C’era una volta, tanto tempo fa, un nobiluomo di origini polacche che viveva nei territori della Confederazione polacco-lituana: un vasto regno che governava quelle aree che oggi rientrano (almeno parzialmente) entro i confini di Polonia, Lituania, Ucraina, Bielorussia, Moldavia (e zone circostanti). Basterà leggere questo elenco di toponimi per renderci conto che la Confederazione polacco-lituana era un melting pot di culture diverse, e che a livello spirituale erano il cattolicesimo (polacco) e il cristianesimo ortodosso (prevalente nelle altre zone) a contendersi il titolo di “religione dominante”.
Prendiamo questa informazione e mettiamola da parte, tornando piuttosto alla storia che intendiamo proporre oggi; una storia che ci viene raccontata da Petro Mohlya, vescovo ortodosso di origini moldave che fu metropolita di Kiev dal 1633 al 1647, anno della sua morte. Ebbene: in uno dei suoi scritti, il religioso descrive un edificante aneddoto che aveva sentito raccontare qualche tempo prima e che riteneva utile portare all’attenzione dei fedeli.
Per l’appunto: c’era una volta, tanto tempo fa, un nobiluomo di origini polacche che amava la sua sposa d’un amore tenerissimo e sincero. Immaginate dunque lo strazio nel cuore di quell’uomo, quando la donna morì improvvisamente!
Come se il lutto non fosse bastato, pochi giorni dopo il funerale la casa del nobiluomo cominciò a essere teatro di fenomeni inquietanti. Rumori inspiegabili cominciarono a farsi sentire nei pressi della stufa; poi i rumori si mutarono in lamenti e pianto, e un giorno il nobiluomo fu sconvolto nel realizzare che, tra i singhiozzi, gli era stato possibile cogliere qualche parola pronunciata da una voce che, al di là di ogni ragionevole dubbio, era quella della sua defunta sposa!
Col passar dei giorni, i lamenti diventarono più facilmente intellegibili.
La donna soffriva incredibilmente, perché la sua anima era trattenuta in Purgatorio a cagione dei suoi peccati; e i vivi non avrebbero mai potuto immaginare la durezza e la ferocia delle penitenze che i defunti devono sopportare pur di espiare le loro colpe. La defunta diceva queste cose a suo marito affinché lui l’aiutasse facendo celebrare Messe in suffragio; ma soprattutto, gliene parlava perché era bene che i vivi fossero informati delle conseguenze di una vita men che retta.
Supplicò inoltre il marito di chiedere aiuto ai sacerdoti gesuiti che dimoravano non lontano: desiderava che essi pregassero per la sua anima proprio nella casa in cui lei aveva vissuto, vicino a quella stufa accanto al quale era solita ricamare. Desiderava che spargessero acqua benedetta in ogni luogo dell’abitazione e che provvedessero a raccontare quella storia in ogni dove, affinché i fedeli ricevessero il suo monito quando erano ancora in tempo a cambiare vita.
Manco a dirlo, i gesuiti non se lo fecero ripetere due volte.
Presero a raccontare questa storia in ogni dove, fecero presenza fissa nella casa del nobiluomo e organizzarono veglie di preghiera attorno alla stufa – che, del resto, continuava a parlare. Nel senso che la voce dell’anima purgante continuava a farsi sentire forte e chiara, ringraziando i vivi per tutte quelle preci e supplicandoli in lacrime di non smettere.
Questo incredibile prodigio, ormai, andava avanti ininterrotto da settimane: vuoi per l’energica predicazione dei gesuiti, vuoi per il normale passaparola che si viene a creare quando in paese c’è una stufa infestata da una fantasma, la casa del nobile polacco divenne ben presto meta di intenso pellegrinaggio. E il padrone di casa apriva di buon grado le sue porte a chiunque avesse mostrato curiosità per il fenomeno: in queste cose, “più si è e meglio è”; e se l’anima di sua moglie aveva bisogno di preghiere, di certo avrebbe gradito quella curiosità crescente.
Paradossalmente, era proprio la defunta a mostrarsi meno felice di tutto quel tran tran. Accogliendo di buon grado i pellegrini di fede cattolica romana, gridava sdegnata ogni volta che ad avvicinarsi alla stufa era cristiano ortodosso o ruteno. Gridava tra i lamenti di non poterne nemmeno sopportare la vista, la loro stessa presenza bastava ad accrescere le sue sofferenze.
E così, i pellegrini se ne andavano turbati, talvolta inquieti e talvolta carichi di rincrescimento. Ma come: quel fantasma cattolico si permette pure di fare lo schizzinoso e di rifiutare di stare al cospetto di chi professa un’altra religione? Un po’ più di tolleranza non farebbe male, in fin dei conti si voleva solo aiutare. E poi che razza di servizio stai rendendo alla tua causa, se invece di dialogare con la controparte (magari nella speranza di convertirla, metti mai) ti limiti a riempirla d’insulti grevi e a cacciarla in malo modo da casa tua?
Ecco: in effetti, fu proprio quest’ultimo dettaglio a destare la perplessità di molti.
Ammesso e non concesso di essere di fronte a un fantasma radicale che schifa nel profondo l’eresia, pareva un po’ strano che un’anima purgante che aveva così a cuore la salvezza eterna della brava gente rifiutasse ogni forma di dialogo con chi (a rigore) avrebbe beneficiato del suo intervento più di chiunque altro.
“Questo mi sembra veramente un atteggiamento strano” disse infatti Martyn Hrabkovych fissando di lontano la stufa infestata, dopo essere stato preso a insulti come da copione e costretto a lasciare la stanza in cui aveva luogo la manifestazione. Quel distinto signore, di fede ortodossa, di stanza presso la cancelleria del principe di Ostrog, aveva viaggiato per giorni interi per assistere personalmente a quel fenomeno di cui tanto si parlava. E adesso stava contemplando la stufa a occhi socchiusi, a distanza di sicurezza, affiancato da un Gesuita che aveva il compito di controllare che gli infedeli non si avvicinassero troppo a quella povera anima sofferente.
Lentamente, Martyn spostò lo sguardo sul sacerdote. “Scusate. Ma secondo voi, perché non sta provando a convertirmi?”.
Il sacerdote replicò che non è certo compito delle anime purganti andare in giro per il mondo a convertire gli infedeli. Se Martyn aveva intenzione di convertirsi, che iniziasse una catechesi con dei sacerdoti senza stare a molestare i morti – “no, ma il punto non è quello che voglio fare io. Il punto è quello che fa lei”, insistette l’uomo, indicando la stufa. “Gli altri peccatori li ammonisce. Esorta tutti a cambiare vita. Sono solo gli ortodossi e i ruteni che escono di qui cambiati in peggio, con un malanimo crescente verso quel cattolicesimo professato dalla nobiltà polacca. Dopo dieci minuti in questa casa, se ne trae l’impressione che i Cattolici siano degli estremisti pazzi che non tollerano nemmeno la presenza delle minoranze religiose”. E aggrottò le sopracciglia. “Minoranze per modo dire, eh. Ché in questa zona del regno quasi tutti sono papisti, ma se domani dovesse montare a livello globale un malcontento anti-cattolico, in tutte le zone della confederazione, vi trovereste con le chiese circondate dai forconi a tempo zero”.
Il gesuita lanciò al suo interlocutore un’occhiata sconcertata: “cos’è, una minaccia?”.
“Ma proprio per niente. È una constatazione. Riguardo la natura di un’anima che, secondo me, non si comporta come dovrebbe”. E poi, assottigliando gli occhi, tornò a fissare la stufa di lontano. “Avete mai preso in considerazione l’idea che a parlare possa essere un demone che si finge la moglie morta?”.
Naturalmente, il gesuita gridò al sacrilegio, guardando con sdegno quell’eretico che si permetteva di offendere in tal modo la memoria di una brava donna.
Cercò di spintonarlo via a forza, incontrando però la garbata resistenza dell’uomo: “solo un paio di minuti, per cortesia, poi me ne vado”. E, ottenuto il permesso di restare per qualche istante ancora, Martyn Hrabkovych cominciò a salmodiare a bassa voce chissà quale tipo di misteriosa litania, nel bel mezzo della quale una fiammata divampò all’interno della stufa e una nuvola di fumo inondò tutta la sala. La voce femminile che fino a poco prima aveva pianto tutta la sua disperazione supplicando carità e preghiere si trasformò di colpo in ringhio infernale; e una voce profonda e roca come un vulcano che gorgoglia ammise che, sì, era tutto un imbroglio, e non c’era nessun’anima purgante in quella stanza. Costretto da Martyn a confessare le sue colpe, quella presenza infernale ubbidì: e ammise di essere un demone, di aver ingannato tutti, di aver utilizzato la storia del fantasma per seminare odio e risentimento tra i cattolici e gli ortodossi. E pazienza per quella minoranza di peccatori che avevano effettivamente cambiato vita, spaventati da quella storia: il suo era un piano di più largo respiro, volto a far crescere la zizzania tra i cristiani delle diverse confessioni. E stava funzionando anche dannatamente bene, maledetto l’uomo che l’aveva mascherato!
Martyn Hrabkovych annuì senza scomporsi. “E come sei entrato in questa casa? Sei il famiglio di una strega, immagino?”.
E con un secondo, terribile ringhio il demone fu costretto ad ammettere che, sì: era il famiglio della cuoca del castello, che praticava la stregoneria all’insaputa di tutti. Anche lei era una polacca di fede cattolica (e i cattolici – lo si sa – sono particolarmente proni alla stregoneria, a differenza dei retti ortodossi). Lui, il demone, viveva in quella casa da anni, disseminando sventure, malattie e tentazioni; il fatto che fosse uscito allo scoperto da poco tempo era unicamente dovuto al fatto che aveva ritenuto di cogliere, nella morte della padrona di casa, l’occasione propizia per quella clamorosa trappola.
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Qual è la morale di questa storia? Ho l’impressione che gli internauti cattolici e quelli non credenti ne daranno due letture diverse, probabilmente diverse anche da quella che Petro Mohlya aveva in testa nel momento in cui si metteva a tavolino con una penna in mano. Ci sarebbe però da aggiungere che questa storia fu scritta qualche anno prima della morte di Mohlya, sopraggiunta nel 1647; a partire dal 1648 la confederazione polacca-lituana fu scossa da una violenta serie di rivolte che non partirono, di per sé, per ragioni religiose ma che ebbero l’effetto collaterale di portare alla luce un aperto sentimento anti-cattolico, che talvolta sfociò anche in massacri e linciaggi pubblici, soprattutto ai danni dei sacerdoti.
Verrebbe da dire che, forse forse, il piano del demone aveva funzionato, dopotutto.
La storia è descritta in: Ukrainian Witchcraft Trials, di Kateryna Dysa (Central European University Press, 2020).
Immagine di copertina: Russian stove di Anna Shulgina, via ArtStation