Lo osservò a lungo, quel pomeriggio, ferma alle sue spalle e un po’ in disparte. Lo osservò come se dovesse essere l’ultima volta che ce l’aveva davanti: il suo sguardo si posò sugli zigomi decisi, sulle dita lunghe e affusolate, sulle labbra strette e rosee e sui capelli castani scompigliati dal vento.
Lui se ne stava solo sul pontile, appoggiato con i gomiti alla ringhiera di legno. Fissava il Tamigi mescolarsi al mare in lontanza, con uno sguardo freddo che si perdeva all’orizzonte; solamente chi lo conosceva bene avrebbe potuto scorgere qualche segno di nervosismo, in quel volto di per sé impassibile.
Era bellissimo, quel giorno.
A passi leggeri, lei gli arrivò alle spalle e poi gli diede un bacio fra i capelli, che avevano come sempre quel profumo meraviglioso.
Lui, che non s’era accorto del suo arrivo, si girò di scatto e poi le lanciò un’occhiataccia. “Mamma…!”.
“Scusa”. La donna gli sorrise, e gli posò una mano sulla spalla. Rimase a guardarlo per qualche istante, e ci fu un momento di silenzio rotto solamente dal rumore delle acque. Poi la mamma disse piano “lo immaginavo, che fossi qui”.
Lui non disse niente. Si limitò a fissare l’orizzonte.
Lei si appoggiò sulla ringhiera accanto a lui e rimase zitta per qualche tempo. Poi piegò la testa da un lato, e domandò: “allora. Spaventato?”.
“No”, mentì lui.
La donna gli lanciò un’occhiata divertita. “Anch’io sono spaventata a morte”.
Il ragazzo – avrà avuto sui sedic’anni – non disse niente. Continuò a fissare il fiume.
“In realtà non c’è nessuna ragione valida per aver paura”, constatò la madre dopo aver respirato a fondo. “Quello che è successo a papà è stata solo… una tragedia”.
Il ragazzo rimase zitto, ma un guizzo dei muscoli sul suo volto fece capire che aveva stretto i denti. Lo faceva sempre, quand’era teso.
“È successo da poco tempo”, sussurrò la vedova. “Siamo ancora tutti sconvolti. È naturale aver paura. Il primo viaggio in mare fa paura a tutti quanti, anche senza che tuo padre…”.
“Io non ho paura!”, ripeté il ragazzo molto velocemente, quasi per interromperla.
“No, certo”. La madre gli sorrise, accondiscendente. “Ma quello che volevo dire è che, parlando in termini generali, è molto naturale… ma anche molto irrazionale… esser spaventati all’idea di imbarcare”.
Lui rimase zitto. Contemplava la linea dell’orizzonte.
“Lo sai da quant’era che non si verificava più un naufragio da queste parti, prima di quello che…?”.
Nessuna risposta.
“Da decenni. Forse secoli, addirittura. A memoria d’uomo, non si ricordava altro naufragio che avesse coinvolto i nostri uomini”.
Lui avrebbe voluto sbottare che era un gran bella cosa, intanto suo padre era morto comunque, ma rimase eroicamente zitto.
Lei gli posò una mano sulla spalla, dolcemente. “Lo so che hai paura, e ho paura anch’io: è successo tutto da troppo poco tempo, e non siamo ancora riusciti a superare il lutto. Ma…” – e gli prese il mento in una mano, delicatamente, per costringerlo a guardarla mentre lo diceva – “andrà tutto bene, vedrai. Te lo prometto”.
“Lo so”, annuì il ragazzo, in un tono molto meno convinto di quanto avrebbe desiderato.
La mamma gli sorrise e cercò di ricacciare indietro le lacrime dai suoi occhi lucidi. “E poi è un viaggio breve, sarai di ritorno per Pasqua… tornerai a casa fra un paio di mesi!”.
“Sì”, fece lui. “Il capitano dice entro Venerdì Santo, se tutto va come piani”.
La mamma gli sorrise, forzandosi all’entusiasmo. “E sai cosa ti preparerò, per Pasqua, per festeggiare il tuo ritorno?”.
Il ragazzino si limitò a sorridere di rimando, in espressione di attesa.
“Ti preparerò un hot cross bun tutto per te! Il tuo dolce di Pasqua preferito! Ne preparerò un intero tutto per te e non te lo toccherà nessuno: né il nonno, né gli zii, né tuo cugino… sarà tutto per te! Promesso!”.
“Wow…”.
E allora lei lo abbracciò perché non riusciva più a trattenere le lacrime di commozione, e non voleva che lui la vedesse piangere; e lui si lasciò abbracciare perché lì intorno non c’era anima viva, e non c’è niente al mondo di così prezioso come un abbraccio della mamma.
E rimasero abbracciati a lungo, quel pomeriggio, soli sul pontile.
Passò la notte. Il figlio si imbarcò.
La nave salpò, e le donne si accalcarono sul molo per salutare i loro uomini che partivano verso il mare.
Passarono le settimane, e arrivò il Giovedì Santo. La vedova, impaziente, cominciò a preparare l’impasto per il dolce di Pasqua che aveva promesso al suo bambino.
Passò anche la notte, e arrivò l’alba del venerdì. Le donne si radunarono sul molo, per accogliere la nave che stava certo per tornare.
Ma la nave non tornò.
Non tornò quel giorno, e non tornò neanche il giorno successivo.
Non arrivò neanche la domenica; e quel giorno, in chiesa, si pregò perché i concittadini potessero tornare presto a casa, senza altri intoppi.
Ma la nave non tornò comunque: non tornò il lunedì dell’angelo, non tornò nell’ottava di Pasqua. Non tornò neanche la settimana dopo.
Dopo un paio di settimane, le donne avevano smesso di andare al molo ogni mattina.
Dopo un paio di mesi, la gente aveva smesso di sperare.
***
Nella cucina della vedova, sul tavolo da pranzo, campeggiava ancora in un vassoio il dolce di Pasqua che lei aveva preparato per il figlio, aspettando il suo ritorno.
Gli aveva promesso che sarebbe stato solo per lui. Gli aveva promesso che nessun altro l’avrebbe toccato mai.
E allora, la vedova mise da parte il dolce: perché quel dolce era solo per suo figlio… che sarebbe tornato, un giorno! E, quel giorno, avrebbe reclamato il suo dolcetto!
E di anno in anno, senza mai smetter di sperare, la vedova cucinò ogni giorno, a Pasqua, un hot cross bun per il suo bimbo.
Perché suo figlio stava per tornare. Non poteva esser disperso in mare. Aveva solamente avuto un contrattempo. Un imprevisto. Ma sarebbe tornato, prima o poi.
Sarebbe tornato, prima o poi.
***
Passarono molti anni, da quel lontano 1824. Alla morte della vedova, la sua casa diventò un pub – che si chiama The Widow’s Son ed esiste ancora oggi, al 75 di Devons Road a Londra.
E nessuno, dal 1824 ad oggi, osò mai gettare via quegli hot cross bun rinsecchiti, preparati di anno in anno per il figlio disperso in mare e mai gettati via.
E soprattutto: nessuno, dal 1824 ad oggi, osò mai commettere l’affronto più grave nei confronti della vedova. Cioè, smetter di sperare.
Ogni anno, una piccola delegazione di marinai della marina britannica si reca nel pub, la domenica di Pasqua. E porta con sé un hot cross bun, da lasciare in quella che fu, un tempo, la casa della vedova.
Un dolce all’anno, ogni anno, la domenica di Pasqua. Per quel ragazzo che salpò il mare e che non fece più ritorno.

Una rappresentante della marina britannica deposita un nuovo hot cross bun nella casa della vedova, nella Pasqua 2011
Ma forse tornerà, come direbbe ogni madre che ha perso in mare un figlio.
Forse tornerà quest’anno, a Pasqua, se il Cielo lo vorrà.
E allora – quando tornerà – troverà un hot cross bun fragrante che lo aspetta, a casa.
Perché la mamma glielo avevo promesso; e una mamma non mente mai al suo bambino.
francesca
…ma è una storia tristissima!!! Per sdrammatizzare – e solo per questo oso farlo – vorrei farti notare che hai fatto posare lo sguardo della mamma sugli zigomi, le labbra e le mani del figlio, il tutto un po’ difficile, visto che lui è appoggiato coi gomiti alla ringhiera e guarda l’orizzonte, mentre lei è alle sue spalle. Scusami l’appunto, non sono degna, come sempre ti abbraccio 😉
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Lucyette
Ehm. Tu dici il vero °_°’
Nella mia mente io mi ero immaginata questa scena bellissima e molto scenografica in cui c’è la mamma che arriva da sinistra, alla sua destra c’è il piccolo pontile e sul pontile c’è il ragazzo, e lei rimane a osservarlo un po’ di lontano, ancora “a riva”, senza essere notata perché il figlio è assorto nei suoi pensieri; POI lei si avvicina, sale sul pontile (trovandosi quindi alle sue spalle) e lo raggiunge.
>.>
Sì, aehm: ma se queste cose non le scrivo, è anche vero che la gente non può entrare nel mio cervello… :-DD
Grazie 😛
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francesca
Ma no dai, scusami ancora, è ovvia anche la scena che ti sei immaginata… basterebbe togliere quel “ferma alle sue spalle” nella prima riga, et voilà. Baci! 🙂
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sazerbi
Devo dire che è una storia meravigliosa, ed il fatto che sia vera (è vera, vero? 🙂 mi fa venire voglia di fare un salto in questo Pub…
(Il Marinaio di Branduardi è sempre stata nella mia personale top-twenty)
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vogliadichiacchiere
Commossa! 🙂
Come mamma e come abitante di un paese di pescatori . . . ❤
Ciao, Fior
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