Gli Agnus Dei, devozione della domenica in albis

L’usanza dev’essere indubbiamente molto antica se uno di questi oggetti fu trovato nella tomba dell’imperatore Onorio, deceduto nel 423. Alcuni storici ipotizzano che la tradizione sia nata proprio in quel periodo, all’inizio del V secolo, e la collegano a un’altra usanza che si andava diffondendo a quell’altezza cronologica: nel giorno dell’Ascensione, i fedeli avevano la possibilità di accostarsi al cero pasquale, ormai spento, e di staccarne un piccolo frammento: se conservato con reverenza nelle case dei contadini, lo si riteneva in grado di proteggere i campi dalle tempeste (o quantomeno, così mormorava il popolino).

Sarà così? Esisterà davvero un legame tra questa pia pratica e la creazione degli Agnus Dei? L’ipotesi è suggestiva, anche se va considerata per quel che è: una supposizione.
Ma soprattutto: che roba è, un Agnus Dei?

Era un oggetto di devozione che veniva preparato a ridosso della Pasqua, mescolando a olio (o sacro crisma) la cera fusa, che veniva poi fatta colare in stampini a forma di agnello. L’usanza è documentata fin dai tempi di Carlo Magno: sappiamo infatti che, nella domenica di Pasqua, a Roma si preparavano questi agnellini in cera; una settimana più tardi, nella Messa della domenica dopo Pasqua, essi sarebbero stati distribuiti ai fedeli. Il popolino era solito depositarli nei campi e tra i filari delle vigne, a protezione dei raccolti; in alternativa, li conservava in casa facendoli bruciare in momenti di particolare pericolo per i membri della famiglia (per esempio, in caso di malattia).

Il fatto che, all’epoca, gli Agnus Dei potessero essere fatti bruciare spinge alcuni storici a immaginarli come delle vere e proprie candele, con tanto di stoppino. Quel che è certo è che, entro il IX secolo, l’agnellino si appiattì in un oggetto bidimensionale: la cera veniva fatta colare in forme ovali raffiguranti, da un lato, l’agnello di Pasqua e, dall’altro lato, immagini di santi o altri simboli religiosi. Cambiò la forma, ma non la sostanza: le immagini erano distribuite ai fedeli nella domenica in albis o in altre occasioni importanti (sappiamo ad esempio che, ai tempi del Barbarossa, i vescovi avevano facoltà di donare ai neofiti uno di questi Agnus Dei ogniqualvolta che amministravano un battesimo). La capillare diffusione di questi oggetti spinse il popolino ad attribuir loro un crescente numero di “poteri”: nel pieno Medioevo, si riteneva che gli Agnus Dei potessero facilitare i parti e fossero in grado di scongiurare incendi, naufragi e tempeste.

Forse per porre fine a queste superstizioni (e sicuramente per dare un freno al malcostume per cui alcuni laici producevano Agnus Dei nella cucina di casa rivendendoli a caro prezzo come oggetti benedetti) nel 1470 papa Paolo II emanò una bolla con cui si stabiliva l’esclusiva pontificia nella produzione di queste impronte in cera. Ulteriori divieti furono istituiti sotto il pontificato di Gregorio XIII: oltre a non poter essere venduti, gli Agnus Dei non potevano neppure essere colorati una volta finiti nelle case dei fedeli, evidentemente una pratica diffusa; la cera, anzi, doveva restare completamente bianca a simboleggiare la purezza immacolata dell’agnello che versa il suo sangue per la redenzione.

Col passar dei secoli, alcune piccole modifiche interessarono il processo di produzione, che il papa appaltò ai Cistercensi. Di prerogativa pontificia restò invece la benedizione: il papa continuò a benedire gli Agnus Dei a ridosso della Pasqua (in una data che, a seconda delle epoche, poteva variare dal mercoledì al sabato della Settimana Santa per poi spostarsi alla vigilia della domenica in albis). Restò immutata la data della distribuzione, fissa alla domenica dopo Pasqua: in quel giorno, durante la Messa e poco prima della comunione, un suddiacono portava gli Agnus Dei all’altare presentandoli al papa con la formula: “Santo Padre, questi sono i giovani agnelli che vi hanno annunciato l’Alleluia”.
Mentre il cantori intonavano l’Agnus Dei, il papa provvedeva a distribuire le impronte in cera ai cardinali, ai vescovi e ai protonotari lì presenti. Dalle loro mani, gli Agnus Dei avrebbero trovato la loro destinazione finale in giro per il mondo, quasi sempre dopo aver fatto una tappa intermedia in un qualche monastero femminile ove l’immagine veniva confezionata in un piccolo “reliquiario” prima di essere distribuita ai fedeli.

Quand’è che gli Agnus Dei smisero di essere prodotti?
In realtà, in epoche assai recenti: l’ultimo papa a benedire gli stampini in cera fu Paolo VI, nel 1964. E se la cosa vi incuriosisce, Wikipedia si spinge ad assicurare che la tradizione non è mai stata ufficialmente abolita. Quindi chissà: teoricamente un qualche papa potrebbe anche decidere di rispolverarla, in futuro.

4 risposte a "Gli Agnus Dei, devozione della domenica in albis"

    1. Lucia

      Eh, chissà.
      Calcolando che la distribuzione era teoricamente nelle mani del vescovo (che poi ridistribuiva a sua volta gli Agnus Dei a santuari, monasteri etc per farli arrivare ai fedeli), può anche darsi che ci fossero delle diocesi che non erano particolarmente attive in tal senso.

      (Va anche detto che io mi sono stupita molto quando, documentandomi per questo post, ho scoperto che gli Agnus Dei erano ancora prodotti negli anni ’60. Personalmente, ero convinta che la produzione fosse cessata nell’800 o giù di lì, effettivamente non mi era mai capitato di sentirne parlare in epoche più recenti, sfogliando carte d’archivio etc. Secondo me, nell’ultimo secolo erano già sostanzialmente caduti in disuso 👀 mia idea personale eh; però…)

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