Perché si regalano le mimose all’8 marzo?

Strano ma vero, ho perso il conto di tutte le volte in cui mi è stato chiesto “Lucia, ma da dove nasce la tradizione di regalare mimose in occasione della giornata della donna?”. E ogni volta ho provato un certo imbarazzo nel fornire una risposta così banale da essere demitizzante: ehm, le mimose sono diventate il simbolo dell’8 marzo (peraltro, solo qui in Italia) perché non è che ci siano moltissime altre opzioni tra cui scegliere se si vuole fare un omaggio floreale in questo periodo dell’anno (a volersi basare sui normali cicli della natura, senza spendere sassate in prodotti d’importazione).

Acclarato dunque che non esistono significati occulti, simbologie strane o tradizioni gloriose attorno all’elemento-chiave dell’8 marzo, potrà essere interessante dedicare due righe alla Storia pura e semplice: ok, ma chi è stato il primo a farsi venire in mente di associare la mimosa alla giornata della donna? Quando, perché, e con che ratio, se ce n’era una?

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Se non conoscete le vere origini della giornata della donna (ovverosia: se siete convinti che la festa cada l’8 marzo in memoria delle sfortunate operaie in sciopero arse vive all’interno del cotonificio Cotton), vi inviterei innanzi tutto ad andare a recuperare questo mio vecchio articolo, che incrinerà ogni vostra certezza in materia. Incredibile ma vero, la storiella delle operaie bruciate vive è una leggenda metropolitana, e grazie al cielo nessuna sartina in sciopero è andata incontro alla morte in così tragiche circostanze: la consuetudine di onorare le donne nella data dell’8 marzo nasce sul finire degli anni ’10 in seno al partito socialista, per tener viva la memoria di altre donne coraggiose, che avevano orgogliosamente manifestato per i loro diritti, sì… ma in tutt’altro contesto rispetto a quello di un cotonificio in sciopero.

Il contesto in cui s’erano mosse le donne di cui sto parlando era quello della Russia degli zar: il 23 febbraio 1917, coordinate dal partito socialista, centinaia di cittadine erano scese in piazza in segno di protesta, chiedendo al legislatore l’immediata uscita dalla guerra e denunciando le durissime condizioni di vita in cui le famiglie moscovite erano costrette a vivere. Con un effetto domino, la loro protesta arrivò a toccare, nei giorni immediatamente successivi, collettivi operai, circoli maschili, lavoratori socialisti e liberali: era l’inizio di quella celebre rivoluzione di febbraio che gli storici considerano oggi la prima fase della rivoluzione russa.

E se qualcuno dovesse chiedersi, giustamente, che c’azzecchi la rivoluzione di febbraio con la data dell’8 marzo: beh, la Russia dell’epoca non aveva ancora abbandonato la consuetudine di segnare lo scorrere del tempo utilizzando il calendario giuliano, che come è ben noto presenta uno scarto di qualche giorno rispetto al calendario gregoriano; sicché, gli eventi che ho appena descritto ebbero origine in quello che per i Russi era il 23 febbraio ma che per il resto del mondo (secondo la datazione del calendario gregoriano appunto) era l’8 marzo. Da qui, la consuetudine di onorare il gentil sesso nella data che più di tutte dimostra fino a che punto un gruppo di donne coraggiose abbia il potere di cambiare (letteralmente) la Storia; la favoletta delle operaie bruciate vive nel cotonificio è una fake news bella e buona, inventata ad arte in Occidente perché pareva brutto, negli anni della guerra fredda, dire che si stavano omaggiando quelle donne che (in soldoni, a estremizzare il nesso causa-effetto) avevano contribuito a determinare l’avvento della dittatura comunista dell’Unione Sovietica. Ma è proprio una favoletta inventata, punto e basta e senza possibilità d’appello.

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“Questo però non serve a spiegare come nasca la tradizione delle mimose”, mi direte: e in effetti avete ragione; però era una premessa utile per spiegare come mai, anche nella nostra Italia, furono delle politiche di sinistra a farsi carico dell’organizzazione della prima giornata della donna ufficialmente celebrata, l’8 marzo 1945.

A promuoverla e coordinarla fu l’Unione Donne Italiane (UDI), una associazione promozione sociale vicina ai partiti di sinistra, sorta a seguito della fusione di numerosi gruppi femminili a vocazione antifascista che durante gli anni della guerra avevano operato nella clandestinità. Ma, nella primavera del 1946, era ben giunta l’ora di uscire allo scoperto: l’Italia era stata liberata, le cittadine stavano per esercitare per la prima volta il loro diritto al voto e i tempi erano maturi perché la società potesse celebrare il valore e i successi delle donne. Il tavolo di lavoro riunitosi per l’occasione partorì una notevole quantità di idee: dalla mezza giornata festiva per tutte le donne impiegate in fabbrica (la GCIL ci provò davvero, ma gli risero in faccia) ai francobolli commemorativi, passando attraverso una serie di comizi e trasmissioni radiofoniche in cui fossero uomini di elevato spessore culturale a spiegare ai loro pari come mai fosse così importante interessarsi alla condizione femminile.

Tra le tante idee, ecco il colpo di genio: Rita Montagnana (una delle pochissime donne che furono scelte per far parte dell’Assemblea Costituente; nonché moglie di Palmiro Togliatti, per gli amati del gossip) suggerì che sarebbe stato utile associare alla festa dell’8 marzo un fiore che ne potesse diventare il simbolo, per un alto impatto visivo. Un po’ come succedeva nel Regno Unito con il papavero rosso che già da tempo era simbolo della giornata di rimembranza per i soldati caduti in guerra; o come capitava in Francia con i mughetti che era diventato consuetudine appuntarsi al petto in occasione del 1° maggio.

Le donne dell’UDI che sedevano al tavolo di lavoro accolsero immediatamente la proposta. Così testimonia una di loro, Maria Lisa Cinciari Rodano: «ci voleva, dunque, un fiore reperibile agli inizi di marzo, poiché all’epoca le serre erano poche e non arrivavano fiori in aereo da ogni parte del mondo e in tutte le stagioni, come arrivano ora. A noi, giovani romane, vennero in mente gli alberi coperti di fiori gialli, quando ancora le altre piante sono spoglie, che crescevano rigogliosi in tanti giardini di Roma e dei Castelli: e pensammo che quel fiore era abbondante e, spesso, disponibile senza pagare, e non ci venne in mente che in tanta parte d’Italia non era così» (e infatti, molte di queste comuniste tutte d’un pezzo non furono propriamente entusiaste di registrare la deriva commerciale che, nell’arco di pochi anni, finì con lo sporcare la loro iniziativa floreale, basta su una scelta forse non proprio oculatissima). «Nel corso degli anni successivi si è poi molto almanaccato sui motivi “reconditi” della scelta», talora inventano storie eroiche e piene di pathos su usi clandestini delle mimose appuntate al petto che avrebbero permesso alle partigiane di riconoscersi tra di loro; ma – testimonia con franchezza Cinciari Rodano – «la verità è più semplice e banale». E dovremo farcene una ragione.

Certo è che, in quell’8 marzo 1946, la giornata delle donne fu celebrata in grande stile: a Roma, una messa solenne a Santa Maria degli Angeli ricordò tutte le donne cadute nel corso della guerra; furono organizzate conferenze; le donne dell’UDI portarono frutta e doni nelle case bisognose i cui padri di famiglia, prigionieri di guerra, non erano ancora stati rimpatriati e organizzarono manifestazioni di garbata protesta di fronte alle ambasciate delle nazioni che ancora li trattenevano detenuti, sollecitando un immediato rimpatrio. E le mimose fecero il boom: furono distribuite ai bambini nelle scuole perché le portassero in regalo alle loro madri; furono omaggiate al capo dello Stato da una delegazione di donne in visita; da Nord a Sud, furono deposte sulle tombe dei soldati caduti in guerra, di modo che anche loro potessero simbolicamente farne avere un mazzolino alle loro vedove. 

Tradizione tutta Italiana, la consuetudine di regalare mimose all’8 marzo non riuscì mai a varcare i confini delle Alpi: nel resto del mondo, la giornata della donna non è così strettamente associata agli omaggi floreali – e, se lo è, il fiore è comunque diverso. Nell’Europa dell’Est è consuetudine regalare tulipani rossi; in Francia, sono le violette ad andare per la maggiore; altrove, quando gli uomini decidono di fare un omaggio floreale alle donne della loro vita si basano sui loro gusti personali o optano per quei bouquet che vanno per la maggiore nei contesti romantici (tipo le rose rosse, classiche e immortali).

E forse quella della mimosa non sarà la storia pregnante e ispirazionale che avevate sperato di sentirvi raccontare… ma è pur sempre una storia che dà un po’ più di spessore al mazzolino profumato che oggi state forse per regalare, o per ricevere.


Per approfondire:

Tilde Capomazza, Marisa Ombra, 8 marzo. Una storia lunga un secolo (iacobellieditore, 2020)

10 risposte a "Perché si regalano le mimose all’8 marzo?"

      1. Avatar di Gianluca di Castri

        Gianluca di Castri

        Non regalo mai mimose per la festa della donna. Quando ero giovane, nel passato millennio, regalai alle mie colleghe d’ufficio delle rose blu, non ricordo da quale fioraio le avessi trovate. Fui preso per folle e da allora ho smesso del tutto.

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