Negli ultimi mesi del 1803, un fantasma cominciò ad assalire i passanti che si aggiravano dopo il calar del sole nel quartiere londinese di Hammersmith.
Due donne che stavano camminando nei pressi del cimitero si imbatterono in uno spettro che le terrorizzò con urla e strepiti. Una ragazza andò incontro alla non comune sorte di subire blande molestie sessuali da parte di un morto. Un giovanotto che rincasava a tarda sera, dopo aver concluso il suo turno di lavoro in fabbrica, fu aggredito dal fantasma che sembrò volerlo strangolare, prima d’essere messo in fuga da un altro passante. E potrei citare un’infinità di testimoni che, pur riuscendo a evitare incontri ravvicinati, giurarono di aver avvistato a loro volta uno spettro, magro e allampanato, che se ne andava in giro per le strade con il suo sudario bianco d’ordinanza.
Atterriti, gli abitanti di Hammersmith cominciarono a sospettare che il fantasma potesse essere l’anima in pena di un individuo che si era suicidato in zona un paio d’anni prima. Alla prova dei fatti, la verità era molto più banale: il fantasma era John Graham, il calzolaio del quartiere, decisamente molto vivo all’epoca dei fatti. Il bizzarro personaggio aveva avuto la pensata di spezzare la monotonia della vita quotidiana cucendosi una maschera da fantasma con la quale si aggirava per le strade nottetempo, divertendosi un sacco nel terrorizzare la brava gente di passaggio.
In effetti, col senno di poi, le deposizioni dei testimoni fanno pensare che l’unico obiettivo di Graham fosse quello di divertirsi… per quanto in modi evidentemente discutibili. Il fantasma non approfittò mai del suo travestimento per indulgere in borseggi o in reati di gravità maggiore – il che comunque non bastò a rendere innocua questa sua infelice carnevalata.
Ché la gente del luogo si spaventò tantissimo. Le donne non uscivano più di casa per paura di imbattersi nel fantasma.
Nell’era dello spiritismo, furono in molti a prendere seriamente in considerazione l’idea che il quartiere potesse essere infestato da un letterale spettro, e/o comunque da una qualche altra entità malevola. C’era il timore generalizzato che l’aggressività del fantasma potesse peggiorare col passar del tempo; e in ogni caso, non è che quei primi contatti ultraterreni fossero stati un’esperienza particolarmente desiderabile per le vittime.
Poiché le autorità sembravano sottovalutare la pericolosità di quell’anima inquieta, gli uomini di Hammersmith si riunirono in un comitato e iniziarono a fare ciò che farebbe un qualsiasi uomo ragionevole che si trova a essere perseguitato da un fantasma: chiamarono un esorcist cercarono un ghostbust organizzarono ronde armate per spaventarlo.
Il 3 gennaio 1804, attorno alle dieci e mezza di sera, un gruppo di galantuomini armati fino ai denti calò in strada nella speranza di incontrare lo spettro e dargli una lezione, facendogli capire che se voleva infestare un quartiere avrebbe fatto meglio a cercarsi un altro luogo. Fra questi vigilantes vi era anche Francis Smith, un giovanotto di ventinove anni con un rispettabile impiego pubblico come esattore delle tasse; e proprio a lui toccò in sorte di imbattersi nel fantasma – o quantomeno in un individuo che gli parve tale.
A farglielo supporre fu l’abbigliamento inconsueto dell’uomo che gli veniva incontro; per citare la deposizione di Smith, la figura che gli si parò dinnanzi “aveva pantaloni di lino interamente bianchi, puliti e ben lavati; un panciotto di flanella bianchissimo, nuovo di zecca, e indossava a mo’ di soprabito un largo grembiule bianco”.
Un fantasma chiaramente, pensò allarmato il giovanotto, che d’istinto urlò: “maledetta creatura! Chi sei e cosa sei?” e subito dopo aprì il fuoco.
Il fantasma fu colpito in pieno viso e stramazzò a terra con un urlo lancinante… perché, ovviamente, non era un fantasma. E non era nemmeno il burlone di quartiere che si divertiva a travestirsi da spettro. Era un poveraccio che non c’entrava niente: un muratore che stava rincasando dopo aver cenato da sua madre, e che aveva indosso il caratteristico abito da lavoro di colore chiaro fornito a tutti gli uomini che prestavano servizio nel suo cantiere.
Contemplando il suo fantasma che rantolava in una pozza di sangue, Smith cominciò lentamente a comprendere che, forse forse, qualcosa era andato storto. Attirato dal rumore dello sparo, un agente di polizia arrivò sul luogo prendendo in custodia il vendicatore dal grilletto facile; e quando il povero fantasma morì, nonostante tutti i tentativi di soccorso, Smith andò ovviamente incontro a una accusa di omicidio.
Ammesso e non concesso che “omicidio” fosse il termine adatto per descrivere l’episodio che aveva appena avuto luogo. Sì, perché l’accusato decise di giocarsi il tutto per tutto adottando una bizzarra strategia di difesa, sinteticamente riassumibile in: “è indubbiamente vero che sono stato io a ucciderlo, ma quando gli ho sparato ero convinto di essere di fronte a un fantasma. Credevo che il proiettile lo avrebbe attraversato da parte a parte”.
In subordine, Smith dichiarò pure di aver in ogni caso agito per legittima difesa: il presunto fantasma gli si stava avvicinando a grandi passi, con un atteggiamento che aveva ingenerato in lui grande timore; sentendosi minacciato, aveva sparato per difendersi. E comunque la sua unica intenzione era quella di metterlo in fuga: chi mai sarebbe così folle da voler uccidere un fantasma?
Incredibile ma vero, i giudici e la giuria si trovarono realmente a dover dibattere su questa singolare linea di difesa. Acclarato che il fantasma era ancora vivo prima d’essere ammazzato, il giudice osservò che il poveretto non aveva posto in essere alcun comportamento che potesse giustificare la legittima difesa nella controparte: non aveva minacciato Smith in alcun modo, anzi non se lo stava proprio filando, limitandosi a camminare per i fatti suoi. Smith era stato tratto in allarme dall’abbigliamento del malcapitato; e tuttavia, come fece notare il giudice, non esiste alcuna legge che vieti ai cittadini di camminare in strada indossando un vestito bianco. E quand’anche lo sfortunato muratore avesse deliberatamente scelto quella tenuta al fine di spaventare i passanti, è pur vero che passeggiare con un costume da fantasma non costituisce, in sé e per sé, un illecito tale da giustificare la legittima difesa.
Dopo aver lungamente riflettuto sulla questione, la giuria popolare espresse il verdetto: Smith era colpevole di omicidio colposo. Vale a dire: era indubbiamente reo di aver ucciso quel malcapitato, ma era stato un tragico incidente – convinto di star mirando a un’entità incorporea, non pensava di poterla uccidere per davvero.
Scuotendo il capo, il giudice informò la giuria che la Corte non poteva emettere un verdetto simile: che l’assassino fosse convinto di star sparando a un fantasma nel momento in cui volontariamente prendeva la mira e premeva il grilletto, non era in alcun modo un elemento rilevante. Delle due, l’una: o Smith era da giudicare non colpevole, oppure era colpevole di omicidio volontario – ai giurati, la responsabilità e la scelta.
Vi fu una seconda consultazione, al termine della quale la giuria si pronunciò per la colpevolezza: al di là di ogni possibile convinzione personale circa l’incorporeità dell’individuo a cui stava sparando, Smith aveva indubbiamente preso la mira con l’intenzione di colpirlo. Di certo non poteva essere considerato non colpevole.
Inizialmente condannato alla pena capitale, Smith fu graziato dalla Corona che convertì la sentenza in un anno di lavori forzati. La grande eco mediatica che aveva avuto il bizzarro processo spinse il “vero” fantasma di Hammersmith a dichiarare la sua colpevolezza, senza peraltro andare incontro ad alcun tipo di sanzione: il calzolaio si fece avanti e spiegò di essere stato lui a dare involontariamente il via a tutto quel putiferio. Il povero muratore ucciso non c’entrava proprio niente, era un innocente che passava di lì per caso; i suoi abiti bianchi erano una pura coincidenza, non era lui “il fantasma il Hammersmith”. Che nessuno osasse dunque infangarne la memoria, accusandolo di essere un molestatore mascherato.
E, per la cronaca, quell’accusa non gli fu mai rivolta.
In compenso, gliene fu rivolta un’altra: quella di essere un completo idiota che si era andato a cercare rogne e si meritava le sue disgrazie. Come argomentarono la moglie e la suocera di quel poveraccio: chi è il cretino che va in giro nottetempo vestito di bianco da testa a piedi, sapendo che la cittadinanza è in allarme per la presenza di un fantasma che vaga per le strade avvolto in un sudario? Il muratore se l’era andata a cercare, argomentò la moglie rilasciando agli inquirenti la sua deposizione: avrebbe dovuto cambiarsi d’abito prima di tornare a casa, lei glielo aveva detto mille volte.
Poraccio.
Elena
Senza andare tanto lontano, nel paesino di mia nonna, tra gli anni 30 e 50 del Novecento ad un certo punto si manifestò un fantasma che di notte se ne andava in giro a spaventare la gente per strada, finché ad un certo punto un gruppo di persone decise che era ora di risolvere la questione, una sera si appostarono, catturarono il fantasma e gliele diedero di santa ragione…fine del fantasma (che anche in questo caso non era un essere incorporeo ma decisamente corporeo!). Tutto il mondo è paese e io mi ricordo bene i racconti della mia nonna!
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Lucia
😂
C’è stato un periodo in cui, apparentemente, travestirsi da fantasma per fare scherzi alla gente era un fenomeno abbastanza di moda. Talvolta, più che scherzi, si compivano proprio piccoli reati, tipo furti e borseggi: da un lato, ovviamente, la maschera da fantasma nascondeva l’identità del borseggiatore; dall’altro, trovarti di fronte a un fantasma mentre stai rincasando a tarda sera è qualcosa che ovviamente spaventa e permette al criminale di approfittare della tua incertezza.
C’è questo articolo che passa in rassegna alcuni dei travestimenti più usati all’epoca, alcuni dei quali veramente molto pacchiani, secondo me ‘sti scherzi a un certo punto son passati di moda perché la gente non era più così scema da crederci 😂
https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/0015587X.2015.1121622
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