In principio, l’amore non c’entrava niente.
C’entrava, semmai, quella garbata galanteria che era alla base del normale viver quotidiano nelle corti del tardo Medioevo, là dove capitava di frequente che i funzionari maschi sorprendessero le dame con pensierini e piccoli regali. Era (etimologicamente!) un corteggiarsi senza secondi fini, che aveva l’unico scopo di rendere piacevole la coesistenza di decine di individui costretti a vivere nello stesso palazzo, in spazi tutto sommato limitati: gli uomini e le donne si scambiavano regali galanti, ma senza che questo dovesse necessariamente denotare un interesse romantico tra le due parti.
E infatti, da principio, l’amore non c’entrava niente nella consuetudine tardomedievale di regalare rose alle dame di corte che vivevano al Palau de la Generalitat di Barcellona, ogni 23 aprile, in occasione della festa di san Giorgio.
Nel 1459, il santo dragonslayer era stato ufficialmente nominato il patrono della Catalogna; e, ovviamente, la corte del luogo teneva grandi festeggiamenti in suo onore, nel giorno in cui il martirologio faceva memoria della sua festa. Fra le tante attività che venivano organizzate, quella di regalare fiori alle nobildonne era decisamente secondaria, e tuttavia portata avanti con piacere da ambo le parti. Il riferimento, naturalmente, era al gesto “galante” con cui san Giorgio, secondo la leggenda, era accorso nella sua armatura scintillante per prestare soccorso alla donzella in pericolo che stava per essere mangiata da un drago: il sotteso ironico era qualcosa sulle linee di “se dovessi trovarti anche tu in simili ambasce, sappi che potrai contare sulla mia protezione. Per intanto, accontentati di ‘sta rosa come segno di amicizia e cavalleria”.
Insomma: un cordiale scambio di convenevoli tra pari, non diverso dalla carineria con cui, oggigiorno, capita in alcuni uffici che gli impiegati maschi regalino mimose alle colleghe nella giornata della donna. E, in quest’accezione, l’usanza restò viva fino all’inizio del Settecento: e cioè, fino a quando esistette una corte che risiedeva al Palau de la Generalitat. Ma quando, a seguito della guerra di successione spagnola (1701 – 1714) la Catalogna perse la sua indipendenza politica, la corte locale fu inevitabilmente smantellata e il popolo assistette sospirando alla morte di tante tradizioni che avevano fatto la Storia della regione.
Ma l’usanza di regalare fiori in occasione della festa di san Giorgio non fu tra le tradizioni destinate a sparire. Entro il Settecento, quell’abitudine cortese aveva cominciato a far parlare di sé anche in ambienti molto più popolari: vale a dire, anche i comuni cittadini conoscevano questa graziosa usanza e avevano deciso di farla loro.
Ma (non adusi alle carinerie della vita di palazzo, né tantomeno impazienti di sprecare soldi che non avevano per fare regali non richiesti a incolpevoli colleghe) gli uomini della Barcellona settecentesca interpretarono la tradizione nell’unico modo che parve loro ragionevole: iniziarono cioè a regalare rose alle loro mogli e alle loro fidanzate; o, meglio ancora, a quelle ragazze su cui speravano di poter fare colpo. Tutto sommato, rifarsi a quella antica consuetudine in salsa agiografica era un buon modo per rompere il ghiaccio in maniera non troppo impegnativa, senza imbarazzare con approcci più diretti: al tempo stesso, ovviamente, avrebbe permesso di studiare le reazioni della fanciulla per capire se (e fino a che punto) ci fossero le basi per procedere nel corteggiamento.
E così, nel corso del Settecento, la diada de sant Jordi si trasformò in una sorta di San Valentino alla catalana: una associazione tutto sommato naturale, tenuto conto del fatto che, in molte zone d’Europa, il personaggio di san Giorgio si era fatto largo nella narrativa popolare assumendo ruoli da vero e proprio cavaliere errante, con tanto di sottotrame romantiche a corredo della sua storia. Del resto, le agiografie descrivevano san Giorgio come un intrepido milite cristiano, morto martire per aver rifiutato di sacrificare agli dèi pagani: da nessuna parte c’era scritto che il dragonslayer avesse fatto voto di castità, o comunque avesse una vocazione diversa da quella matrimoniale. E, detto brutalmente: vuoi che non cucchi un sacco, un cavaliere senza macchia e senza paura che va in giro ad ammazzare draghi per trarre in salvo le donzelle?
E dunque, a partire dal Cinquecento, molte leggende si divertirono a immaginare un happy ending a tinte rosa per il valoroso cavaliere e per la principessa che aveva salvato dal drago; e, naturalmente, questa variante della leggenda s’adattò fin troppo bene alla tradizione galante che stava prendendo piede a Barcellona. Sì: nei secoli dei Lumi e del Romanticismo, il 23 aprile era davvero diventato la versione catalana del nostro San Valentino!
E qui, la nostra storia prende una piega inaspettata costringendoci a introdurre un personaggio che apparentemente non c’entra niente, ma fidatevi di me: alla fine, tutto prende senso.
Correva l’anno 1916 quando il signor Vincente Clavel fondò a Barcellona una casa editrice che battezzò Cervantes, in onore del celebre autore. Nel corso dei suoi primi anni di attività, Clavel prese l’abitudine di offrire sconti consistenti a tutti i clienti che acquistavano uno dei suoi libri nella data del 7 ottobre, che secondo alcuni storici è l’anniversario della nascita di Cervantes (oggigiorno, a dire il vero, la comunità accademica tende a propendere per la data del 29 settembre. I documenti archivistici non sono chiari, su questo punto).
Poiché Clavel aveva l’impressione di aver avuto grandi benefici grazie a quella strategia di marketing, diede il via a un’intensa attività di lobbying a favore della sua categoria professionale e, dopo qualche anno, riuscì a convincere il governo spagnolo a fissare in quella data la Giornata Nazionale del Libro. L’idea di Clavel (e dei politici che appoggiarono la sua idea) era quella di trasformare il 7 ottobre in una gigantesca festa dell’editoria spagnola, con mercatini a cielo aperto organizzati in tutte le città dalle varie librerie della zona. Lì, i passanti avrebbero potuto sbirciare le ultime uscite e acquistare libri a prezzo ribassato, con sconti di almeno il 10% che sarebbero stati validi solamente in quella giornata: e, effettivamente, il 7 ottobre 1926 si tenne la prima edizione della manifestazione, con grande entusiasmo e partecipazione di pubblico.
Il che, contrariamente a quanto potreste forse immaginare, lasciò fortemente delusi i proprietari di librerie.
Ciò che Clavel non aveva considerato è che il 7 ottobre è un pessimo momento in cui “costringere” i librai a fare sconti sulla loro merce. La data, sicuramente adatta alle esigenze specifiche della sua casa editrice (tutto sommato, piccola e di nicchia) non avrebbe potuto essere peggiore per le librerie generaliste, che a inizio ottobre facevano affari d’oro grazie alla riapertura delle scuole e alla ripartenza dell’anno accademico. Dagli scolaretti bisognosi di un sussidiario, ai laureandi che ordinavano i loro manuali di studio: tutti quanti, in quel periodo dell’anno, affollavano le librerie alla ricerca di volumi che avrebbero acquistato a prescindere, quale che fosse il prezzo di copertina, perché ne avevano un bisogno reale e urgente. Offrire sconti sulla merce nel momento in cui le librerie pullulavano comunque di avventori disposti a spendere equivaleva grossomodo a un suicidio commerciale (altro che vincente strategia di marketing!): e così, i rappresentanti di categoria si mobilitarono e fecero pressione al governo per convincerlo a cambiare la data della manifestazione. Perché, naturalmente, l’idea era buona, sulla carta: solamente, cadeva nel periodo sbagliato.
E così, a partire dal 1931, la festa dell’editoria fu spostata al 23 aprile: una data suggestiva, perché coincideva al tempo stesso con l’anniversario della sepoltura di Cervantes e con la commemorazione della morte di William Shakespeare.
E se, globalmente, tutti i librai di Spagna concordarono sul fatto che fine aprile era un buon momento per organizzare mercatini all’aperto e offrire sconti sull’invenduto (il clima tiepido invoglia la gente a uscir di casa, e la primavera-estate era un periodo piuttosto piatto sotto il profilo delle vendite), ai commercianti della Catalogna non sfuggì un altro dettaglio: il 23 aprile era anche la data in cui la Chiesa festeggiava san Giorgio. Che, per l’appunto, in quella regione era da tempo considerato “il santo degli innamorati”: quello in memoria di cui i giovanotti facevano regali galanti alle loro belle.
E, naturalmente, i librai di Barcellona non si lasciarono sfuggire la possibilità di sfruttare a loro vantaggio quella tradizione popolare, inneggiando alla parità dei sessi e invitando le ragazze a ricambiare il regalo ricevuto.
Ricambiare con cosa?
Ma con un libro, naturalmente: significativamente, i commercianti della Catalogna fecero rebranding della giornata dell’editoria, ribattezzandola suggestivamente Fiesta del Libro y de la Rosa. E, in quel 23 aprile 1931 in cui si tenne la prima edizione della festa, i banchetti dei commercianti si riempirono di libri selezionati appositamente per un pubblico maschile; i carrettini dei fiorai ambulanti si disposero a poca distanza, pronti a inondare le signore di omaggi coloriti e profumati.
E, dalle parti di Barcellona, la tradizione vive ancor oggi, opportunamente evolutasi per adattarsi alla sensibilità del mondo moderno. Ché, diciamolo: nel 2023, molte donne (me inclusa) storcerebbero il naso al pensiero di ricevere un banale mazzo di rose dopo aver passato chissà quanto tempo a scervellarsi per cercare il libro perfetto da regalare al proprio partner. E in un’epoca in cui, per fortuna, è socialmente accettata l’idea che una donna possa avere interessi culturali vivaci e variegati, anche lo scambio di doni tende a farsi più egalitario: ogni membro della coppia regala e riceve libri (e le rose, eventualmente, restano un “di più” galante).
Ma non solo: pian piano, si sta tornando a quella bella moda che contrassegnava la diada de sant Jordi nel tardo Medioevo. Vale a dire: oggigiorno, non occorre più necessariamente essere in coppia per far arrivare un pensierino all’amica, alla mamma, alla collega (e vederselo ricambiare). In quella che ormai anche l’UNESCO ha eletto Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore, in Catalogna è piuttosto frequente vedere parenti e amici che si scambiano piccoli regali su carta per il semplice piacere di farlo.
E, posso dirlo? In epoca di globalizzazione, quanto vorrei che quest’abitudine arrivasse anche in Italia!
Per approfondire: Carme Polo e Ricard Lobo, Sant Jordi. Llibres i roses. Libros y rosas. Books and roses (Viena Edicions, 2020)
E per appesantire il post con un’informazione che non c’entra niente, ma visto che si parla di editoria ce la mettiamo uguale: se non siete troppo lontani dalla Valtellina e non avete niente di meglio da fare nel weekend che va dal 19 al 21 maggio, vi segnalo il festival letterario Il paese delle storie, organizzato dalla Fondazione Albosaggia nel comune omonimo e dedicato, quest’anno, al tema della caccia alle streghe. Ci sarò anche io, a presentare il mio libro, ma soprattutto ci saranno un sacco di altre proposte editoriali sullo stesso tema, che spaziano dalla narrativa alla storiografia accademica. Date una occhiata al programma: è pieno di ottimi spunti di lettura!
Whitewolf
Mi brillano gli occhi!
Propongo al “sesso forte” (ma se anche voi signore volete partecipare) di proporre un libro che vi piacerebbe ricevere.
Io personalmente adorerei un libro sulla comparazione. Il tema è libero basta sia culturale. Mi va anche bene la comparazione tra miti aztechi e quelli di una sperduta popolazione norrena!
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Lucia Graziano
I suggerimenti di lettura valgono come mezzo regalo? 😉
Perché nel caso ti consiglio questo:
https://www.laterza.it/scheda-libro/?isbn=9788842090236
Il tema dovrebbe essere quello!
Corpi gloriosi di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri- Giulio Guidorizzi (Laterza)
San Brandano d’Irlanda naviga verso terre ignote spinto come Ulisse dal desiderio di conoscere; Gregorio Magno come Edipo nasconde nel cuore la colpa dell’incesto; Maddalena come Elena appare irresistibilmente seducente; san Giorgio vince il drago come Perseo: nelle storie e nelle leggende medievali sui santi rivive il mito degli eroi antichi.
Anche gli eroi cristiani intervengono a favore dei popoli, combattono le ingiustizie, civilizzano nuove terre, affrontano fatiche con coraggio sovraumano. Come gli eroi greci sono mortali e dotati di poteri straordinari: possono operare prodigi o miracoli, fermare mostri e pestilenze, combattere il Male e allontanare le catastrofi. Il corpo è al centro della vicenda dell’eroe/santo: straordinario nella resistenza e potenziato nelle capacità, indica l’estremo limite delle possibilità umane. È il santo la nuova figura di venerazione, erede dell’antico modo di percepire la presenza divina nel mondo. Attorno al suo culto, nei luoghi delle reliquie o del martirio, in ogni angolo dell’impero cristiano, si costruiscono santuari e basiliche. Perché la potenza misteriosa del sacro ha bisogno di rendersi percepibile qui e ora, attraverso ciò che resta di un corpo, attraverso la volontà di credere che ciò che è morto è ancora vivo e operante. Secoli di storia dimostrano che, a dispetto di Brecht, l’eroe (o in qualsiasi modo lo si voglia chiamare) è una necessità della psicologia collettiva.
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Whitewolf
È Natale prima del tempo? GRAZIE ❤
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