[Ma che sant’uomo!] La morte di Aleksander

Ho scoperto, curiosando su Wikipedia, che per leggere il futuro esistono dei metodi del tutto impensabili. A parte i fondi di tè, le carte, o il palmo della mano, gli indovini del mondo hanno adottato le tecniche divinatorie più svariate: ad esempio c’è la cheloniomanzia, che interpreta il futuro grazie alle scapole delle capre, o la margaritomanzia, che si basa sull’analisi dei rimbalzi fatti da una perla lasciata cadere in un bicchiere.
Detto ciò, io sono un’indovina vecchio stampo, e quindi mi limito a tecniche più tradizionali: ad esempio l’onomanzia. Che è, per chi non lo sapesse, la tecnica divinatoria che interpreta il nome di una persona.
Stando all’onomanzia, ad esempio, io dovrei essere una ragazza socievole, impulsiva, e che adora viaggiare (in realtà sono un’orsa meditabonda che detesta i viaggi, ma questa è un’altra storia). Per quanto riguarda le persone che si chiamano “Alessandro”, invece, costoro hanno una vita molto pia, ma anche assai noiosa.
Lo dicono i fatti.Prendiamo il caso di Sant’Alessandro.
Di Santi che si chiamano Alessandro, ne esistono all’incirca una quarantina.
Il motivo principale per cui ho vergognosamente latitato da questo blog negli ultimi tempi, è perché ho passato giorni e giorni della mia vita a documentarmi su questa quarantina di omonimi (non è vero ma almeno ci faccio la figura della povera martire della blogosfera).
Insomma: ormai posso esprimermi con una certa consapevolezza, miei  cari signori. E dunque propongo e sottoscrivo questa affermazione: ma che vite noiose che hanno avuto, questi Sant’Alessandro!
Per trovare un racconto un po’ curioso, son dovuta andare a ripescare un povero albanese, martirizzato nel 1948 sotto la dittatura-di-fatto di Enver Hoxha. Questo poveraccio, di cui vi racconterò la storia, a dir la verità non è (ancora) né Santo né Beato: è “servo di Dio”, che è la prima “tappa” nel processo di canonizzazione.
Ma, soprattutto, si chiama Alexander. Come Alessandro, che è il secondo classificato al mio concorso, e come Suibhne – che non ha vinto un bel niente, però ha una fortuna sfacciata e si becca la storia del suo Santo omonimo.E così, per la serie
Ma che sant’uomo!

ovverosia

Tutto quello che veramente non avreste mai e poi mai voluto sapere sui Santi,
e che men che meno avreste osato chiedere,

ecco la storia di Aleksander Sirdani, sacerdote e martire. Da NON leggere se per caso state mangiando davanti al computer.


Aleksander Sirdani, detto “Leke” per gli amici, era nato in Albania nel 1892. La madre era morta nel darlo alla luce, il padre era morto pochi anni più tardi: il povero Leke era stato affidato a una zia, e poi a un pio signore che s’era offerto di aiutarlo nella crescita. Il pio signore era musulmano, ma non aveva avuto problemi nel rispettare la religione del bambino – anzi, l’aveva iscritto a un collegio di Gesuiti, dove Aleksander era stato ammesso all’età di otto anni.
I Gesuiti accolgono il piccolo; lo aiutano, lo educano. Lo mandano in Austria, per proseguire gli studi a livello universitario: e in Austria, Aleksander rimane parecchi anni, fino al 1916. Quando ritorna in Albania, è ormai un uomo fatto… ed è anche un sacerdote.

Aleksander Sirdani, per gli appassionati del foklore locale, è una figura importante anche al di là della sua vita spirituale. Nei momenti liberi dal ministero sacerdotale, infatti, Aleksander aveva cominciato a fare, con gli Albanesi, quello che i fratelli Grimm avevano fatto coi Tedeschi – cioè raccogliere e rielaborare le fiabe della tradizione, per rafforzare e rinsaldare lo spirito nazionale. Da qualche parte, nelle biblioteche di Tirana, ci sono sicuramente ancora le sue raccolte: Parole d’oro, Racconti popolari, Il piccolo frate, La leggenda del foglio del porro.

Sfortunatamente per lui, però, il buon Sirdani non è famoso solo per le sue opere letterarie: anzi, è famoso per il suo martirio, che è uno dei più raccapriccianti che mi sia mai capitato di dover leggere.

Tutto comincia il 26 luglio del ’48, durante una Messa. Don Aleksander, che sta facendo la predica, esordisce con le seguenti parole: “fratelli e sorelle, una nube nera ci ha coperti. Ma non dovete temere, perché la nube è passeggera, e presto tornerà il sole: e noi risplenderemo, come le pietre del fiume dopo la pioggia”.
Aleksander non stava fornendo un servizio meteorologico, ma parlava della situazione politica in Albania: dopo le tristi vicissitudini della Seconda Guerra Mondiale, il Paese era caduto nelle mani di Enver Hoxha, ex-capo dei partigiani e attuale (all’epoca) capo del Governo.
Hoxha, che era uno stalinista così infervorato da non andar d’accordo nemmeno con URRS e Cina, aveva instaurato in Albania una dittatura-di-fatto che è proseguita fino ai primi anni Ottanta, quando il buon uomo è passato a miglior vita. Nel frattempo, il simpatico dittatore era riuscito ad ottenere due risultati mica da poco: il primo era stato quello di aver riempito l’Albania di bunker (oltre cinquecentomila bunker monoposto, costruiti su tutto il territorio nazionale); il secondo era stato quello di aver reso l’Albania, nel 1967, il primo e ultimo Stato ateo per legge della Storia.

Enver Hoxha, intuibilmente, non era proprio la persona più sportiva della Storia – non accettava critiche politiche, e men che meno le accettava da un prete.
Cosicché, il nostro buon Aleksander, che aveva criticato Hoxha pubblicamente, fu arrestato, malmenato, e trascinato via (letteralmente: trascinato in mezzo alla strada! Per oltre trenta chilometri!), fino al carcere più vicino.
In carcere, il poveretto fu torturato a più riprese: con ferro arroventato (ahio), scariche elettriche (provato di persona una volta, e garantisco che non è carino), e infine spellamento (aaaarghh)
A questo punto, sarete tutti quanti inorriditi, ma il “meglio” deve ancora incominciare.
Don Aleksander, che evidentemente aveva come carceriere un tizio con dei seri problemi, fu torturato incessantemente per più di due giorni.
Poi, improvvisamente, nel carcere smisero di echeggiare i suoi lamenti.

La prigione di Koplik, in cui Aleksander era tenuto prigioniero, non era vuota. A poche celle di distanza dalla stanza delle torture era imprigionato un altro sacerdote, un tale Anton Luli: non sentendo più le grida di padre Aleksander, don Luli domandò alla guardia cosa ne fosse stato.
La guardia, candidamente, gli rispose la verità. Don Aleksander Sirdani, ormai in fin di vita per le torture ricevute, era stato terminato, in un gesto di pietà… affogandolo nel pozzo nero del carcere.
Giuro.
Han preso il povero Aleksander, che era ancora vivo, e l’hanno buttato nella latrina della prigione, tenendolo giù con un forcone mentre il pover’uomo affogava nei liquami.

Anton Luli, inorridito, restò senza parole di fronte a tanta atrocità.
Non dimenticò mai l’orrore di quei momenti, e anzi continuò a raccontarlo ogni volta che n’ebbe occasione: diversamente da Aleksander, infatti, padre Anton riuscì a sopravvivere alla prigione: conobbe la libertà nel 1990, ormai ottantenne, dopo essere rimasto imprigionato per circa quarantaquattro anni.

Sì: padre Anton continuò a raccontarlo, l’orrore di quel giorno.
Perché, non appena avuta la notizia, il sacerdote inorridito domandò al carceriere di poter andare in bagno. Si sentiva male, forse aveva mangiato cibo avariato, aveva assolutamente bisogno di andare in bagno subito… e così fu accompagnato fino alla latrina della prigione (che non dovete immaginarvi come il W.C. di casa vostra, ma come una specie di grossa buca che raccoglieva le deiezioni dei carcerati).

Sotto la melma e le urine, il corpo di don Aleksander stava ancora galleggiando.
E padre Anton, tremando per l’orrore… infilò le mani negli escrementi, per cercare al tatto la fronte del sacerdote. E, prima di lasciarlo andare, tracciò sulla sua fronte, per l’ultima volta, il segno della croce.

 

7 risposte a "[Ma che sant’uomo!] La morte di Aleksander"

  1. suibhne

    Onorato della fortuna sfacciata e di beccarmi il santo che non mi compete però vorrei dire, non senza affetto sia chiaro, che hai un certo morboso gusto del macabro e del ripugnante che fa molto fin de siècle, molto Grand Guignol, molto Zio Tibia. Ma la bella storia di un sant’Alessandro martirizzato con un chirurgico colpo d’ascia?

    Ecco, sono le tre di notte, ho visto due puntate di V, ho letto questo post e ora non dormirò…

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  2. utente anonimo

    Beh, la prima parte del post è consolante. Anche una vita apparentemente noiosa, priva di fatti e detti memorabili, può essere la vita di un santo.

    La seconda mi ha ricordato l’affermazione di uno scrittore: il ridicolo è sempre molto vicino al sublime. Il supplizio di Alexander doveva apparire estremamente ridicolo ai suoi carnefici. Del resto, un altro grande scrittore ricordava come anche la crocefissione fosse una pratica comica, destinata a mettere in ridicolo i condannati… Eppure quel padre Anton (che vita straordinaria la sua, quarantaquattro anni di prigionia, sembra di tornare al cristianesimo dei primi secoli, alle prime persecuzioni…) ha visto, nella morte ributtante del suo amico, il sublime…

    Ti ringrazio davvero di avermi fatto conoscere questo uomo e la sua storia. Saluti,

    Alessandro

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  3. Lucyette

    suibhne, no, non mi risultano Alessandri presi a asciate. In genere, i Santi Alessandri muoiono sul rogo o simili.
    Però ce n’è uno che è stato sciolto pezzo pezzo nella calce viva! *______*
    Te la racconto? Eh? Eh? Te la racconto? 

    Claudio, posto che il tuo "uh." è un commento molto calzante, che m’ha fatta morir dal ridere… 😛
    … posto questo, dicevo, sia messo agli atti che io detesto lo splatter! Umpf!
    E’ tutta colpa degli altri trentanove Santi Alessandro, che hanno avuto vite e martiri noiosissimi… tsk! Avrebbero dovuto farsi martirizzare in maniera un po’ più creativa… 😛

    (Detto ciò, signori in ascolto, permettetemi di fare una considerazione. Stando a ciò che dichiara il diretto interessato, a Claudio viene in mente il mio blog quando maneggia mutande usate e quando va di corpo.
    No, dico… son soddisfazioni )

    Alessandro, wow… pensavo di beccarmi un sacco di insulti da parte dei due sfortunati vincitori, e invece… 🙂
    In effetti, la vita di padre Anton ha davvero dell’incredibile. Leggevo che, uscito dal carcere, aveva poi scritto un’autobiografia che aveva un titolo sulle righe di "mi avevano già dato per martire"

    Cappellaio Matto, mi aspettavo assolutamente un commento del genere! 

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