Il corpo di San Babila

Vescovo di Antiochia negli anni ’40 del III secolo, San Babila fu martirizzato sotto le persecuzioni dell’Imperatore Decio. Condotto al supplizio, il futuro Santo chiese di essere sepolto con quelle catene con cui i suoi carcerieri lo conducevano al patibolo. E in effetti, fu accontentato: il cadavere del vescovo fu riconsegnato ai suoi amici, i quali provvidero ad inumarlo nel cimitero d’Antiochia.
Morta lì?

Macchè. Circa un secolo dopo, nei primi anni ’50 del IV secolo, le reliquie di San Babila furono riesumate dal cimitero e trasportare fino a Dafne, un grande sobborgo di Antiochia. Lì sorgeva un famoso tempio consacrato ad Apollo, che attirava fedeli da tutte le regioni circostanti. Le comunità cristiane, forti dell’approvazione del loro Imperatore cristianissimo (ancorché ariano) avevano deciso di stroncare il culto di Apollo con un gesto netto ed eclatante, trasportando le reliquie di un Santo nel tempio del dio pagano.
Potrebbe anche non essere una notizia particolarmente esaltante, sennonché quella di San Babila è la prima traslazione in assoluto di cui si abbia memoria scritta, in tutta la Storia della Chiesa.

E dunque, San Babila traslocò presso il tempio di Apollo, e se ne stette buono buono nella sua nuova, lussuosa, casa.

Passarono gli anni, Costanzo morì, salì al potere Giuliano l’Apostata… e il povero San Babila, che se ne stava tutto tranquillo nel suo sapolcro vicino Antiochia, si trovò improvvisamente in mezzo a una vera e propria crisi di Stato, sfociata (ahinoi) in violenta persecuzione anticristiana.

***

Giuliano l’Apostata, nel corso degli anni, aveva sviluppato una devozione particolare, verso il dio Apollo. Lo riteneva un suo speciale protettore, e affermava di incontrarlo spesso sperimentando numerose visioni mistiche. Era giunto al punto di definirsi un suo “profeta”, e nutriva verso Apollo una devozione tutta particolare.
Quando, nel luglio del 362, il novello Imperatore fece un viaggio verso Antiochia, fu – come dire – non proprio compiaciuto, dallo scoprire che il tempio di Apollo era stato profanato da quei pazzi scatenati dei cristiani.

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Sapete come vanno, no?, questi viaggi imperiali. I membri delle famiglie regali ne fanno tanti, ancora oggi; basti pensare ai vari tour nei Paesi dell’ex-Commonwealth che i membri della Royal Family si sobbarcano, per doveri di Stato.
È propaganda, niente più. Il monarca scende dalla sua carrozza e si trova di fronte a una claque di sudditi in delirio, con sventolìo di bandierine e gadget a tema in ogni dove. Penso che per un re, o per un politico, non ci sia niente di più tremendo che arrivare una città lontana… col solo risultato di scoprire che di sudditi non c’è manco l’ombra. Che l’accoglienza è molto tiepida, per usare un eufemismo; o peggio ancora, che i sudditi ti rifiutano, e scendono in piazza per contestarti.

È esattamente quello che successe all’Imperatore Giuliano, quando ebbe l’infelice idea di andare a fare un glorioso tour nella potente città di Antiochia. Città che, nel corso degli ultimi tre secoli, era diventata profondamente, totalmente, radicatamente cristiana… e che, come dire, non manifestava molte simpatie verso un Imperatore apertamente apostata, il cui scopo dichiarato era quello di distruggere la Chiesa.

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Il primo episodio, il più eclatante, riguardò il primo gesto di Giuliano appena arrivato ad Antiochia. Alla presenza dell’Imperatore, avrebbe dovuto avuto luogo, sul monte Casio, una grandiosa festa dedicata a Zeus: Giuliano aveva dato ordine che ai lati delle strade si radunassero folle festanti, e che tutti i sacerdoti pagani di Antiochia raggiungessero il tempio in una solenne processione, con un’imponenza e una festosità adeguate all’occasione.

Sulle strade, non anima viva.
Di fronte al tempio, non uno straccio di comitato di accoglienza.
Dentro il tempio, un solo sacerdote, vecchio e mal in arnese, con un paramento stropicciato, e una misera oca (spennacchiata) da sacrificare a Zeus.
“Mi spiace”, sussurrò il sacerdote di fronte all’espressione allibita di Giuliano. “Non abbiamo potuto far di più…”.

***

Agghiacciato e col cuore in gola (perché Giuliano, dopo tutto, era intimamente devoto agli dèi pagani – e pensate cosa proveremmo noi, a vedere il nostro duomo ridotto in quel modo), l’Imperatore si precipitò nel tempio del suo amato Apollo, sperando che il dio gli si manifestasse nuovamente e gli desse un po’ di conforto. O meglio ancora un consiglio pratico, su come rimediare a quell’immondo scempio.
Provate a immaginare la sincera disperazione di Giuliano, nello scoprire che Apollo era stato cacciato dal suo tempio. Pareva che Apollo tacesse da tempio immemore; pareva che il dio sdegnato avesse abbandonato Antiochia, scacciato dai Cristiani.
Per la mentalità pagana, e dunque per Giuliano, questo fu uno shock immenso. Un po’ come se Gesù Cristo ci mandasse un comunicato in cui dice “qui in Italia mi avete maltrattato troppo; me ne vado da un’altra parte, e mo’ voi vi arrangiate”.
Giuliano l’Apostata, sudando per il terrore, radunò i sacerdoti del suo seguito, prese possesso del tempio di Apollo ormai trasformatosi de facto nella chiesa di S. Babila, e fece compiere abbondanti sacrifici. Dopo un lungo tira-e-molla, Apollo acconsentì a interrompere il suo tacer sdegnato e oracolò le seguenti parole: “questo luogo è pieno di cadaveri”.
Immaginate la disperazione, e lo sdegno di Giuliano, nel fare qualche domanda in giro e nello scoprire che il tempio di Apollo era stato profanato, e trasformato in una specie di cimitero per morti ammazzati. Anche oggi, a quanto pare, (quantomeno, a leggere certe pagine anticlericali come quelle della UAAR) c’è un bel po’ di gente a cui la sola idea di venerare una reliquia, e cioè un pezzo di morto, sembra assolutamente ributtante. Giuliano l’Apostata aveva questa stessa sensibilità, ed era profondamente disgustato dalle periodiche esposizioni pubbliche in cui i Cristiani si mettevano a venerare cadaveri di gente morta ammazzata.
Immaginate la reazione di Giuliano, nello scoprire che il suo dio era stato cacciato via dal tempio in malo modo, perché quei furiosi dei Cristiani ci avevano messo al suo posto il cadevere di criminale un condannato a morte.

Furioso, disperato, con le lacrime agli occhi per lo sdegno, Giuliano ordinò che la reliquia di San Babila fosse immediatamente portata fuori dal tempio. E forse fu quello, lo smacco più grande subìto dall’Imperatore nel suo viaggio: perché la folla di Antiochia, che si era ostinatamente chiusa in casa serrando le imposte al passaggio del monarca, si riversò invece sulle strade per onorare il suo Santo Patrono.
Se Giuliano aveva immaginato di prendere le reliquie di San Babila, ficcarle in un sacco della spazzatura, e portarle a incenerire un po’ più in là, dovette invece buttar giù il boccone amaro di una folla festante che si riuniva nelle strade per levare canti al Cielo, mentre il santo corpo di San Babila veniva estratto dal suo tumulo e (ri-)traslato nel cimitero di Antiochia.
Giuliano l’Imperatore non sapeva se ribollire per la rabbia causata da quell’affronto, se dar ordine ai suoi soldati di disperdere quegli schifosi, o se mettersi a piangere per la vergognosa, disgustosa offesa che quel popolo di infedeli aveva appena inferto al sommo Apollo.

Nel dubbio, scelse la seconda e la terza opzione, e diede ordine al suo prefetto di intervenire duramente contro i Cristiani. Nel progetto di restaurazione politica di Giuliano l’Apostata, era già molto evidente e chiara la volontà di schiacciare la Chiesa cristiana ed annientarla. Ma, come si suol dire, l’episodio di Antiochia fu letteralmente “la goccia che fece traboccare il vaso”; e da quell’estate del 362 la persecuzione anticristiana si intensificò pesantemente.

***

Come la prese Nostro Signore?
Non bene, a quanto pare: dopo trecento anni di persecuzioni ai Suoi figli, evidentemente stava cominciando a scocciarsi pure Lui. Il 22 ottobre del 362, poche settimane dopo che la chiesa di S. Babila era stata nuovamente trasformata nel tempio di Apollo, un fulmine caduto dal cielo si abbatté sulla grande statua del dio pagano, che l’Imperatore Giuliano aveva fatto ricollocare in mezzo al tempio. Non solo il fulmine la distrusse di netto, ma appiccò fuoco alle strutture in legno: nell’arco di pochi minuti, l’intero tempio andò in fiamme. Rimasero soltanto le mura e le colonne portanti.

La reazione di Giuliano l’Apostata fu disperata, mentre in città cominciavano a circolare motti, scherni, e veri e propri libelli denigratori nei confronti dell’Imperatore.
Frattanto, con un silenzio che valeva più di mille parole, i cittadini di Antiochia si riunivano di fronte al tempio, sogghignando fra sé e sé ed innalzando lodi a Dio. Grande è la potenza del Signore; ardente è la sua ira, e pesante è il suo flagello.

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