I gitani del Medioevo: nobili decaduti (e penitenti) giunti in pellegrinaggio fin dal lontano Egitto

Nel 1322, Simon Simeonis e Ugo l’Illuminato, due frati minori in viaggio per Creta, si imbatterono strada facendo in un gruppo di strani individui che li colpirono al punto tale da spingerli a mettere per iscritto un resoconto del loro incontro. E meno male, verrebbe da aggiungere: ché quella dei due religiosi è la più antica testimonianza in nostro possesso circa l’esistenza del popolo gitano – che, a quanto pare, già esisteva all’inizio del XIV secolo, e già cominciava a distinguersi per tratti inconfondibili e caratterizzanti.

I due frati li avevano incontrati in Grecia, là dove la popolazione locale li chiamava Atkinganos e li considerava alla stregua di una setta composta da musici e divinatori (anche se, all’atto pratico, la maggior parte di questi individui si guadagnava da vivere come fabbro, stando a quanto riferiscono i religiosi). Si erano insediati nella cittadina di Modone, all’epoca un importante porto sotto il controllo dei Veneziani, anche se “insediamento” sembrerebbe forse un termine eccessivamente generoso per descrivere il modo in cui questi individui avevano deciso di vivere: rifiutando ostinatamente le comodità delle abitazioni ‘normali’, costoro preferivano dimorare in piccole tende, alla maniera degli Arabi, se non addirittura all’interno di anfratti naturali roccia. Chiamavano “Piccolo Egitto” quel lembo di terra in cui s’erano stabiliti e dicevano d’essere Egiziani loro stessi, sicché i leader di quella strana comunità andavano in giro presentandosi come duchi, o conti, del Piccolo Egitto.

(E, effettivamente, gli storici del linguaggio tendono a concordare su fatto che il termine gipsy sia la contrazione di quell’antico Egyptians con cui gli zingari erano conosciuti nel Medioevo. Il nostro gitani, un po’ più tardo, è un calco del termine Tchingani con cui i Turchi indicavano la popolazione nomade).

Cosa ci facessero a Modone questi Atkinganos (a parte farsi i fatti loro standosene in santa pace nel loro accampamento, intendo), non è dato sapersi. Non sappiamo da dove arrivassero (anche se un indizio ce la può dare la loro descrizione fisica: i due frati minori erano stati colpiti dalla loro pelle scura, “simile a quella degli Etiopi”), e non abbiamo assolutamente idea del perché avessero deciso di darsi questa peculiare organizzazione sociale. Certo è che, se rifiuti ostinatamente di prender casa nel luogo in cui sosti da tempo, è perché non ti piace l’idea di vivere costretto tra le quattro mura di un appartamento e non hai alcuna intenzione di condurre una vita stanziale. E infatti, dopo il loro incontro con i due frati, gli Atkinganos sembrano sparire dalla Storia per circa un secolo: quando tornano a far parlare di sé, all’aprirsi del XV secolo, rendono immediatamente chiara una cosa – in quel lasso di tempo, i nostri amici dal cuore nomade avevano sviluppato una strategia che avrebbe permesso loro di viaggiare in sicurezza e con la ragionevole speranza di poter essere ben accolti ovunque avessero deciso di sostare.

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È opinione comune tra gli storici che, vivendo per un tot. di anni nella città di Modone (all’epoca, uno dei più grandi porti del Mediterraneo, meta obbligata per i molti che da lì si imbarcavano per la Terra Santa), gli Atkinganos abbiano avuto modo di osservare che i pellegrini godevano di uno status di netto privilegio rispetto a tutti gli altri viaggiatori, che li poneva molto al di sopra del ‘turista qualunque’ nella considerazione che di loro aveva l’uomo-medio. E così, al momento di rimettersi essi stessi in viaggio, gli Atkinganos dovettero ritener fruttuoso spacciarsi essi stessi come pellegrini, costretti a un eterno cammino a motivo di una grave colpa che ora stavano espiando col loro devoto girovagare.

Una piccola “truffa” a sfondo religioso, se così vogliamo chiamarla; o, forse più propriamente, un mito fondativo finalizzato a dar loro il miglior biglietto da visita con cui potessero presentarsi in una città straniera. Ché la figura del pellegrino peccatore e redento tirava tantissimo, nel Medioevo (e anzi: chi ha letto il mio libro sulla caccia alle streghe potrebbe ricordare una storia simile; quella di Franceschina di Lippo Caleffi, una truffatrice che dichiarava d’essere l’ebreo errante per conquistare con poco sforzo le simpatie delle sue sfortunate vittime). Per l’uomo del tempo, il pellegrino penitente suscitava evidentemente la stessa risposta emotiva che oggigiorno ci procurano i bambini in lacrime nelle zone di guerra: solidarietà immediata, una stretta allo stomaco e impulso irrefrenabile ad aprire il portafoglio per aiutare.

Ebbene: entro il 1418, gli Atkinganos erano penetrati in Ungheria (da lì in Germania) provenendo dai Balcani. In ognuna delle città in cui si fermavano, mostravano delle pergamene che dicevano essere lettere di protezione scritte per loro da Sigismondo, Imperatore del Sacro Romano Impero, il quale aveva voluto porre il loro pellegrinaggio sotto la sua augusta tutela. È altamente probabile che quelle pergamene fossero in realtà dei falsi: un po’, perché non si trova traccia della loro esistenza nelle cancellerie imperiali (ma questo potrebbe anche non essere del tutto implausibile); un po’, perché il firmatario di queste lettere aveva la curiosa tendenza a cambiare identità non appena i gitani entravano in una nazione in cui una diversa protezione avrebbe potuto essere più favorevole. Nel 1419, trovandosi nella Francia del Sud, sfoggiavano lettere di protezione del tutto analoghe a quelle di Sigismondo, ma a firma del Duca di Savoia; nel 1427, erano arrivati alle porte di Parigi portando con loro una storia ancor meglio confezionata (e ancor più strappalacrime, se vogliamo).

A darcene conto è Le Journal d’un Bourgeois de Paris, un testo anonimo composto da un (probabile) sacerdote parigino che aveva voluto tener traccia degli avvenimenti occorsi in città tra il 1405 e il 1449.
Ebbene: nell’anno del signore 1427, la calda estate parigina fu turbata da un evento senza precedenti. Circa cinquant’anni prima che lo sguardo di Esmeralda incontrasse gli occhi di Quasimodo in Notre-Dame de Paris, gli zingari avevano fatto il loro ingresso a Parigi per la prima volta in assoluto: e non farà male cedere la penna al cronista per scoprire da lui in che modo, con che strategia, e con quali reazioni da parte dei cittadini.

Nella domenica dopo mezzagosto, il 17 agosto 1427, dodici penitenti (come loro stessi dicevano di essere) arrivarono a Parigi: uno era un duca, uno era un conte, e li seguivano altri dieci uomini rispettabili, tutti quanti a dorso di cavallo.

Cinicamente, potremmo dire che erano probabilmente una selezione degli uomini più presentabili, da mandare in avanscoperta per tastare il terreno e cominciare a preparare la strada al resto della comitiva, raccontando ai Parigini la loro triste storia.

Dissero di essere buoni cristiani e di essersi messi in marcia dal Basso Egitto; per la precisione, dissero di essere stati buoni cristiani: ché non molto tempo fa i Crociati avevano conquistato le loro terre costringendo la popolazione autoctona a scegliere tra la morte o la conversione… e loro avevano scelto di abbracciare la nostra fede. Ma di lì a poco i Saraceni avevano mosso guerra contro i Crociati, vincendo; e poiché loro erano ancora deboli nella loro nuova fede, avevano a quel punto rinnegato il Cristo e, per paura, accettato di tornare musulmani. Ciò che accadde subito dopo, fu che alcuni signori cristiani (come l’Imperatore di Germania, il Re di Polonia e altri) vennero a sapere che costoro avevano rinnegato il Vangelo ritornando a essere Saraceni e idolatri, e misero in marcia il loro esercito contro di loro. Gli Egiziani si arresero di buon grado, nella convinzione che avrebbero potuto continuare a vivere in pace nelle loro terre se fossero ri-diventati cristiani, ma dopo lunghe discussioni l’Imperatore e gli altri re ritennero che a individui così inaffidabili, già dimostratisi essere dei voltagabbana, non potessero essere date in custodia delle terre salvo parere contrario da parte del papa. E così, gli uomini dell’Egitto si misero in viaggio per Roma allo scopo di incontrarlo; e si misero in viaggio tutti: uomini e donne, adulti e bambini – e quanto fu faticoso quel viaggio, per i bambini!

Insomma: rinnegare il Vangelo è certo peccato grave, ma diciamo pure che quei poveretti avevano un buon numero di attenuanti, a partire dalla debolezza d’una fede ancora giovane che era stata messa alla prova dagli ostacoli più irti. Ostacoli che la brava gente di Parigi sentiva probabilmente assai vicini alla sua esperienza personale: la Francia, in quell’epoca, era contesa tra tre potenze diverse (di cui una decisamente aliena: l’Inghilterra), che costantemente provavano a strapparsi di mano quel lembo di terra tormentata. La storia commovente dei gitani d’Egitto colpì a fondo l’immaginazione dei Parigini proprio perché sembrava fatta apposta per far pensar loro: tutto sommato li capisco. Avrei potuto esserci io, al loro posto, se fossi nato in un luogo diverso.
Ma fortunatamente per i nostri amici Egiziani, tutto è bene quel che finisce bene (‘nsomma):

Quando arrivarono davanti alla cattedra di San Pietro, tutti gli Egiziani fecero una confessione generale dei loro peccati; e il papa, avendo ascoltato le loro colpe e avendo riflettuto a lungo sul da farsi, comminò loro la penitenza: che per sette anni dovessero viaggiare per il mondo senza mai dormire una sola notte dentro un letto. Per contro, comandò che ogni vescovo e ogni abate li avesse visti bussare alla sua porta avrebbe dovuto dare loro riparo, protezione e, una tantum, un contributo in denaro: fornì ai penitenti delle lettere papali che contenevano quest’ordine, da mostrare agli alti prelati al momento del bisogno, e impartì loro la sua apostolica benedizione. E così, i penitenti si misero in viaggio: e per cinque anni avevano già viaggiato, nel momento in cui varcarono le mura della città di Parigi.

E le varcarono in massa: ché, dopo aver ottenuto il consenso a entrare, i dodici emissari che erano stati mandati avanti tornarono indietro a recuperare il resto della comitiva. Che, come dire: non era esattamente composta da nobili a cavallo.

Non saranno stati più di cento in tutto, tra uomini, donne e bambini. Erano i superstiti, potremmo dire: ché quando avevano lasciato le loro terre, erano dieci o dodicimila, ma tutti gli altri erano morti strada facendo; anche il loro re e la loro regina erano andati incontro a quel destino. I sopravvissuti, però, continuavano a sperare di poter ricevere alla fine del loro viaggio dei possedimenti terreni, perché il Santo Padre aveva promesso loro con chiarezza che li avrebbe infeudati di terre fertili e pianeggianti nel momento in cui avessero concluso la loro penitenza.

La festa del Lendit [grande fiera commerciale che animava la vita della Parigi medievale in occasione del giorno di san Denis, NdR] vi sembrerebbe semideserta, se la volessimo paragonare alle folle di curiosi che accorsero in massa a La Chapelle per poter vedere coi loro occhi quegli strani penitenti vagabondi: arrivavano da Parigi, da St. Denis e da tutto il circondario; e, in effetti, lo spettacolo era inconsueto tanto quanto interessante.

A seguire, uno spettacolo interessante per davvero: la prima descrizione del popolo gitano della Storia.

I bambini erano straordinariamente intelligenti: e questo valeva tanto per i maschietti quanto per le femminucce. Quasi tutti avevano le orecchie bucate con dei cerchi d’argento conficcati nei lobi: cosa che, a quanto fu spiegato, era segno d’una certa nobiltà di sangue nel loro paese natio. Gli uomini avevano la pelle olivastra, con capelli ricci; le donne erano le più brutte che potreste immaginare, con volti dalla carnagione scura sfigurati dalle cicatrici e capelli così neri da sembrare la coda di un cavallo. Non indossavano dei vestiti nel vero senso del termine, ma delle specie di coperte poggiate sulle spalle e tenute chiuse da una cordicella; al di sotto, avevano solo delle sottovesti di cotone. In buona sostanza, erano le creature più umili che si fossero mai trovate a calpestare il suolo di Francia. E ciò non di meno, c’era tra di loro una straordinaria quantità di fattucchiere, che osservando i palmi delle mani delle persone erano in grado di riassumere ciò che era stata la loro vita fino a quel momento e di profetizzare ciò che sarebbe successo loro da quel momento in poi. Crearono problemi a molte coppie, perché dicevano ai mariti cose tipo “tua moglie ti ha messo le corna” e alle mogli “devi stare attenta, perché tuo marito ti mente”.

Certi pregiudizi contro i gitani sono di vecchia data, a quanto pare:

Peggio ancora, si diceva che nel momento in cui si mettevano a chiacchierare con una persona fossero in grado di far sparire le monete dalle sue tasche per farle riapparire nelle proprie (non ho idea se ci riuscissero mediante il ricorso alle arti magiche, oppure con la collaborazione del diavolo, oppure con altre astuzie molto più terrene). Devo dire che io ebbi modo di parlare con loro almeno tre o quattro volte, e non mi risulta di aver smarrito nemmeno una monetina né di averli visti leggere i palmi delle mani a chi era lì presente, ma tutto il resto di Parigi sembrava molto coeso nel dire che assolutamente lo facevano.

Ironia della sorte,

Evidentemente, notizia di ciò arrivò anche al vescovo di Parigi, che volle incontrarli personalmente portandosi dietro un frate minore di nome Jacobin che, su ordine del prelato, predicò loro un sermone di straordinaria potenza. Poi ebbe cura di scomunicarli tutti e di scomunicare anche tutte le persone che si erano fatte leggere la mano o comunque avevano dato fede alle loro profezie. Sicché gli zingari furono costretti a ripartire, e se ne andarono da Parigi l’8 settembre mettendosi in marcia per Pontoise.

(Purtroppo non sappiamo cosa ne fu dei loro clienti che erano stati scomunicati: e quanto sarebbe interessante da sapere!).

Cosa c’è di vero nella storia che i gitani raccontarono ai Parigini? Probabilmente poco o nulla; eppure è interessante notare come il cronista non la metta minimamente in dubbio (nonostante si mostri scettico su altri punti); e vien da pensare che i gitani avrebbero potuto dimorare a Parigi a lungo e confortevolmente, forti dell’interesse che riscuotevano tra la popolazione, se non fosse stato per le dicerie che avevano cominciato a circolare circa la loro attitudine al furto e alla pratica della magia. Ma non era così scontato che questo tipo di pregiudizi s’accompagnasse loro: fu solo a partire da XVII secolo che la figura del gitano registrò un crollo verticale di popolarità, cominciando a essere additata come quella dell’accattone disonesto per eccellenza; prima, salvo i sospetti occasionali che potevano sorgere di quando in quando, il loro anomalo stile di vita era considerato eccentrico, più che minaccioso. Ma tutto sarebbe cambiato: ché, nella rigorosa Europa della Riforma, non c’era spazio per i diversi – e persino l’empatia andava distribuita con cautela, e solo a chi sembrava potersela meritare. E quei nomadi stravaganti non rientravano più nel novero, a quanto pare.


Per approfondire:

  • The Unesco Courier. The Gypsies (ottobre 1984)
  • Taming the Gypsy: How French Romantics Recaptured a Past. A dissertation presented by Elizabeth Carter Hanrahan to The Department of Romance Languages and Literatures in partial fulfillment of the requirements for the degree of Doctor of Philosophy in the subject of Romance Languages and Literatures (Harvard University, Cambridge, Massachusetts, September 2014)

7 risposte a "I gitani del Medioevo: nobili decaduti (e penitenti) giunti in pellegrinaggio fin dal lontano Egitto"

  1. Avatar di ac-comandante

    ac-comandante

    Se ricordo bene, in realtà gli zingari venivano dall’India, la loro lingua ha radici affini al Marathi. Ma si sa come siano passati a dire di venire dall’Egitto?

    Sapevo che i pregiudizi verso quell’etnia erano antecedenti al nazismo, ma non così antecedenti. E che la Chiesa ci avesse messo lo zampino (un po’ come per gli Ebrei).

    PS: le email le vedi? Se sì, scrivimi in privato e ti spiego cosa mi era successo che mi ha portato ad arrivare al protestantesimo, ma prima prenditi un Plasil

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    1. Avatar di Ago86

      Ago86

      Sempre colpa dei cattolici, anche quando non ne hanno. Mai dei protestanti e dei riformati, anche quando è scritto a chiare lettere.

      Oltre a pregiudizi e trollate sei capace di altro?

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      1. Avatar di ac-comandante

        ac-comandante

        Ci metti due anni per insultarmi? Sei TU capace di altro?

        Guarda le date nel testo di Lucia, 1427: c’erano già i protestanti?

        Lo so che rimpiangi non i tempi dell’Inquisizione ma quelli di testalustra…

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        1. Avatar di Ago86

          Ago86

          Ti sei accorto di cosa dice il testo?

          Ma non era così scontato che questo tipo di pregiudizi s’accompagnasse loro: fu solo a partire da XVII secolo che la figura del gitano registrò un crollo verticale di popolarità, cominciando a essere additata come quella dell’accattone disonesto per eccellenza; prima, salvo i sospetti occasionali che potevano sorgere di quando in quando, il loro anomalo stile di vita era considerato eccentrico, più che minaccioso. Ma tutto sarebbe cambiato: ché, nella rigorosa Europa della Riforma, non c’era spazio per i diversi – e persino l’empatia andava distribuita con cautela, e solo a chi sembrava potersela meritare. E quei nomadi stravaganti non rientravano più nel novero, a quanto pare.

          In quanto riportato nel post trovi che il prete non solo si limita a riportare un evento di cronaca, ma è scettico verso le accuse di furto. Ma per te “la Chiesa” ha sempre e solo colpe, anche se c’è scritto l’esatto opposto – Torquemada ti fa un baffo alla Hitler.

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          1. Avatar di Lucia Graziano

            Lucia Graziano

            Ehm, in realtà quando io scrivo “Europa della Riforma” voglio dire “Europa dell’età della Riforma“, e “età della Riforma” lo intendo nell’accezione che viene sempre più spesso utilizzata in storiografia per indicare genericamente il periodo storico in cui hanno luogo la riforma protestante e la riforma cattolica (o controriforma che dir si voglia, ma ormai si tende a preferire il primo termine al secondo – e io concordo – anche per dire che il concilio di Trento non fu solo una reazione a Martin Lutero ma fu proprio una riforma interna su più larga scala).

            Se voglio riferirmi a quelle zone d’Europa che erano a maggioranza protestante, lo dico proprio: “nelle zone d’Europa a maggioranza protestante”. Visto che è una fraseologia che uso da anni non pensavo che potesse essere fraintendibile, ma evidentemente sì e grazie per avermelo fatto notare!, comunque no: nell’Europa della Riforma (periodo storico) erano incarogniti abbestia sia cattolici che protestanti, uno periodi più cupi della storia dell’Occidente secondo me, da quel punto di vista li metto tutti sullo stesso piano (magari variavano le specifiche idiosincrasie ma non il concetto di fondo) 😂

            A margine… Ago86, ma tu hai l’hobby di andartene in giro a provocare (eufemismo) tutti i protestanti che trovi in rete, o hai un odio specifico verso il povero Ac-comandante che invece io trovo un ospite graditissimo su queste pagine e che gradirei molto potesse continuare a sentirsi tale senza essere insultato ogni volta che lascia un commento? 😅

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          2. Avatar di Ago86

            Ago86

            Sì, sono io a provocare: i luoghi comuni, i pregiudizi e gli insulti li ho tutti messi io.

            Del resto sono cattivo, no? Farsi rispettare è da cattivi, fare da zerbini è da buoni. C’è vittima e vittima, a seconda della copertura mediatica.

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