[Pillole di Storia] La mnestra dj’ànime

Ieri mattina, verso l’ora di pranzo, uno dei “Trending Topic” su Twitter parlava dei “Sapori Torinesi”. Pare si tratti di una iniziativa per i turisti che è stata portata avanti dal Comune di Torino; se vi interessa approfondire, leggete qui.
Naturalmente, è un po’ difficile che io abbia a partecipare a una iniziativa pensata per i turisti che arrivano a Torino per la prima volta in vita loro. Però, la vista di questi “Sapori Torinesi” sbattuti in evidenza nell’home page di Twitter mi ha fatto tornare alla mente il pensiero della mia casa… e mi sono domandata: quali sapori starei gustando, se fossi a Torino in questi giorni?

***

“Una volta, quando la gente credeva ancora a queste cose…”.
Che brutto modo, per incominciare un post.
Diventa un modo ancor più pessimo per incominciare un post su un blog cattolico – ma cercate di capirmi, prima di saltarmi al collo.

Una volta, tutta quanta la comunità era convinta oltre ogni ragionevole dubbio dell’esistenza di una vita oltre la morte.
Una volta, tutti quanti sapevano per certo che i loro cari estinti, dopo la morte, andavano incontro al giudizio dell’Onnipotente, a qualche sosta in Purgatorio, e poi arrivavano in Paradiso… e così via discorrendo.
Una volta, nessuno metteva in dubbio l’esistenza dell’Aldilà; e tutti quanti davano per scontata la necessità di pregare per i loro morti, e di compiere opere di carità cristiana a mo’ di indulgenza per i defunti.

Se io provassi a convincere tutti i miei condòmini a organizzare un comitato di beneficienza per il bene ultraterreno dei nostri cari estinti, penso che mi prenderebbero a insulti già al secondo campanello.
Una volta, quando ancora tutta la gente credeva con fede a queste cose, era perfettamente possibile riuscire a organizzare iniziative come quella della mnestra dj’ànime.

La mnestra dj’ànime – in Piemontese, “minestra delle anime” – era una tradizione contadina diffusa più o meno in tutta Italia, con modalità e ricette che variavano ovviamente da zona a zona.
A restare sempre identico, era il concetto: una volta l’anno, nel giorno in cui i cristiani si riuniscono a pregare per i loro morti, la gente del paese si dava un gran daffare per compiere un atto di carità cristiana.
L’atto di carità cristiana era appunto quello di preparare una zuppa: una minestra densa, nutriente, che veniva fatta cuocere in un grande pentolone sul sagrato della chiesa… e che poi veniva distribuita, gratuitamente, a tutti quelli che ne chiedevano un sorso. In una variante del trick or treat decisamente cristianizzata, tutti i poveri del circondario avevano la possibilità, almeno una volta all’anno, di ricevere un piatto di minestra… aggratis: a costo zero.

Oggiorno, si regalano i dolcetti ai bimbi vestiti da strega per evitare che i birbantelli ti facciano uno scherzetto, come da copione.
Una volta, la tradizione contadina imponeva di regalare ai poveri un piatto di cibo caldo, non per il timore di scherzose ritorsioni, ma per il semplice desiderio di fare un’opera di bene… che, auspicabilmente, Chi Di Dovere avrebbe messo in conto.
Ma attenzione, si trattava di un conto separato: a differenza delle opere di carità cristiana che facciamo normalmente durante l’anno, e che, in linea teorica, dovrebbero andare a “nostro” vantaggio… beh: in questo caso, la pratica della mnestra dj’ànime era espressamente concepita per andare a vantaggio di qualcun altro. E cioè, di tutti i defunti della famiglia, e di tutti gli amici che erano infine ritornati al Padre: era una sorta di requiem fatto di sacrifici e di azioni concrete, con cui un’intera comunità innalzava a Dio una muta preghiera.

Ci si riuniva tutti quanti nella piazza del paese: l’ho già detto.
Qualcuno procurava un pentolone (ma uno di quelli grossi, per sfamare cinquanta-cento persone), e tutti gli abitanti contribuivano come potevano. C’era chi portava un po’ di patate, chi metteva a disposizione i suoi fagioli; c’era chi decideva di immolare alla causa la zucca più grande del suo orto. I più ricchi mettevano a disposizione delle costine di maiale, o un po’ di lardo: gli altri contribuivano portando da casa qualche verdura di stagione, o un po’ di aromi. Tutte le verdure erano affettate e buttate nel pentolone, dove pian piano cominciavano a cuocere. E quando era ora di pranzo, e un profumino delizioso cominciava a serpeggiare per le vie del paese… beh: allora, state pur certi, qualcuno arrivava sempre.
Qualcuno arrivava sempre, chiedendo la carità di una ciotoletta di quella zuppa. E naturalmente era esaudito, con un sorriso sulle labbra: si mangiava in compagnia, i poveri coi ricchi, e si trascorreva una giornata a scaldarsi accanto al fuoco del pentolone, ricordando i propri morti e pregando per le loro anime.

Era dolce, era bellissimo. Era – oserei dire – un Halloween in salsa cristiana: perché la festa delle streghe e la tradizione del trick or treat non se la sono mica inventata gli Americani, che credete? A scavare nelle nostre radici, si trovano mille esempi di questo genere.
Era dolce, ed era bello. Era anche la dimostrazione che, con il piccolo sacrificio di molti, si può far del bene a tanta gente senza quasi rendersene conto.

3 risposte a "[Pillole di Storia] La mnestra dj’ànime"

    1. Lucyette

      Fino a qualche mese fa, ti avrei detto “ebbeh: ma sicuramente facevano anche quello, e l’atto di misericordia era un di più!”.
      Invece, per un lavoro che sto facendo, quest’estate mi son messa a sfogliare tutti i registri delle Messe della prima metà dell’800 conservati nell’archivio di una parrocchia di Pavia. Sapete come sono i registri delle Messe: si scrive la data della Messa, il nome del celebrante, e l’intenzione per cui è stata detta quella Messa. “Missa pro vitanda mortalitate”, “Missa pro populo”, “Missa pro Tizio Caio e Sempronio”, eccetera.
      Mi son stupita tantissimo a vedere che nella prima metà dell’800, quantomeno a Pavia o quantomeno in quel quartiere, l’abitudine di far dire una Messa per i propri morti era DECISAMENTE molto rara. A parte le Messe funebri proprio nel senso di funerale, capitava proprio raramente che qualcuno facesse dire una Messa per i suoi defunti.
      O meglio: capitava a novembre, quello sì; per tutto il mese di novembre, tutti gli anni, c’erano Messe per i defunti di questa o di quell’altra famiglia.
      Ma per tutto il resto dell’anno, le Messe per i defunti della famiglia Tizio e Caio si contano veramente sulle dita di una mano… mi sono stupita tantissimo quando me ne sono resa conto! Mah…

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