La Teoria delle Impressioni Materne

Un libretto con un titolo che tiene già da solo mezza pagina – A View at the Foundations: Or, First Causes of Character As Operative Before Birth, From Hereditary and Spiritual Sources – racconta la storia di una donna che, bontà sua, aveva deciso di interrompere la sua gravidanza.

Perché questa sventurata aveva maturato la decisione di ricorrere all’aborto, una pratica che nel 1865 – anno di stampa del manuale – non solo era socialmente mal vista, ma comportava anche rischi molto concreti e gravi per la salute della madre?
Si trattava forse di una gravidanza indesiderata, pericolosa, frutto di una relazione clandestina? La povera donna era forse troppo povera per garantire un buon futuro a suo figlio?
Niente affatto: la misera signora si struggeva disperata al pensiero di dire addio a quel figlio desideratissimo. Però, pochi giorni prima, era successo un patatrac: aveva visto per strada un “animale sgradevole”, non meglio precisato, e si era spaventata molto.
Fine.

😶

Vi immagino suppergiù con questa faccia.
Eppure la signora era preoccupatissima, ritenendo che a tale grave episodio non potesse ormai esser rimedio. Talmente grande era stato il suo spavento, e talmente brutta era stata la visione di quel bestio peloso, che il feto nel suo grembo ne aveva senz’altro risentito. Sarebbe sicuramente nato con qualche malformazione grottesca che lo avrebbe reso simile all’animale mostruoso che aveva tanto intimorito la mamma. Da cui, l’unica, dolorosa soluzione: un aborto terapeutico, per evitare di generare un figlio deforme.

Fortunatamente per il bambino, la signora si consultò con il suo medico curante (!), prima di ricorrere a una mammana. Il medico ovviamente le disse che era una pazza prese molto sul serio la situazione, esaminando attentamente i rischi di una gravidanza nata sotto così gravi auspici e suggerendo tuttavia alla signora una terapia alternativa che, forse, avrebbe potuto salvare il figlio. Le suggerì cioè di drogarsi di meno trascorrere tutto il resto della sua gravidanza a meditare nel suo cuore “pensieri più elevati”, facendo di tutto per rimuovere dalla mente l’immagine dello sgradevole animale. Che non pensasse più al bestio peloso, ma bensì a immagini di corpi sani, atletici, aitanti, come quelli insomma che avrebbe desiderato per il suo bambino. La gravida dunque cominciò a pensare insistentemente al muscoloso corpo nudo del padre di suo figlio al canuto e pingue corpo di William Ewart Gladston:

William Ewart Gladstone

quattro volte Primo Ministro del Regno Unito e politico grandemente amato dall’opinione pubblica, che infatti “nel paese godeva di un’ottima reputazione”.
Tenendosi notte e dì vicino al comodino una cartolina con la faccia di Gladston stampata sopra, la donna trascorse tutto il resto della gravidanza a visualizzare nella mente la faccia del vecchio politico, e, infine, diede alla luce un bimbo sano che assomigliava parecchio all’eroe della Patria.

😶

Sospetto che la vostra espressione non sia mutata d’una virgola.

Siamo di fronte a una banda di pazzi, a un delirio medico-gravidico senza precedenti?
No: in realtà stiamo alludendo a una teoria sulla gravidanza molto diffusa nella medicina ottocentesca – e cioè, la teoria delle Impressioni Materne.

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“First Born”, Gustave Leonard de Jonghe (1863)

Vi siete mai chiesti come mai alcuni di noi nascano con (e si portino appresso nel corso degli anni) delle paure immotivate e irrazionali?
Perché c’è gente che soffre di vertigini e c’è gente che fa bungee-jumping per divertimento? Perché ci sono infanti terrorizzati dal buio che piangono come ossessi per tutta la notte, e ci sono leggende su mitologici neonati che si fanno sei ore di sonno fin dai primi mesi?
Io non lo so, ma i medici dell’Ottocento credevano di saperlo: tutte queste paure congenite, queste forme di ansietà immotivate e difficili da combattere, sono senz’altro frutto di esperienze negative vissute dal feto prima ancora della nascita, nel corso della sua vita infra-uterina.

Traggo queste informazioni dall’interessantissimo saggio sulla Paura a firma di Joanna Bourke, che cito:

La credenza che le paure di una donna incinta si sarebbero trasmesse al feto era largamente diffusa. Perciò una donna gravida che fosse stata spaventata da un serpente, avrebbe dato alla luce un figlio deforme, mentre una particolarmente ansiosa avrebbe messo al mondo un bambino già segnato dalla nevrosi.

Intendiamoci, non stiamo parlando della sacrosanta raccomandazione “nella tua situazione, cara, cerca di scacciare via i pensieri negativi, ché uno stato di forte stress non giova neppure al bambino”. Questo è buonsenso, quell’altro è un buffissimo delirio come se ne trovano tanti nella Storia della Medicina.
Per la serie: se Peppina incinta viene colpita nel profondo dall’orribile visione di uno storpio deforme tutto pieno di cicatrici e col pus che cola dal suo bulbo oculare vuoto, sono drammaticamente alte le chance che il bambino che porta in grembo venga colpito per analogia da una identica deformità.

Un concetto da pazzi furiosi, ma parzialmente comprensibile.
Se ci pensate, una forte paura (o un forte disagio psicologico) porta, in effetti, delle conseguenze sul piano fisico. La paura e il disgusto non sono emozioni impalpabili: si accompagnano a tutta una serie di manifestazioni fisiche come tachicardia, sudori freddi, fiato corto, pelle d’oca, senso di nausea. Dunque, come escludere a priori che un sentimento di tale portata non possa imprimersi nella viva carne di una vita che si sta formando all’interno del proprio corpo?
In un mucchio di modi, ovviamente, nessuno dei quali però era conosciuto dai medici dell’Ottocento. E questa teoria, in fin dei conti, sembrava rispondere al quesito che, da sempre, angoscia le future mamme: sarà sano?

Perché alcuni bambini nascono perfettamente formati, e altri invece sono deformi? Perché alcuni crescono diventando uomini encomiabili, e altri portano con sé un fardello di sgradevolezze caratteriali che, porca la miseria, non si capisce proprio da dove possano arrivare?
Eh, appunto: arrivano dal vissuto del feto quand’era ancora nel ventre materno. Una donna depressa genererà individui inclini alla depressione; una donna che si sogna giorno e notte quell’immagine orribile vista al telegiornale plasmerà inconsciamente il corpo dei suoi figli a rassomiglianza di quella stessa immagine.
È, in fin dei conti, la stessa teoria che sta alla base della nostra superstizione sulle voglie: “se hai voglia di fragole e non te le mangi subito, il bambino nascerà con una voglia a forma di fragola”. Una leggenda che è rimasta ancora viva nella tradizione, ma che si inseriva in un quadro ben più ampio.

A questo punto potremmo scandalizzarci, e dire che questa teoria era l’ennesimo modo per colpevolizzare le madri.
Sì e no, nel senso: per quanto fosse indubbiamente drammatico mettere al mondo un figlio malato e sentirsi accusare “è tutta colpa tua”, diciamo che questa teoria medica ha anche avuto alcuni risvolti positivi.
Innanzi tutto, una maggiore attenzione alla vita prenatale del bambino, e questo non è affatto poco!
Ma ancor più notevole, secondo me, è il modo in cui questa teoria ha puntato le luci sul benessere emotivo della donna in gravidanza. In un’epoca in cui – diciamocelo – non è che tutte le donne si sentissero chiedere dal marito “che ne dici di un altro figlio? Te la senti? Siamo pronti?”, ecco che i medici ordinavano di farlo, pena le gravissime conseguenze di cui sopra.
In Transmission; or: Variation of Character Through the Mother (1877) Georgiana Bruce Kirby (…una donna, non a caso) raccomandava tassativamente di non tentare nemmeno il concepimento, se la donna non si trovava in perfetta salute fisica e psicologica e non era convinta al 100% di quella gravidanza. Le conseguenze avrebbero potuto essere disastrose – così come sarebbe stato disastroso ingiuriare, maltrattare, intristire la propria moglie incinta. Georgiana, chiaramente, tirava acqua al suo muliebre mulino, ma era saggia nel ribaltare la situazione argomentando che, forti di questa nuova consapevolezza, i genitori avrebbero potuto fare del gran bene ai loro figli cercando una gravidanza solo quando si trovavano nelle condizioni psicofisiche adatte, e focalizzandosi in pensieri nobili ed elevati per tutto il corso dei nove mesi.

Ecco perché la bizzarra signora di cui si diceva in apertura, così terrorizzata dalle sue stesse paure da arrivare a un passo dall’aborto, aveva ben pensato di passare mesi e mesi a rimirare l’immagine di un politico di cui, evidentemente, aveva grande stima. La sua speranza era quella di plasmare non solo il corpo, ma anche la mente stessa del suo bambino sulla falsariga di quella di quel retto e onesto uomo.

***

Una piccola curiosità.
Quando, nel 1946, mia nonna ha annunciato la sua gravidanza, una amica le ha regalato una cartolina postale su cui se la rideva alla grande una bella bimba bionda e ricciolina, in pieno stile Shirley Temple. E la raccomandazione era stata proprio quella: tienla a portata di mano e guardala ogni giorno, vedrai che metterai alla luce una bambina che le assomiglia.

Mia nonna non ci credeva, ovvio, però lo aveva fatto: scherzosamente, per gioco, come si fanno tante cose, un po’ sciocchine e un po’ affettuose, nel corso di una gravidanza. Alla fine, è nata mia mamma – che non assomigliava proprio per niente a quell’emula di Shirley Temple, però effettivamente era nata femmina. E aveva tanti ricciolini, belli e boccolosissimi.

Mia nonna non ci credeva, lo ripeto, però aveva conservato quella cartolina, e, quand’ero piccola, me la faceva vedere tutta contenta. “Però in effetti un po’ ci assomiglia. Tu non trovi?”.

 

9 risposte a "La Teoria delle Impressioni Materne"

  1. vogliadichiacchiere

    Sono idee che qua, nel sud delle Marche, erano ancora in voga quando ero una giovane donna gravida . . . te ne metto un, sommario, elenco:
    “non accarezzare il cane, altrimenti il bambino nascerà col pelo sulla faccia”,
    “non passare sotto/sopra alla corda (il filo per stendere i panni grandi/un filo elettrico sul pavimento) altrimenti al bambino il “cordone” si mette di traverso” . . . in effetti, uno dei figli è nato col cordone ombelicale a bandoliera”
    “non mettere collane, il “cordone” gli stringerebbe il collo!”
    “Girati, non guardare tizio, che è “infelice”, potrebbe nascerti il bimbo con lo stesso male” (“Infelice” è quello che oggi si chiama “diversamente abile”!
    “Se vuoi che nasca un bel bambino/bambina, tieni sul comodino la foto di una bel bambino/bambina” . . . o, in alternativa: “Guarda la foto di tuo marito, così il figlio somiglierà a lui”
    “se ti viene una voglia, non toccarti la faccia, ma toccati il sedere. Male che va, se il bambino nasce con la voglia ce l’ha in un posto nascosto!”

    Quella che mi piaceva di più era quella che mi diceva il fruttivendolo (di quelli che hanno sempre le primizie e la frutta più buona): “Prendi, prendi signora … sono i primi mandarini/arance/ecc ecc che arrivano, prendine due, non si sa mai fossero “coppicci” (gemelli)!” anche se insistevo che con l’ecografia avevano visto che era un bambino solo, mi spiegava che: “ma tu prendine due lo stesso, non si sa mai, i dottori con queste “cose moderne” potrebbero sbagliare!”
    AD 1980/81 – 1982/83 – 1984/85

    Ciao Fior

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    1. Lucia

      Maddai?!

      Conoscevo quelle sulle collane o sui fili che fanno arrotolare il cordone, e ovviamente conoscevo quella onnipresente sulle voglie. Ma quella sulla somiglianza fisica, “non accarezzare il cane o il bambino nasce peloso”, non l’avevo proprio mai sentita, forse si era conservata nella tradizione delle Marche ma non in quella del Piemonte, chissà?
      Non pensavo ci fosse ancora questa credenza 🙂

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  2. Emilia

    Mia mamma mi ha riferito che una mia zia, mentre era incinta all’ottavo mese, ebbe un forte spavento perché vide un cane. Lo spavento accelerò il parto: diede alla luce un maschietto, che però era nato morto. Fosse sopravvissuto, oggi avrei il “cugino Salvatore”.

    Sempre mia mamma mi ha raccontato che nel palazzo dove abitava da nubile c’era una signora appassionatissima de “Il Musichiere”, il quiz televisivo musicale di Mario Riva; lo guardava anche durante la gravidanza. La signora, sempre stando a quello che afferma mia madre, partorì un bambino che aveva le fattezze del pupazzo-mascotte del programma, però il piccolo visse poco tempo. So che sembrano leggende metropolitane, ma questo mi è stato detto.

    Ho invece letto in un libro che la madre del compositore e pianista australiano Percy Grainger voleva accanitamente che suo figlio non solo nascesse sano, ma anche che amasse il bello e l’arte. Per tale ragione, prima di addormentarsi la sera o di fare un pisolino, guardava un’immagine di una statua greca: era convinta che, se avesse riposato mentre pensava a quell’opera d’arte, il nascituro ne avrebbe risentito in positivo.

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  3. La strega spritzettara

    Se vuoi addentrarti un po’ in un tema simile, suggerisco qualche lettura sulla metagenealogia familiare o “sindrome dell’antenato 😉

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