodo attorno all’una del pomeriggio, dopo aver pranzato.

      Mai lavorato tanto bene in vita mia e mai stata così riposata, evidentemente sarebbe questo il mio bioritmo se dipendesse solo da me.

      Ecco, ovviamente il problema è che una roba così la puoi fare solamente se ti sei votata all’eremitismo 😆 Però…!

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  3. blogdibarbara

    Quello che non ho capito è il titolo: a chi può venire in mente di chiamare insonnia il dormire (bene) tre-quattro ore di fila, restare svegli per un po’ e ridormire altre tre-quattro ore di fila?! Insonnia è dormire due ore e poi basta, un’ora e poi basta, due ore in una settimana in tranche che vanno dai trenta secondi ai cinque minuti, fare tre giorni senza un minuto di sonno e poi riprendere con la solita ora, non di rado spezzettata, per notte. Questa è insonnia!

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    1. Lucia

      😅
      Oh cielo, tutte le persone che conosco e che soffrono di questo sonno spezzettato dicono effettivamente di soffrire d’insonnia e anche con un certo grado di disperazione, e in un breve periodo della mia vita in cui anche io ho avuto problemi di risvegli notturni ero disperata mica poco.
      Ma più che altro perché nel mondo di oggi non per tutti è facile andare a dormire prima di mezzanotte e non per tutti è facile svegliarsi dopo le sette: se già hai poco tempo da dedicare al sonno, e due ore le perdi a fissare il soffitto…

      Lo scenario che descrivi tu non riesco nemmeno a concepirlo, che incubo 😰

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      1. blogdibarbara

        Io l’ho vissuto dai 9 ai 61 anni (e anche peggio di quello che ho scritto nel commento). Quando sono andata in pensione, avendo la possibilità di recuperare un po’ di sonno anche durante il giorno, dormo complessivamente qualcosa di più, ma non moltissimo. La cosa peggiore, per chi soffre di insonnia vera, è quando qualcuno, vedendoti distrutta dopo che in tre giorni non sei riuscita a fare un minuto di sonno, ti dice sollecito: “ma perché non provi a dormire?”: lì si scatenano tutti i più virulenti istinti omicidi. Poi c’è quello che ti dice: “Ma hai provato…?” e tu lo interrompi: “Qualunque cosa tu stia per suggerirmi, mi è già stata suggerita otto miliardi di volte, e l’ha risposta è sì, l’ho provato, e se funzionasse non sarei insonne, quindi sono stati otto miliardi di troppo”. Ma il tuo interlocutore insiste a darti il suo suggerimento e naturalmente la risposta è “Otto miliardi e uno”.

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  4. Paola

    Non avevo idea di questo modo di dormire! Da quando è nato mio figlio e ho iniziato a lavorare in proprio ho notato che vado a dormire tendenzialmente prima, ma spesso mi sveglio per andare in bagno e leggere le email. Ora mi sentirò meno strana 🙂

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    1. Lucia

      Ma sai che anche tanti miei amici me l’hanno detto, dopo aver letto questo post? E’ una cosa davvero abbastanza comune, a quanto pare, svegliarsi nel cuor della notte e poi riaddormentarsi dopo un’oretta circa.
      In effetti, sapere che è normale può aiutare a rimettere le cose in prospettiva, immagino. Meno “aiuto aiuto devo riaddormentarmi immediatamente!” e più tranquillità nell’affrontare quel risveglio.

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  5. Elena

    Avevo letto un accenno a questo argomento in un libro che parla del sonno dei neonati. Nel libro si sostiene che non ha senso da parte degli adulti pretendere un’intera notte di sonno da parte dei neonati perché non sono “strutturalmente” predisposti per farlo e si fa un riferimento al modo di dormire degli antichi a sostegno della tesi. Tra l’altro diversi testi sull’argomento neonati specificano che nel caso di bambini molto piccoli per “intera notte” si intende dalle 22 alle 4…. tutto ciò per rassicurare i neo genitori sul fatto che non è vero che i neonati non dormono durante la notte, semplicemente seguono altri schemi di sonno.

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    1. Lucia

      Esatto! Io avevo letto un accenno al sonno dei neonati nel libro che parlava del sonno antico 😂
      E si diceva appunto quello che dici tu. E’ stato solo nell’Ottocento avanzato che le madri hanno cominciato a prendere dai loro figli l’irrealistica performance di dormire una notte intera senza risvegli, magari addirittura privandoli del pisolino pomeridiano. Lo suggerivano i medici, ovviamente, ma basandosi sullo schema di sonno degli adulti, che probabilmente davvero non è il più adatto per un neonato (o almeno, così si rifletteva).

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  6. Pingback: La giornata-tipo in un castello medievale – Una penna spuntata

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