Quando Non sgusciò fuori dalla sacrestia e il prete se la trovò davanti, il pover’uomo sentì la voce morirgli in gola.
Letteralmente, eh. Tutti videro il sacerdote aprire e chiudere la bocca più volte nel disperato tentativo di emettere un suono, ma niente.
Nello stupore generale, anche il re si girò per cercare di capire la fonte di questo mutismo improvviso. E quando notò che il sacerdote stava fissando a occhi sgranati il visino perplesso di Non, poco ci mancò che il re scoppiasse a ridere in mezzo alla chiesa: sta a vedere che manco il monsignore era immune al fascino della ragazza.
Già che c’era, anche lui ne approfittò per concedersi la rara occasione di contemplare tanta beltà. Quanto incredibilmente bella era, quella ragazza. Che fosse entrata in convento, era una pazzia pura e semplice: ai tempi, quando Non aveva fatto quella folle scelta, il re era pure andato a discuterne con Cynyr, il padre di lei. Che una ragazza di nobili natali e con quel corpo da paura decidesse di fuggire il mondo e di chiudersi in convento era uno schiaffo alla miseria di tutti quei poveretti che si trovavano costretti a pigliarsi una ciamporgna pur di contrarre un matrimonio interessante. Non ci pensava, Cynyr, a quanta gioia avrebbe potuto accordare a qualche bravo nobiluomo della porta accanto, dandogli in sposa quel concentrato di bellezza con annessa dote terriera?
Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Cynyr era pur sempre uno dei Ventiquattro Figli Santi di san Brychan re di Brycheinoig, leggendario personaggio delle agiografie celtiche che, a quanto pare, non aveva fatto altro nella vita se non figliare a ripetizione e indottrinare quei poveri bambini. Di fronte alle proteste del re, Cynyr aveva abbozzato un sorriso e detto qualcosa sulle linee di: “evidentemente, Dio, che l’ha creata così bella, adesso la vuole come sua sposa. Mica scemo”.
E tant’è. Mica scemo, Dio s’era preso in sposa la giovane Non. E adesso, al resto del mondo toccava bearsi della sua bellezza lanciando alla suora occhiate furtive quelle rare volte che la ragazza usciva dal chiostro.
L’omelia, intanto, non era ancora ripresa. Anzi, il predicatore si stava stringendo la gola con le mani, a occhi sgranati, nel disperato tentativo di emettere un qualche suono; ma solo un soffio stridulo usciva dalla sua bocca. Il re lanciò alla scena un’occhiata interdetta e poi si piegò verso la regina commentando che, va bene tutto, ma quella gli sembrava una reazione un po’ eccessiva persino di fronte alla vista di cotanta donna.
La regina l’aveva fulminato con lo sguardo. “Fai poco il brillante e smettila di fare battute su quella poveretta. Mi disgustate tutti voialtri della stessa risma: non lo sai che qualche mese fa quella poverina è stata stuprata da San? Nel chiostro del suo stesso monastero? Uno schifo che grida vendetta a Dio e agli uomini”.
Il re, francamente, non si aspettava quella reazione. “San?”, aveva ripetuto, perplesso. “Ma chi, il re di Ceredigion?”. In tutta onestà: non era al corrente della cosa.
“Proprio lui” aveva risposto la regina, tra i denti. “Passava di qua, aveva fatto visita al monastero per pregare, l’ha vista in giardino e zacchete. Disgusto”.
Il re s’era girato a lanciare un’occhiata interdetta alla povera ragazza. Per un attimo, valutò se fosse il caso di scambiare due parole con quel re straniero che andava in giro a stuprare suore nelle altrui terre: che razza di modi sono?, stava rimuginando con una punta di fastidio. Ma ecco che gli giunsero alle orecchie le parole che aveva appena pronunciato la regina… e lì, il re perse dieci anni di vita in un colpo. Sua moglie aveva appena aggiunto: “e, per colmo di disgrazia, corre voce che la poverina sia anche rimasta incinta”.
Sul volto del re si dipinse un’espressione di tale orrore che sua moglie abbozzò un sorriso. “Beh, almeno ti rendi conto della gravità della situazione, spero farai qualcosa”.
Povera illusa. Il re stava annaspando aria con un panico non inferiore a quello del povero prete sull’altare, che proprio in quel momento stava bevendo un bicchiere d’acqua portatogli in fretta e furia da un chierichetto.
“Cioè: mi stai dicendo che questa suora è una Vergine Che Rimane Incinta Dopo Uno Stupro?”, balbettò il re quando riuscì a recuperare un minimo di controllo.
La regina lo guardò un po’ interdetta. “Beh, sì. È quello che ho appena detto”.
“E qui abbiamo il Grande Predicatore Ammutolito Di Fronte Al Bambino Non Nato, Ancora Nel Grembo Della Madre?”, rincarò il re nel panico.
Lentamente, la regina spostò lo sguardo da suo marito al povero prete. Il bicchiere d’acqua non aveva sortito il minimo risultato. “Ma ti senti bene?”.
“No che non mi sento bene!” strillò il re, a voce così alta da far girare tutti. “Non capisci? Io me lo sentivo addosso! Lo dico da sempre che io e te siamo dentro a una agiografia celtica medievale!”.
“Ussignur, ancora con ‘sta storia…”, mormorò la regina alzando gli occhi al cielo.
“Ed è sempre un brutto segno per i potenti, quando il topos agiografico del Grande Predicatore Ammutolito Di Fronte Al Bambino Non Nato, Ancora Nel Grembo Della Madre, si incrocia col topos della Vergine Che Rimane Incinta Dopo Uno Stupro!”, rincarò il re, adesso a voce più bassa. Allarmato, fissò la regina. “Non capisci? Siamo in pericolo!”.
***
Il suo incontro con San, il re di Ceredigion, fu dei più ridicolmente cordiali. Abbandonata ogni velleità di protestare sulla violenza in terra consacrata all’interno del suo regno, l’allarmato monarca scese di andare dritto al sodo. Tipo: “ah, e ho saputo che hai stuprato una suora, buon pro’ te ne faccia. Senti, mi domandavo, per curiosità: è successo… non so, qualcosa di strano, contestualmente?”.
Il re di Ceredigion lanciò al suo collega una occhiata comprensibilmente perplessa. “No, direi di no. Nulla di diverso dal solito”.
Il re che se ne intendeva di agiografie celtiche tirò un visibile respiro di sollievo. “Ohgraziealcielo”, disse tutto d’un fiato. “Quindi, nessuna palla di fuoco che appare all’improvviso nel mentre? Nessuna voce dal cielo? Nessuna profezia che aveva preannunciato l’incontro?”.
Il solo pensiero di una palla di fuoco che appare all’improvviso nel mentre bastò perché il re di Ceredigion fissasse il suo pari come se fosse un pazzo. Ma quando il collega nominò la profezia… a quel punto, si ringalluzzì. “Oh beh, in effetti quello sì”.
“Come, quello sì?” fece l’altro, sentendosi cadere la mascella.
“Beh, sì. Circa trent’anni fa, un tipo strano mi aveva fatto visita dicendo che un giorno avrei incontrato una suora bellissima, e che. Beh, insomma: nel caso, di seguire pure il corso degli eventi, perché così era scritto negli astri”.
Seguirono trenta secondi abbondanti di silenzio. Il provvido stupratore si agitò sul suo trono, visibilmente a disagio, e sentì il bisogno di rincarare: “lo so che suona strano, eh. Però oh: è successo davvero”.
Il re che se ne intendeva di agiografia celtica non riuscì a trattenere un singhiozzo. “No no, non è strano per niente, nel contesto. Puoi credermi, amico mio: io ti credo”.
***
Quello che evidentemente il re ansioso ben sapeva è che, nell’agiografia celtica (e nella letteratura del ciclo bretone in generale), il topos del parto virginale tirava un sacco. Evidentemente, disseminare il martirologio di vergini incinte sembrava un tantinello esagerato (per non dir “blasfemo”) persino per i fantasiosi canoni di quel genere agiografico, sicché gli autori optarono per un escamotage.
Sembrando irrealistico il tirare in ballo vergini rimaste incinte senza aver conosciuto uomo, ripiegarono sulla figura tristemente verosimile della vergine rimasta incinta senza aver mai voluto conoscere uomo. Ovverosia, infarcirono i loro testi con un desolante catalogo di violenze sessuali (alcune anche assai fantasiose) tutte accomunate da un’unica caratteristica: il bambino generato in tali circostanze sarebbe stato destinato a fare grandi cose. Sembrava quasi che la Provvidenza ci avesse preso gusto, nel far nascere qualcosa di buono da un crimine tanto orrendo – o quantomeno, così sembrava nella testa degli agiografi.
Prima di indignarci per questo bruto maschilismo, cerchiamo di operare una sospensione del giudizio. Purtroppo o per fortuna, lo stesso topos narrativo ricorre frequentemente anche nelle opere letterarie: non erano solamente gli ecclesiastici a descrivere simili scenari. Il parallelismo più eclatante, secondo me, ci viene offerto dal ciclo arturiano: in certi romanzi, mago Merlino (nato a sua volta dallo stupro di una vergine) architetta gli inganni più aberranti per permettere il concepimento di re Artù e di altri “predestinati”. C’è poco da dire: evidentemente, all’epoca piacevano gli escamotage volti a collocare la nascita di persone straordinarie in contesti del tutto extra-ordinari.
Sic stantibus rebus, prendiamolo per buono e proseguiamo con la nostra storia. Storia che, giustappunto, vede la povera santa Non scoprirsi incinta a seguito d’una violenza.
***
Molte suore, nelle condizioni di Non, avrebbero probabilmente lasciato il chiostro con vergogna, cercando di rifarsi una vita altrove. Non così volle fare Non, che anzi nemmanco si nascose: senza neppure un briciolo di vergogna, ostentò fiera nei mesi a venire il suo ventre che cresceva, quasi a voler gridare al mondo la sua offesa.
Ogni qualvolta si trovavano in sua presenza, i potenti impallidivano e perdevano l’uso della parola: era come se la loro anima percepisse la straordinarietà del bambino che Non portava in grembo. Era come se i potenti già sapessero in cuor loro che, di fronte all’uomo che stava per nascere, ogni loro successo non sarebbe stato che pulviscolo.
Evidentemente, gli attacchi di afonia improvvisa dovevano essere una cosa abbastanza frequente in quel periodo, perché nessuno se ne diede troppo pensiero.
Nessuno a parte il nostro re ansioso, voglio dire. Lui aveva immediatamente colto i segni: che stesse per nascere un predestinato, gli era perfettamente chiaro. E, temendo che il suo destino potesse essere quello di scalzare i potenti dai troni, il re fece la cosa più masochista che si possa fare se si è il personaggio secondario di una agiografia celtica medievale. Diede ordine di uccidere il neonato al momento della sua nascita, su modello di re Erode.
Piccolo dettaglio: a re Erode andò male.
E neanche al re ansioso andrà molto meglio.
Avvertita in sogno di lasciare il monastero perché gli sgherri del re sarebbero di certo venuta a prenderla, santa Non era già preda dei dolori del parto quando decise di fuggire nella, sola, nella notte.
Sola, e con la sola forza della disperata determinazione, scalò la collina che ancor oggi si erge nella baia di Caerfai, in Galles. Sola in mezzo all’asperità del nulla, mentre i dolori si intensificavano, Non guardò con orrore le nubi addensarsi all’orizzonte, poi diventare sempre più minacciose e nere, poi trasformarsi in vera e propria tempesta con tanto di fulmini, tuoni, venti impetuosi e trombe d’aria.
Per ore e ore, le intemperie s’abbatterono sulla terra con violenza inusitata, tale da impedire a chicchessia di avventurarsi fuori – sgherri del re inclusi. In tutto il Galles, solo un minuscolo scampolo di cielo si intravvedeva azzurro fra le nubi tempestose: un singolo raggio di luce scendeva sullo spiazzo erboso in cui giaceva santa Non nel pieno del travaglio. E, avvolgendola, quel raggio di luce la preservava dalla pioggia e dal soffio gelido del vento.
Quando fu il momento di spingere, Non affondò le dita nella terra. E sotto quella stretta, ecco la terra aprirsi facendo sgorgare miracolosa una sorgente d’acqua; alle spalle di Non, le rocce si mossero modellandosi a costruire come una piccola grotta. Fu proprio lì che Non e il suo bambino trovarono rifugio immediatamente dopo il parto, mentre la tempesta continuava a infuriare proteggendo il neonato e la fanciulla.
Non e suo figlio David dimorarono lì per qualche giorno, sostentandosi con la miracolosa acqua sorgiva che Iddio aveva fatto scorrere per la sua sposa. Poi, non appena la madre si fu ripresa, nascostamente si mise in viaggio e raggiuse la città di Llanon, dove trovò un convento disposto ad accogliere e crescere il suo bambino.
Riuscì così a farne perdere le tracce, lasciando con un palmo di naso il re che aveva tentato unitilmente l’infanticidio. E davvero inutile sarebbe stata, quell’ennesima violenza: ché David non era venuto al mondo per minacciare i re terreni. Ben più grande era il regno che gli interessava: il regno dei cieli. David trascorse la sua intera vita annunciandolo alle genti.
Missionario, evangelizzatore, difensore degli inermi, vescovo, predicatore dall’incredibile retorica, fondatore di una regola monastica particolarmente rigida, san David fu l’unico dei santi gallesi a essere ufficialmente riconosciuto tale da papa Callisto II, che nel XII secolo volle sottolineare in tal modo l’importanza della figura. Un riconoscimento non da poco, per un santo vissuto ormai cinque secoli prima, la cui devozione tuttavia continuava ad essere viva e vibrante, nella sua terra d’origine. Più di cinquantatré chiese gli erano dedicate in Galles, nel momento in cui papa Callisto lo canonizzava; la cattedrale che portava il suo nome era meta di continui pellegrinaggi.
E neppure il passar dei secoli e la Riforma anglicana riuscirono a scalfire l’affetto che i Gallesi tributavano (e tributano!) al loro amato santo. Ancor oggi, san David è il patrono del Galles; e il 1° marzo, suo dies natalis, è festeggiato con entusiasmo in tutta la regione.
Mi chiederete probabilmente che ne fu di santa Non, la sua madre coraggiosa e sfortunata.
Difficile dirlo: in questo genere di agiografie, le madri dei bambini prodigiosi tendono a sparir nell’ombra subito dopo aver partorito il figlio. Nel caso specifico, santa Non è sparita anche dal Martirologio Romano, che per ragioni piuttosto evidenti ritiene dubbia la storicità del personaggio; gli Anglicani, invece, la ricordano ancora il 2 marzo, il giorno successivo al St. David’s Day.
Nel luogo miracoloso in cui, secondo la leggenda, ebbe luogo il parto dei prodigi, fu costruita una cappella (che è quella che vedete nella foto con cui s’apre l’articolo. O meglio: della cappella medievale si intravvedono solo le rovine; l’edificio che si ammira adesso è una ricostruzione novecentesca).
Erano in molti, nel Medioevo, a recarsi su quel colle in riva al mare, desiderosi di visitare il luogo sacro e soprattutto di abbeverarsi a quella sorgente scaturita al momento della nascita del santo. Va da sé: la si riteneva una sorgente d’acqua miracolosa, particolarmente efficace nel curare le malattie degli occhi; a titolo di curiosità, aggiungerò che la sorgente esiste ancora e che, per onorare l’antica tradizione, una ampolla di quell’acqua sorgiva fu donata a papa Benedetto XVI nel corso della sua visita al Regno Unito.
Perché saran pure evidentemente leggendarie, le agiografie fiorite attorno alla figura di santa Non… ma ciò non fa demordere i Gallesi, che continuano a provare un certo affetto per la figura di questa donna dalla storia nebulosa e avvolta dal mistero.
Un punto fermo c’è: san Davide del Galles è esistito per davvero; sulla sua storicità, non c’è dubbio alcuno. E quali che siano le circostanze che lo hanno fatto venire al mondo: evidentemente, i Gallesi non sono disposti a far venir meno il debito di gratitudine che li lega a sua madre.
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