Davvero la Coca Cola ha inventato Babbo Natale?

Cosa fare quando una ditta concorrente lancia sul mercato un prodotto molto simile al tuo cavallo di battaglia… che però è decisamente più buono e vende infinitamente di più?
Facile: si cerca di mettere i bastoni fra le ruote alla ditta concorrente – con mezzi leciti e anche non molto leciti, se sei proprio disperato. I concorrenti della Coca Cola Company erano decisamente disperati… e quindi, presi dal panico, provarono pure a giocare sporco.

Creata nel 1884 dal farmacista Pemberton (strizzando l’occhio ai movimenti per la temperanza che promuovevano il proibizionismo e disincentivavano il consumo delle bevande alcoliche), la Coca Cola, dopo un esordio traballante, aveva decisamente fatto boom sul mercato. Nel primo decennio del Novecento, la Coke era amatissima da tutti gli Americani; verso la fine degli anni Venti, aveva una fama abbastanza solida da potersi permettere di aprire le esportazioni all’estero. In Italia sarebbe arrivata nel 1927, se qualcuno se lo stesse domandando.

Bene per la Coca Cola, malissimo per tutti gli altri commercianti di bibite. Sembrava non esistere modo per arginare la paurosa emorragia di entrate causata dalla concorrenza della Coke
Era necessario fare qualcosa per non andare tutti in malora, ed era necessario farlo presto. Dopo un disperato brainstorming coi loro avvocati, alcuni produttori di bevande trovarono un modo piuttosto efficace per mettere i bastoni tra le ruote alla concorrenza. 

Appigliandosi al fatto che la ricetta originale della Coke conteneva piccole quantità di foglie di coca (un ingrediente abbastanza comune nelle bibite di fine Ottocento), i concorrenti ottennero un provvedimento giudiziario che impediva alla Coca Cola di proporsi come un prodotto adatto al consumo da parte dei bambini.
In realtà, era un provvedimento privo di logica: la ricetta della bevanda era stata modificata poco dopo il suo ingresso sul mercato e le foglie di coca non figuravano più tra gli ingredienti. Però, formalmente, la Coca Cola era ancora inclusa nella lista delle bevande da vietarsi ai minori, negli States.

Ovviamente, i minori bevevano la Coke allegramente: anzi, erano uno dei suoi consumatori principali. Quelle beghe legali non sembravano aver minimamente scalfito i gusti dei consumatori, né tantomeno erano riuscite a far desistere le massaie dal distribuire la bibita ai bambini.
Però, in linea teorica, i minorenni non potevano essere inclusi ufficialmente nel target commerciale della bevanda. Né men che meno li si poteva mostrare in pubblicità. ‘na bella rogna, per la compagnia, che in realtà sapeva bene di essere molto amata anche dai bimbi… e, come dire, avrebbe voluto coltivare questi piccoli consumatori.

Nei primi decenni di attività, i pubblicitari al soldo della Coca Cola Company cercarono di arrangiarsi con illustrazioni in cui eleganti signore dalla vita mondana sorseggiavano la bibita con un sorriso un po’ ammiccante… ma la Coca Cola ormai si era stufata di questo tipo di campagne, puntava ad attirare anche altre fasce di clienti.

Coke advert 20s
Una pubblicità della Coca Cola, primi anni ’20

C’era poi un secondo problema.
Il fatturato della Coca Cola era una roba in grado di far girar la testa e far venire attacchi di cirrosi epatica a tutti i suoi concorrenti, e fin lì siamo d’accordo. Però, la Coca Cola Company non poteva non notare che le vendite della bevanda calavano vistosamente nei mesi invernali.
D’altro canto, la Coca Cola è irresistibile se viene bevuta ghiacciata, su una spiaggia, per rinfrescare la gola secca nei giorni caldi… d’inverno, onestamente, io mi godo più una tazza di tisana, se devo scegliere.

Insomma: la Coca Cola desiderava adottare una strategia di marketing diversa da quella usata fino a quel momento. Voleva puntare con più decisione a quelle fasce di consumatori che oggi potremmo etichettare come “famiglie”, e inoltre voleva tentare di aumentare il volume delle vendite anche nei mesi invernali, che erano i più “critici” per l’azienda.

Pensa che ti ripensa, una metaforica lampadina si illumina improvvisamente sulla testa di un genio del marketing. “Usiamo Babbo Natale come testimonial, gente!”.

Non si trattava di un’idea chissà quanto geniale.
O meglio: l’idea era in effetti vincente, ma possedeva una genialità che, come dire, era condivisa con i tre quarti delle aziende degli Stati Uniti. Sfatiamo questa leggenda metropolitana: la Coca Cola Company non ha creato il personaggio di Babbo Natale per i suoi bisogni; non è stata la prima a utilizzarlo come “testimonial” e non ha ideato il pellicciotto rosso e bianco per farlo combaciare con i colori del suo marchio. 

Il pellicciotto rosso e bianco era stato ideato da Thomas Nast: era ormai da alcuni decenni che Babbo Natale andava in giro per il mondo con vestiti di quei colori. Il fatto che il suo abito richiamasse il marchio della Coca Cola fu certamente un grosso colpo di fortuna per l’azienda fondata da Pemberton… ma nulla più.
Allo stesso modo, era da decenni che il personaggio di Santa Claus era legato a doppio filo con il marketing. Nel 1931, quando la Coca Cola iniziò ad adottarlo come testimonial, Babbo Natale era apparso sulle pubblicità di tutti i prodotti possibili ed immaginabili, ivi comprese le bibite della White Rock Beverages.

Babbo Natale sponsorizza il ginger ale della White Rock (1923)

La scelta di adottare Babbo Natale come testimonial non fu, insomma, una genialata senza precedenti. Semplicemente, la campagna della Coca Cola ebbe molto più successo di tutte le altre. Ma nulla più. 

Che il match fosse tra i più riusciti fu evidente già nel 1931, al primissimo esordio di Babbo Natale come testimonial della bibita.  Santa Claus, con le guance arrossate dal freddo e col pancione che strabordava, aveva un aspetto gioioso e rassicurante, in grado di arrivare a tutta la popolazione. La sua collocazione tipicamente invernale poteva essere un sprone per le vendite anche in un periodo in cui queste calavano pericolosamente. E, beh: Babbo Natale era un personaggio adulto, che però parlava molto bene ai bambini e alle famiglie.

E non solo: oltre a parlar loro, permetteva anche ai bambini di comparire nella pubblicità con un ruolo “di contorno”. Nessuno avrebbe criticato la presenza di un bambino che compare in una vignetta al fianco di Santa Claus (a patto che sia Babbo Natale a consumare la bevanda). Con un po’ di ingegno, questo stratagemma permetteva di aggirare l’ostacolo di quella legge che vietava di mostrare nelle pubblicità un bambino intento a bere la Coca Cola: la Coca Cola, formalmente, era nelle mani del vecchio – ma, sullo sfondo, un bambino sorrideva richiamando l’attenzione.

Babbo Natale Coca Cola bimbi

Il successo della campagna, evidentemente, fu straordinario. Haddon Sundblom, incaricato di creare le vignette pubblicitarie, si ispirò all’iconografia di Babbo Natale già esistente: rese più vivo il rosso del pellicciotto, aggiunse una decina di centimetri al girovita; si diede da fare per creare un Santa Claus umano, gioioso ed edonisticamente paffuto. Come il vignettista dichiarò più volte, il modello per il “suo” Babbo Natale fu un commesso viaggiatore suo amico, un tal Lou Prentice: “tutte le rughe del suo viso sembravano irradiare felicità”. In effetti, quale descrizione migliore per il buon vecchio Babbo Natale?

3 risposte a "Davvero la Coca Cola ha inventato Babbo Natale?"

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