Increduli, sconvolti, con le ginocchia che tremavano, i marinai raggiunsero la spiaggia e si scambiarono un’occhiata.
Anzi, no: prima si preoccuparono di mettere in salvo i passeggeri. Soccorsero gli anziani che avevano difficoltà a camminare, abbracciarono le donne che erano in lacrime per lo shock, presero in braccio i bambini piccoli e li trasportarono sulla sabbia. Solo quando tutti furono messi in salvo, i marinai si scambiarono silenziosamente un’occhiata incredula.
Si sedettero sulla sabbia e lanciarono uno sguardo alla loro nave, che giaceva inclinata su un fianco incagliata sulla spiaggia. Rimasero muti, senza parlare, perché nessuno osava pronunciare a voce alta quella parola: talvolta, dire “è stato un miracolo” ti sembra una cosa così grossa da far paura.
Eppure era stato un miracolo; non c’era altro modo per definirlo.
Non c’era altro modo per descrivere quella notte sconvolgente, con la nave piena di passeggeri che s’imbatte in una tempesta, sbatte sugli scogli, imbarca acqua, si inclina pericolosamente, sta chiaramente per naufragare… e poi, come per magia, finisce coll’arenarsi su una spiaggia misteriosa, che non era manco segnata sulle mappe.
Era stato un miracolo, sì: un miracolo nel vero senso del termine. E Dio era intervenuto in modo così massiccio, quella notte, che nessuno aveva il coraggio di essere il primo a sottolineare l’evidenza.
Le nuvole di tempesta cominciavano ad allontanarsi, i raggi della luna illuminavano debolmente la carcassa della nave che giaceva sulla spiaggia.
Davanti agli occhi dei passeggeri, se ne stava obliqua la polena della nave: una bella statua di san Nicola scolpita in legno. La luce della luna che filtrava debole tra le nubi mosse dal vento disegnava degli strani chiaroscuri sul volto del santo vescovo, facendo sì che quella statua sembrasse innaturalmente viva.
E poi, a uno dei marinai parve che la statua sorridesse, aprisse la bocca per parlare.
E gli parve che dicesse: “voi mi avete onorato e mi avete messo a protezione della vostra nave, cari figlioli. Ecco, io vi chiedo: nel punto in cui la vostra nave si è arenata, costruite in mio onore una città. La chiamerete Nuova Amsterdam, in ricordo della patria che avete lasciato per cercar fortuna. La vostra città diventerà una delle più potenti e più famose in tutto il mondo – e io, una volta all’anno, visiterò le vostre case e vi dimostrerò la mia amicizia lasciando dei piccoli regali per voi e per i vostri figli”.
Correva l’anno 1626; e, per volontà di San Nicola, si metteva la prima pietra a quella città che sarebbe diventata Nuova Amsterdam. Ribattezzata poi “New York”.
***
Sia chiaro, eh: non è vero niente.
Non nel senso che non è vero che San Nicola ha salvato gli emigranti. Proprio nel senso che non è vera questa leggenda.
Se l’è inventata a tavolino, nel 1809, un tal Washington Irving, il cui nome potrebbe anche non dirvi niente sennonché si tratta dell’autore del Mistero di Sleepy Hollow. Sì: quello da cui è nato il film di Tim Burton e Johnny Deep (e, per vie traverse, anche la consuetudine di intagliare le zucche di Halloween).
Ecco: oltre a pubblicare Il Mistero di Sleepy Hollown, Irving ha anche dato alle stampe (sotto lo pseudonimo di Dietrich Knickerbocker) una Storia di New York in cui le origini della città vengono fatte risalire proprio a questo miracoloso evento.
E ripeto: non è vero niente.
È vero che San Nicola è il patrono dei naviganti e che nel corso della Storia sono stati attribuiti a lui molti salvataggi miracolosi di navi in balia dei fortunali. Ma il vascello olandese che nel 1626 si arena miracolosamente sulle spiagge di New York è una invenzione bella e buona di mister Irving.
Un’invenzione piuttosto oculata, oserei dire.
Washington Irving, nella New York di inizio ‘800, faceva parte di un gruppo di intellettuali passati alla Storia come “Knickerbockers”. Mossi da un sentimento decisamente antibritannico, questi scrittori statunitensi miravano a creare una cultura che fosse solo, unicamente, individualmente, americana.
Sì, insomma: gli Stati Uniti dovevano mostrare di essere una potenza a sé – autonoma, indipendente, senza più niente a che spartire col Regno Unito. Anche dal punto di vista culturale, gli States volevano poter rivendicare un bagaglio di folklore, usanze e tradizioni che fossero solo e unicamente statunitensi. Non “inglesi”, non “dei gruppi degli immigrati”: solo statunitensi. E basta.
Volendo mettersi a capo di un movimento culturale di questo genere, era anche ragionevole che Irving cercasse di dare agli States (o quantomeno alla sua città: New Work), una sorta di mito fondativo. Et voilà: ecco servita la figura di San Nicola.
Okay: Santa Claus non è paragonabile a Romolo e Remo, ma almeno non è inglese. È un personaggio a metà fra la religione e la mitologia, molto amato in numerosi Stati europei ma senza legarsi in maniera esclusiva al folklore di una zona precisa.
Da tempo immemorabile, san Nicola portava regali ai bimbi buoni in svariate parti d’Europa. Il suo ruolo di portatore di doni l’aveva reso una via di mezzo fra il personaggio delle favole e il rigoroso santo cattolico: la sua indubbia moralità lo rendeva personaggio degno di stima; ma, al tempo stesso, tutto il folklore che lo circondava lo faceva apparir simpatico anche a chi non era necessariamente cattolico.
‘nsomma: in assenza di idee migliori, Irving s’è inventato questo buffo mito fondativo… e i Newyorkesi se lo son fatti andar bene.
Se lo son fatti andar bene con un certo entusiasmo, oserei dire.
La festa di San Nicola era già festeggiata a New York in tutte quelle famiglie che arrivavano dal centro-Europa. Non c’era Olandese, Tedesco, o Svizzero immigrato che non facesse festa grande ogni sera, il 6 dicembre.
E insomma, sapete com’è… New York si chiama “melting pot” mica per niente; e poi, è sempre bello trovare un’occasione in più per festeggiare. La leggenda di Irving era stata un successone: la gente di New York aveva cominciato a guardare San Nicola con occhi nuovi; entro pochi anni dalla pubblicazione della storiella, sembrava quasi doveroso concedersi un dolcetto e un regalino, in memoria di quell’essere mitologico che aveva promesso prosperità all’America…
Nell’arco di poco tempo, l’usanza di festeggiare nel giorno di San Nicola si espande a macchia d’olio in tutte le case dei Newyorkesi.
Quando nel 1823 veniva data alle stampe la poesiola in cui Clement Moore descriveva il suo incontro col vecchio Nick – ormai visto come un personaggio delle fiabe, non certo come un santo vescovo – il terreno era sufficientemente fertile per far fiorire in ogni dove la leggenda di Santa Claus.
…e peraltro, sapete una cosa buffa?
È curioso (ma non è una coincidenza): Clement Moore e Washington Irving erano da sempre due grandi amici.